Venti capitoli e venti video, di settimana in settimana. È una sorta di viaggio agli inferi col biglietto di ritorno, quasi fossi un novello Dante, ma privo di un Virgilio a farmi da guida.
E allora, visto che Virgilio non c’è, in questo lungo viaggio mi accompagnate voi?
AMAZONIADE CAPITOLO 06
Day Two, Three, Four
Di Massimiliano Cacciotti per ComeDonChisciotte.org
Se c’è una cosa che mi fa incazzare è che, ogni giorno, ogni ora, ogni momento, qui c’è da cambiare postazione. Intanto, dieci minuti prima dell’inizio turno, ti arriva la mail che ti dice dove devi andare: CACCIMAS wall 1 station 3.
O magari CACCIMAS wall 22 station 5. Che pare niente la differenza, ma fra il wall 1 e il 22 fa quasi un chilometro di distanza.
A volte, però, non ti arriva quella mail e allora devi guardare sullo schermo che sta all’ingresso. Che è tipo quelli delle stazioni ferroviarie. Li dovresti trovare il tuo login e il numero della postazione assegnata. Se non c’è scritto niente, allora bisogna dirigersi verso l’area d’attesa. E ogni giorno ne trovi altri cento come te, che non hanno ricevuto messaggi e stanno fermi lì come tanti salami. Ci resti pure tu, dritto in piedi come un salame, nell’area d’attesa, ad attendere solo un minuto, oppure un’oretta buona, chissà, prima che ti dica qualcosa qualcuno dei lead: “Tu lo sai fare single?” ti chiede, all’improvviso, un ragazzino con la pettorina fosforescente – che è il segno distintivo di chi qui conta qualcosa – “Eh? Che vuol dire fare single?” rispondi. Però lui nemmeno ti sente, perché il vruuuuuuuuuu c’è ovunque e tu non ti puoi avvicinare, perché c’è il distanziamento e se ti avvicini becchi l’ammonizione.
Se ne va, un po’ spazientito, senza proferire verbo. Dopo poco arriva un altro, stessa età, stesso tablet o computerino d’ordinanza, stessa aria da nerd spaesato: “Wall 15”. E allora via, verso il wall 15, dove oggi ci sarà la mia postazione. O almeno così credo. Perché poi non faccio in tempo a rassettare il casino lasciato da quello che c’era prima a lavorare qui, non faccio in tempo a sistemare gli attrezzi – che io sono pure mancino e messi a destra mi fanno di uno scomodo – a mettere in ordine le scatole, a imballare il primo pacco, che mi piomba alle spalle un altro nerd ventenne, in pettorina flu e sguardo fisso sul tablet: “Caro, devi spostarti al wall 2”.
Qui siamo tutti “caro” o “cara”. Che è pure normale, perché valli a sapere i nomi di cinquemila persone che cambiano di continuo turno e postazione, senza poter parlare mai, divisi uno ad uno dalle pareti in plexiglas e da quel vruuuuuuuuuu eterno e onnipresente.
Però, perché devo andare subito al wall 2, che dieci minuti fa mi avete detto di venire qui al 15? Vallo a sapere. Che poi non lo sa bene neanche lui il perché, non lo sa nemmeno il nerd ventenne in pettorina flu. Glielo ha semplicemente segnalato il tablet. Lo ha deciso l’algoritmo.
E allora capisci perché i capi qui sono tutti giovanissimi: perché in realtà non sono per niente capi, ma semplici servi alla mercé del loro tablet di ordinanza, da cui non alzano mai lo sguardo.
Un ventenne a questo non ci fa quasi caso. Un trentenne già di più. Un quarantenne molto di più. Un cinquantenne, prima o poi, prenderebbe decisioni di testa sua, guardando di persona le postazioni, osservando quello che succede davvero, nel concreto, sul luogo di lavoro, scegliendo lui se mandarti al wall 2 o lasciarti al 15, basandosi sulle proprie capacità e la propria esperienza, senza fidarsi solo di quanto sta scritto tra i numeri del suo computer.
E allora no. E allora qui i cinquantenni restano soldati semplici, mentre i ventenni prendono le mostrine da generali.
È la prassi.
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