AMAZONIADE: LA SOCIETA’ DEL FUTURO – LA NEOLINGUA [VIDEO]

La rubrica di ComeDonChisciotte.org alla scoperta di Amazon assieme al giornalista e documentarista Massimiliano Cacciotti. AMAZONIADE sarà con noi per venti settimane, sempre di venerdì. Buona lettura e buona visione.

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Venti capitoli e venti video, di settimana in settimana. È una sorta di viaggio agli inferi col biglietto di ritorno, quasi fossi un novello Dante, ma privo di un Virgilio a farmi da guida.

E allora, visto che Virgilio non c’è, in questo lungo viaggio mi accompagnate voi?

AMAZONIADE CAPITOLO 05

LA NEOLINGUA

 

Di Massimiliano Cacciotti per ComeDonChisciotte.org

 

Qui all’hub ef-si-o-uan, fin dal secondo giorno pare che ti trattano già da esperto. Oggi sono arrivato e non mi ha filato praticamente nessuno. Non c’è più l’istruttrice. Non c’è più la cuffietta per sentire. C’è solo quel vruuuuuuuuuu fastidioso, che quello non finisce mai. Non è che mi ci raccapezzi poi tanto. Qui tutti usano una specie di gergo iniziatico, uno strano linguaggio simil english, che pare fatto apposta per aiutarti a non capirci un cacchio.

Intanto devo smetterla di dire che il vruuuuuuuuuu lo fanno i nastri trasportatori. Perché qui i nastri trasportatori si chiamano conveyor e se non li chiami conveyor pure tu, ti guardano tutti storto. Poi c’è l’inbound, che sarebbe dove arrivano le merci. E c’è l’outbound, che è dove si preparano i pacchi.

Ed è all’outbound che mi hanno sbattuto, perché è il posto più adatto per me, in base alle mie caratteristiche mentali e psicofisiche. O, perlomeno, così mi hanno detto. Come fanno a conoscere la mie caratteristiche, visto che è solo un giorno che sto qui, non lo so. Ma le conoscono. E guai ad obiettare!

Mi hanno detto pure che io sono un “packer”. E fin qui ci arrivo facile a capirlo, perché pack è quasi come pacco, suona simile. Quindi il packer è quello che fa i pacchi. Però già il rebinista e l’inductista, con cui mi devo coordinare nel lavoro, mica l’ho capito subito che cacchio sono.

Meno male che io ho fatto il linguistico e mi ci sono messo di buzzo buono e ho scoperto che “induct” è un termine che in inglese sta per “installare formalmente gli oggetti in una posizione ufficiale” e che “rebin” è un altro verbo inglese, che vuol dire “smistare in contenitori”.

Insomma, più o meno, quando arrivano le merci, gli inductisti gli danno una posizione ufficiale e i rebinisti poi li smistano spedizione per spedizione. E così gli oggetti te li ficcano nei uol – che si scrive “wall” – che sta per muro, ma che in realtà è una specie di grande armadio a scomparti. E ogni scomparto equivale a un pacco da spedire, che tu packer devi imballare.

O almeno credo. Perché non lo so bene che cavolo devo fare e come. Anche perché i lead e i manager col piffero che mi danno indicazioni. Qui, dopo il primo giorno, non ti si fila più nessuno e devi cavartela da solo. Hai solamente un computer con cui dialogare, che poi è più le volte che ti si impalla di quelle che funziona.

Un computer dove, appena arrivi in postazione, ti ci devi bedgiare e ti dice tutto lui. Perché poi tu sei grande grosso e smaliziato e te la devi cavare, da solo, solo come sei nella tua postazione – che non è nemmeno tua, perché te la cambiano di continuo, anche più volte al giorno – diviso dagli altri da pannelli di plexiglass. Da solo con il vruuuuuuuuuu dei conveyor, che a volte provano a coprire con della musica di sottofondo, che vorrebbe fare atmosfera, ma poi, alla fine, aggiunge solo altro casino.

Stai solo col tuo grin bedg (che non si scrive così), da bedgiare (che non si scrive così) ogni cosa che fai.

Stai solo il tuo reit da perseguire, che si scrive “rate” e che sta per punteggio. Stai solo con questa strana lingua che usano qui, fatta di parole che vogliono dire e non dire, che ottiene un effetto velatamente straniante, sommessamente alienante, buona solo per farti perdere i tuoi punti di riferimento.

E ti ritrovi a navigare a vista, in una sorta di universo linguisticamente parallelo, misterioso e, in fondo in fondo, molto ma molto ostile.

 

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