Venti capitoli e venti video, di settimana in settimana. È una sorta di viaggio agli inferi col biglietto di ritorno, quasi fossi un novello Dante, ma privo di un Virgilio a farmi da guida.
E allora, visto che Virgilio non c’è, in questo lungo viaggio mi accompagnate voi?
AMAZONIADE CAPITOLO 19
I Day One non finiscono mai
Di Massimiliano Cacciotti per ComeDonChisciotte.org
È da un po’ di giorni che in magazzino pare esserci meno lavoro. Sempre più spesso, mi capita di vedere i conveyor che girano a vuoto, viaggiando mestamente privi di oggetti da paccare. Così si rimane, un po’ stupiti, a girare i pollici. Roba di qualche minuto, per carità. Poi tutto torna a funzionare a pieno carico. Però anche i minuti, dati i ritmi che ci sono qui, finisce che ti sembrano secoli.
“Eh, ovvio: c’è la crisi! È che la gente non ha più i soldi per ordinare niente, nemmeno su Amazon…” prova ad azzardare qualcuno, lanciandosi in un inedito ruolo da esperto analista economico. Perciò, alla fine, nessuno si sorprende troppo se, via via che scadono i contratti, nemmeno uno di questi viene rinnovato.
Ormai, intorno a me, qui nell’hub, scopro solo facce nuove. Tutta gente mai vista prima: nei reparti, nel parcheggio, anche a mensa. Il che, però, se vuol dire che tutti i vecchi colleghi non ci sono più, vuole dire anche che di nuova gente ne continua ad arrivare. Perché poi, ci sarà pure la crisi, ci sarà pure meno lavoro, però qui a Passo Corese il ricambio di personale non manca mai. Anche oggi, per esempio, nel corridoio vicino ai bagni, ho incrociato un folto gruppo di persone, tutte prese dal loro Day One, con l’instructor che spiegava ad alta voce le regole base del nostro magazzino e le caratteristiche dei vari reparti.
Strana situazione: c’è la crisi, non si rinnovano i contratti, il lavoro è poco, però ecco che, incessantemente, arrivano forze fresche. Ed è proprio bizzarro questo modo di gestire l’azienda: assumere nuovo personale proprio quando il lavoro scarseggia. Direi anche un po’ autolesionista, se davvero, come sento dire in giro, gli ordini dei clienti fossero in fase calante. O, forse, questi ordini non stanno calando affatto? Di sicuro, all’autolesionismo di Amazon c’è da crederci davvero molto poco.
Comunque stiano davvero le cose, c’è da dire che, intanto, mi sta prendendo un bel po’ di magone. Guardo gli scaffali metallici, i conveyor; osservo i soffitti altissimi, i transpallet, gli ascensori, i robottini, i computer, i nerd ventenni con le pettorine flu; sbircio i metal detector all’ingresso, le scatole da imballare e quelle già imballate. Tutto mi suscita un misto di schifo e di nostalgia, di repulsione e di malinconia.
Fra pochi giorni, quasi di sicuro, smetterò di frequentare l’hub. Certo, niente è ancora detto e magari mi faranno un nuovo contratto, stavolta a tempo indeterminato. Ma c’è da sperarci poco. Anzi, non c’è da sperarci affatto. Dentro, intanto, mi cresce una strana schizofrenia: da una parte c’è come un senso di liberazione, dall’altra ho quasi una sindrome di Stoccolma, quella che mi porta ad amare e a rimpiangere questo magazzino immenso, anche se l’ho vissuto, sempre, come un’asfissiante prigione claustrofobica, orrenda sebbene retribuita.
Forse è normale così. Forse succede a tutti. Sta di fatto che quasi vorrei mescolarmi ai tipi del Day One, quelli che stavano vicino ai bagni insieme al loro instructor, per ricominciare tutto d’accapo, per riscoprire da zero i meccanismi di questo luogo, per stupirmi ancora delle tante incongruenze, dell’astrusità degli algoritmi, dell’ottusità militaresca dei lead, per spaccarmi le spalle e la schiena nella station tre, per segnalare in ogni istante ogni mio impercettibile movimento, bedgiando ovunque il mio green badge.
Però, quando passo nel corridoio vicino ai bagni, i tipi del Day One non ci sono più. Chissà dove sono finiti. Magari in qualche wall per imparare a paccare. O forse in una qualche stanza, a fare i soliti test pieni di refusi, quelli scritti a Barcellona.
Nel frattempo, si sono fatte le sei. Per oggi è andata. Domani è un altro giorno: l’ultimo, prima di sapere come finirà.
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