Venti capitoli e venti video, di settimana in settimana. È una sorta di viaggio agli inferi col biglietto di ritorno, quasi fossi un novello Dante, ma privo di un Virgilio a farmi da guida.
E allora, visto che Virgilio non c’è, in questo lungo viaggio mi accompagnate voi?
AMAZONIADE CAPITOLO 07
Nel regno dell’algoritmo
Di Massimiliano Cacciotti per ComeDonChisciotte.org
Finalmente oggi sono rimasto a casa, che ho il giorno di riposo. Il lavoro è pesante e mi ci voleva proprio un giorno senza fare niente. Che poi lì in magazzino c’è quel vruuuuuuuuuu incessante, che mi entra proprio nel cervello. Per non parlare dei tipi della sicurezza, che sono insopportabili e che ti fanno stare sempre sul chi va là. Girano di continuo a fare le ronde, per beccarti in flagrante se fai qualunque cappellata, o anche solo se parli col vicino, così ti possono fare la nota scritta.
Che poi, di fatto, ha poco valore quella nota, o almeno così mi hanno detto, ma intanto crea un bel clima di tensione.
E, quando te la fanno, lo fanno sapere subito in giro, così gli altri stanno al loro posto: beccarne uno per educarne cento. Come insegnava Mao Tse Tung.
Non va molto meglio durante la pausa, quando puoi andare a mensa. Li a mensa ci sono solo tavoli singoli, con una sedia, divisi l’uno dall’altro da pareti di plastica, che alla fine non riesci a scambiare una parola con nessuno. Dice che è per via del Covid, ma così non puoi fare amicizia, né puoi chiedere consigli a quelli un po’ più esperti, per raccapezzarti un po’ di più sulle cose che non sai o che non capisci. E poi pure a mensa girano le ronde, che ti guardano come se tu fossi sempre in difetto, anche se non sai bene il perché.
La vigilanza più occhiuta, però, non è quella del personale. La vera spia che tutto vede e tutto sa è quella invisibile, asettica, automatica dell’algoritmo. Lui è il vero re di Amazon, quello che tutto analizza e tutto decide: ritmi di lavoro, ruoli, compiti, spostamenti.
L’algoritmo, dicono, secondo per secondo, calcola il carico di lavoro previsto e i ritmi di ciascuno, e poi sceglie chi deve fare cosa e andare dove. Tutto va in automatico, senza che lead e manager possano capirci qualcosa e metterci bocca. Loro, semplicemente, eseguono, verificano che le indicazioni date dal software vengano rispettate.
Però l’algoritmo non è mica perfetto. Anzi, spesso fa le scelte sbagliate, decide cose senza senso. Lui è basato su ipotesi accademiche, ideate sulla base di una situazione ideale. Insomma, una roba che non assomiglia per niente alla realtà. Perché la realtà è piena d’imprevisti e d’imperfezioni.
L’algoritmo non prevede l’usura dei materiali, non considera che i macchinari possono incepparsi, o i computer impallarsi, non sa che il rotolo di nastro adesivo per sigillare i pacchi può finire, né che una scatola può rompersi, o che un oggetto può scivolare per terra. Non è neanche previsto che un lavoratore si possa stancare, o che debba andare in bagno. Sono cose inconcepibili per chi lo ha programmato.
Tutto è basato pensando a un mondo inesistente, in cui ogni cosa è perfetta, ciascuno è sempre al massimo delle forze e nel cielo risplende sempre il sole. Eppure lì nel magazzino di Passo Corese il sole non risplende mai, neanche in pieno giorno, che lì dentro c’è solo la luce dei neon.
Però oggi sono a casa, finalmente. Un po’ di sole lo posso vedere dalla finestra. Almeno per qualche ora.
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