Di Victor Zhdanov, ria.ru
Nella primavera del 2014 in Ucraina, gli oppositori del Maidan ingaggiarono un accanito confronto con i radicali che si sentivano già impuniti. Chi ha resistito e non ha voluto accettare il colpo di stato lo ha pagato con il sangue. Esattamente dieci anni fa, l’incendio nella Casa dei Sindacati di Odessa costò la vita a 48 persone. Ma questo solo secondo i dati ufficiali. Molto non si sa ancora della tragedia che cambiò la storia del Paese.
Una tragedia preparata
In pratica, di tracce dell’incendio non ne sono rimaste: sono state poste nuove porte e finestre. Niente ricorda più quello che successe lì, salvo il fatto che, periodicamente compaiono dei fiori vicino alla recinzione metallica attorno all’edificio.
Subito dopo la tragedia, la gente organizzò un memoriale con ghirlande di fiori e fotografie delle vittime. Sul pennone di fronte per molto tempo, c’era la scritta: “Ricordiamo”. Ora è stata rimossa.
Dopo il sanguinoso colpo di stato di Kiev (Euromaidan, febbraio 2014 ndr.), a Odessa venne creato il movimento del “Kulikovo Pole” (Campo Kulikovo ndr.), così chiamato in onore di una delle piazze principali della città. Non si parlava di separatismo. La gente chiedeva l’attribuzione dello status di seconda lingua di Stato alla lingua russa, la possibilità di condurre un referendum su questioni di politica estera e interna, nonché elezioni per il governatore, i giudici e i deputati dei consigli locali.
La protesta era pacifica. Le autorità ignorarono totalmente le migliaia di azioni di protesta. Quindi i “Kulikovtsy” (pro-Kulikovo ndr.) allestirono un campo di tende sulla piazza davanti alla Casa dei Sindacati. Vladimir Nemirovskij, alla guida della regione dopo il colpo di stato, chiese di sgombrare l’area con il pretesto dei preparativi per la parata del “9 maggio”.
Durante il mese di aprile, nazionalisti radicali e attivisti Euromaidan provenienti da tutta l’Ucraina, compresi i comandanti dell’autodifesa di Kiev, si riunirono a Odessa. I militanti iniziarono a predisporre dei posti di blocco nelle strade. Tre giorni prima della tragedia, l’allora segretario del SNBU (Sovet Natsional’noj Bezopassnosti i Oborony Ukrainy – Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina ndr.) Andrej Parubij (nella foto sotto, ndr) arrivò in città.
Secondo la testimonianza dell’ex-capo del Dipartimento di polizia di Odessa, Ruslan Forostyak, fu lui a preparare attivamente i radicali ai combattimenti di strada.
“Vicino al palazzo dell’Amministrazione regionale avevamo costantemente diversi minibus con armi da fuoco. Abbiamo anche affittato appartamenti nelle vicinanze, dove abbiamo allestito postazioni di cecchini <…> Sono riuscito a preparare un gruppo speciale di entusiasti che, in caso di uno scenario violento, sarebbero stati pronti a reagire”, – raccontò Forostyak.
Violenza irreversibile
Il 2 maggio alle 17:00 era in programma la partita di calcio tra il “Chernomorets” di Odessa e il “Metalist” di Kharkov. I tifosi del club ospite arrivarono alla stazione vicino al Kulikovo Pole, ma non secondo l’orario. I “Kulikovtsy” temendo che gli ultras potessero sloggiare la loro tendopoli, alle 13:30 iniziarono a radunarsi.
In Piazza Greca entrarono in contatto con i manifestanti “Maidanovtsy” (pro-Maidan ndr.). Iniziarono a volare pietre, frammenti di mattonelle della pavimentazione ed esplosero dei petardi. Venne usata un’arma stordente. La prima vittima fu l’attivista del Pravij Sektor (Settore Destro ndr.) Igor Ivanov, per il quale fu accusato Vitalij Budko, del Kulikovo Pole. Spiegò: ho sparato davvero, ma esclusivamente con cartucce a salve.
Non fu mai stabilito chi sparò il colpo mortale. L’ex-capo della polizia di pubblica sicurezza di Odessa, Dmitrij Fuchedzhi, riferì che fu uno sconosciuto dal lato del Passage Hotel per attizzare il conflitto. Tuttavia, anche questo dato non è stato provato. Insomma, in Piazza Greca morirono sei persone: quattro membri del “Kulikovo Pole” e due membri del “Maidan”.
Dopo la morte di Ivanov, i radicali ucraini decisero d’aver ormai mano libera. Nelle conversazioni trapelate tra l’impiegato dell’amministrazione regionale Igor Bolyanskij e il comandante dell’autodifesa Dmitrij Gumenyuk, appare la richiesta di “far svoltare le persone verso il Kulikovo Pole” per disperdere la tendopoli.
Alle sette di sera i manifestanti anti-Maidan decisero di trasferirsi nell’edificio della Casa dei Sindacati. Forzarono le porte e portarono con sé delle cose dalle tende, compreso un generatore elettrico, materassi e medicinali. Sotto il portico furono disposti sacchi di sabbia, assi e pallet di legno. In due stanze fu allestito un ospedale.
I radicali bruciarono le tende. La barricata davanti all’edificio prese fuoco. Cinque tifosi del “Chernomorets” con la bandiera ucraina entrarono. Buttarono giù le porte e lanciarono bombe molotov sui gradini. Scoppiò l’incendio.
“Lanci una pietra e ti viene addosso una grandine di pietre, bombe molotov e granate stordenti. Abbiamo barricato le porte del secondo e del terzo piano, ma nel frattempo c’erano già dei nazionalisti nell’ala sinistra dell’edificio. Bombe fumogene volarono contro le finestre, iniziò il panico, le persone iniziarono a soffrire di asfissia. In quel fumo tutti si misero a scappare in tutte le direzioni. Ho perso mio fratello, hanno lanciato bottiglie di cloroformio, quando il cloroformio colpisce una fiamma libera è già fosgene, i polmoni si bloccano”, ricordò Oleg Muzyka, del “Kulikovo Pole”.
Vide i suoi compagni saltare fuori dall’edificio in fiamme. In strada furono raggiunti e picchiati. Un attivista del Consiglio di coordinamento Euromaidan di Odessa, Vsevolod Goncharevskij, che partecipò al pestaggio, non venne mai punito. La polizia non intervenne su ciò che stava accadendo:
“Nessuno provò a procurare una scala o ad aiutare in qualche modo. Sembrava che le forze dell’ordine avessero l’ordine tacito di restare lì e non fare nulla”, riferì la sostenitrice anti-Maidan Maria Simikci.
Il fumo era già visibile da ogni parte. L’ufficiale di servizio della Direzione degli Affari Interni di Odessa chiese l’immediato invio dei mezzi dei pompieri alla Casa dei Sindacati, ma non arrivò nessuno.
Dalla trascrizione di una delle chiamate ai vigili del fuoco.
Il richiedente alla Camera dei Sindacati:
– Ragazza, state andando o no?
Smistatore:
– Sono già in viaggio, arrivano!
Richiedente:
– … (Singhiozzando al telefono) Ma stiamo bruciando!
Nessuna prescrizione
Nel settembre 2014 l’Ucraina pubblicò il rapporto di una commissione speciale incaricata d’indagare sulla tragedia. Dalla versione finale furono tagliate le testimonianze sul ruolo di Parubij nel massacro, così come la partecipazione di 500 militanti ucraini trasportati con l’assistenza di Nemirovskij. Anche le azioni del ministro degli Interni Arsen Avakov e del presidente ad interim Aleksandr Turchinov non furono esaminate.
La segretaria della commissione investigativa provvisoria, la deputata della Verkhovna Rada, Svetlana Fabrikant, revocò la sua firma dal rapporto a causa delle falsificazioni:
“I principali figuranti a questi eventi non si sono mai presentati in una sola riunione della commissione. La riluttanza dei funzionari governativi a fornire spiegazioni alla commissione è già di per sé una risposta eloquente”, sottolineò.
Dieci mesi dopo la tragedia, la missione di monitoraggio delle Nazioni Unite nel suo rapporto appurò che le autorità ucraine avevano adottato misure inadeguate. L’indagine fu ritenuta inefficace. Non videro alcun progresso nella risoluzione del crimine.
Una volta salito al potere, Zelensky promise di riprendere le indagini. Tuttavia anche lui non fece mai nulla. I tentativi di creare una commissione furono fermati dal suo stesso partito, “Servo del Popolo”.
Tutte le questioni sono rimaste aperte e i veri colpevoli della tragedia non sono mai stati puniti.
Di Victor Zhdanov, ria.ru
Fonte: https://ria.ru/20240502/odessa-1942538729.html
Traduzione a cura di Eliseo Bertolasi