Introduzione a cura della Redazione
Lo scorso luglio il viceministro degli Esteri iraniano per gli Affari politici Ali Bagheri Kani denunciava pubblicamente l’Occidente e il suo braccio armato, la Nato. Riferendosi alla ventennale presenza dell’Alleanza Atlantica a Kabul, svelava non proprio un dettaglio ma forse la chiave del conflitto e dell’occupazione militare: in Afghanistan, la produzione di narcotici è aumentata di 45 volte dall’inizio della cosiddetta “guerra al terrorismo” post 11 settembre 2001.
Droga e guerra; droga e Superpotenze; droga e governi; droga e crimine organizzato; droga e affari; droga e consumo di massa; droga e società; droga e evasione; droga e stordimento; droga e relazioni; droga e dipendenza; droga e psiche. Come nasce la cultura della droga.
In poche parole: l’uso politico della droga.
E’ questo il tema che il Gruppo redazionale Società, Inchieste e Reportage di ComeDonChisciotte.org ha affrontato, indagato e analizzato attraverso una serie di articoli tematici e di approfondimento sul fenomeno “droga”, ormai più che diffuso e gravemente penetrato nella nostra società, già disgregata e largamente impoverita; in cui aumentano costantemente aree di marginalità, di degrado urbano e suburbano, tanto da risultare uno dei principali vettori politici del caos.
In un mondo sempre più coscritto da obblighi e sofferenze, mascherati da libertà e opportunità, è importante chiedersi perchè i governi ormai tollerino e – come vedremo in diverse forme e maniere – promuovano e permettano la diffusione della droga. E cosa essa comporti davvero alla comunità, alla persona, sia individualmente che nel suo rapportarsi agli altri.
Alla fine, l’unico che gode veramente, è il Potere.
Buona lettura.
Droga, Carriera e Destino
L’uso politico della droga – Capitolo VI
Di Diamante Nigro per ComeDonChisciotte.org
La metafora di un “dio fetale totipotente”, che cerca quiete tra i guanciali di seta del suo iperuranio, allude allo stato di “enclave” psichica in cui si trovano l’alcolista o l’eroinomane all’apice dell’agito tossicomanico; tuttavia, essa vuol richiamare una sorta di “ideal-tipo” cui l’odierna civiltà in tutti i modi sembra sospingere nel suo novello “discorso del cybercapitalista”. Essa non si accontenta di epitomizzarlo nelle varie figure della psicopatologia contemporanea, dalla tossicomania all’anoressia, dalla bulimia all’autolesionismo, dai continui ricorsi alla chirurgia estetica o ai tatuaggi (adottati per marcare i confini di un’identità anche corporea labile) sino a includere la dipendenza dalla pornografia. Vuol fare della “nuova soggettività” su cui fondarsi una soggettività in tutto “dipendente”.
L’ideal-tipo di oggi è, insomma, un soggetto vagheggiante nostalgie di potenza illimitata ma perso nel circuito ricorsivo tra scarica nel godimento immediato, apatia da narcosi, angoscia da derealizzazione e perdita di sé. Un circuito caratterizzato dalla coatta ripetizione dell’identico vuoto.
Come anticipò Freud in “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”, quando asserì che non si dà psicologia individuale in assenza di psicologia sociale, pensiamo che ogni società si valga di soggettività specifiche in grado di condurre a termine il suo “programma di civiltà”.
Oggi, ai tempi del cybercapitalismo, assistiamo a un modello malato di società che dal perseguire – sino a vent’anni fa- un tipo d’uomo ancora “forte”, caratterizzato da una patologica adesione al significante del Grande Altro sociale come il narcisista postberlusconiano, è passato alla personalità stile “borderline” attuale, cioè a una mente di cui sono state accuratamente coltivate la difficoltà ad avere uno stabile senso di sé e l’esibizione, premiata dai social media così come dai reality show, del primo empito momentaneo, dell’agito senza pensare. Nessuna educazione al filtro della razionalità, al pensiero prima dell’azione. Regressione allo stadio dell’orda primitiva? Il fatto è che non c’è abitudine o assistenza alcuna al riferirsi a un ideale che ponga limiti al comportamento, anzi: non si vogliono limiti né ideali.
Mentre puntano i riflettori su modelli sempre più miseri, scelti sempre più in basso nella scala dei valori al fine comunicativo di attirare l’attenzione sull’eccezione, i “reality” foggiano una società a immagine e somiglianza di quei modelli. L’esibizione della sregolata distruttività di Blanco a Sanremo, quando si permise di rovinare le fioriere della scenografia della “città dei fiori” poiché era in preda alla rabbia, oppure la più recente partecipazione di un Rocco Siffredi “en travesti” alla nuova trasmissione di Alba Parietti (quest’ultimi “dramatis personae” della contemporaneità) rispondono alla spietata logica tritacarne dell’audience, tuttavia sono in linea con i valori necessari a costruire gli “uomini nuovi”. Testimonial disinibito dell’oramai osannato “camaleotismo identitario”, passato com’è da maschio alfa a travestita procace, Siffredi asserisce nella suddetta puntata: “Insegnerò ai miei figli a farsi vedere, a non nascondersi mai”. Perfetto “maitre à penser”, Siffredi pontifica con l’autorevolezza di un filosofo, poiché oramai non c’è gerarchia di valori, tutto si equivale e, come lui dice, si può mostrare ogni cosa di sé, dal pisello maxi ai seni gonfiati in gommapiuma senza soluzione di continuità, in una maniacale euforia e in un’ostentazione greve di sessualità senza freni.
Oggi si mostra anche quello che un tempo si trovava utile inibire, gli scarti, gli aspetti cattivi, quelli violenti, quelli crudeli, quelli sessuali. E si mostrano i lati ignoranti, quelli vili, quelli non coltivati, quelli mendaci, quelli manipolativi, quelli disarmonici, quelli fastidiosi.
Mostrare garantisce statuto d’esistenza? Esibire in un Panopticon in cui non c’è scampo all’essere visti, dunque non c’è scampo alla paranoia, è una specie di dovere cui tutti ci assoggettiamo. Ma la nostra prontezza a farlo, la nostra coazione a mostrarci parla del vuoto che abbiamo dentro. Che è da colmare, oltre che con oggetti esanimi come i prodotti, i cibi, le droghe, con le continue conferme altrui: altro che euforia! O meglio: l’euforia nasconde la depressione profonda, come da tradizione.
Anche se si ha bisogno di “like”, per ottenerli non serve migliorarsi: il “meglio di noi” sarà presto parte di quel “rimosso” di cui è costituito “l’inconscio sociale”, la discarica delle facoltà umane preziose, ma oramai inutili e oggi dimenticate.
D’altronde, un amico mi ha appena inviato via Whatsapp l’immagine di due bestseller di un notissimo psicologo mainstream attualmente in edicola, i cui titoli (che altero un po’ per non fare nomi e per eleganza) sono eloquenti: “Il passato non conta niente” e “Vai bene così come sei”. Nulla di più “antipsicologico” e “diseducativo”: per la psicologia il passato è il fondamento imprescindibile dell’identità e per la psicoanalisi la capacità creativa dell’uomo deriva dal differimento del soddisfacimento. Il soggetto deve poter essere aiutato nel fare i conti con l’impulso e nel porlo a confronto con l’Ideale dell’Io, per attuare quella “soggettivazione del desiderio” che diventa la cifra unica della nostra personalità.
Il messaggio di tutti i mezzi di comunicazione, che attraverso la pubblicità, i prodotti culturali, gli enunciati o i comportamenti di influencer e politici emerge è questo: “non aspirare all’ideale, non vale nulla”; “non faticare; non rinunciare”; “godi, godi, godi immensamente, del piacere come della distruttività!”; “nessun sacrificio è accettabile”; “sii felice, ma senza pensare al domani”; “una vita è tale se in vacanza”. Enjoy, dice il testimonial stagionato Vacchi.
Una società che ha oramai sancito l’evaporazione del padre, inteso come garante simbolico del limite, dell’interdetto, dell’Ideale da raggiungere, dei valori “non negoziabili”, com’ebbe a denunciare un preveggente Lacan nei lontani anni Settanta, assiste ora all’anomia, allo sperdimento, allo sciabordio di torme d’infelici che, senza un sistema d’orientamento e devozione che li guidi verso il trascendimento dei loro meri fini biologici, non possono che naufragare lontani da ogni realizzazione di sé.
Un tratto della psicopatologia contemporanea chiarito dallo psicoanalista Massimo Recalcati in ”L’uomo senza inconscio (2004) è “l’odierna, disastrosa perdita del limite dell’azione del simbolico generato dall’interdetto edipico paterno in quanto tale… La funzione normativa dell’ordine simbolico, il Grande Altro, si sfilaccia e si indebolisce lasciando il soggetto privo di riferimenti ideali costituenti”.
In questo contesto diventa difficile, per un ragazzo che voglia affacciarsi alla giovinezza, reperire quegli elementi di originalità su cui puntare per costruire la sua identità, per investirci faticando notte e giorno. Sarebbe questo il compito da svolgere in adolescenza, come mostra ogni romanzo di formazione. Invece è troppa la paura, lo smarrimento, lo scoramento di fronte all’immensità dell’impresa! Soprattutto se si è completamente soli, abbandonati da referenti solidi e da valori guida universali. Troppo doloroso è allora avvertire quella mancanza di sé a se stessi che occorrerebbe sopportare, quella frustrazione che annuncia la necessità di volgersi all’esterno e andarsele a prendere, le cose e le persone del mondo che ci mancano! Con coraggio e determinazione.
Oggi i ragazzi mancano sia di madre che di padre senza che questo smentisca Lacan, ma anzi a complemento di quanto egli asserì.
Mancano di un sostegno materno che sorregga il loro desiderio, la sua potenza creativa, e che rispecchiandoli nei primissimi anni di vita dica loro “cosa vogliono davvero”. Senza questo sostegno è impervio per un ragazzo capire cosa gli interessa, dove andare a trovarlo, cosa gli piace… e dunque, qual è il vero significato della sua ricerca. Senza il sostegno materno è difficile tenere lo sguardo dell’altro, i sismogrammi del suo desiderio, l’entusiasmo che nasce dal sentirsi amati e il terrore del non essere visti. E diventa quasi impossibile sopportare la grande, imperdibile lezione di ogni sconfitta.
Ma i giovani d’oggi mancano anche di padre: l’illimitato, lo sconfinato, l’infinito delle possibilità espressive garantito da una buona madre dev’essere posto a confronto con l’esame della realtà che frustra e che limita, con il “come van fatte davvero le cose per funzionare nel mondo degli uomini, delle regole, della collaborazione, delle organizzazioni”. Ma questi due ruoli, paterno e materno, che dovrebbero orientare, limitare e sostenere consentendo al soggetto di entrare nella realtà con la giusta grinta, spesso vengono disattesi.
La maternità non viene valorizzata, né culturalmente, né garantendo ad essa il giusto dispiegamento al meglio delle energie disponibili nella vita di una donna.
La paternità non viene vista come compito, anzi: sia l’autorevolezza che la funzione di guida, di esempio, di modello, di primazia del maschile adulto rispetto al fascino dell’infantile vengono misconosciute e malintese.
Al posto di queste due figure, i cui ruoli rimangono sempre più ambigui e ora persino culturalmente svalutati, i ragazzi di oggi trovano spesso persone incerte, immature, onnipotenti, che anziché dare chiedono ai figli di tutto. Soprattutto chiedono ai figli, ancora una volta, conferme alla loro identità vacante, in una prassi che depaupera e svilisce il diritto del figlio di essere visto per quello che è, non per quello che il genitore ha bisogno che sia per alimentare il suo narcisismo.
La catena dell’infelicità si perpetua dando l’avvio a generazioni di distratti, gaudenti, irrealizzati, sconfitti generati da una cultura che, come nel preveggente B-movie “Ideocracy”, li plasma a suo uso e consumo perennemente appagati ma continuamente insoddisfatti, come vuole la più perfetta definizione della soggettività dipendente. E saran tutti figli di un dio minore, non più capace d’asserire qualcosa come una nuda verità e di presentarla fieramente, spudoratamente al mondo dei vivi, costi quel che costi.
Di Diamante Nigro per ComeDonChisciotte.org
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(L’uso politico della droga – Continua – 6/7)
Tutti gli articoli della serie
LEGGI – L’USO POLITICO DELLA DROGA – CAPITOLO I
LEGGI – L’OPPIO PER I POPOLI – L’USO POLITICO DELLA DROGA – CAPITOLO II
LEGGI – ALDOUS HUXLEY: LA DROGA COME STRUMENTO DI POTERE – CAPITOLO III
LEGGI – OPERAZIONE BLUEMOON: L’EROINA COME ARMA NARCOTIZZANTE – CAPITOLO IV
LEGGI – LA “FORMA DROGA” DELLA CULTURA CONTEMPORANEA – CAPITOLO V
LEGGI – DROGA, CARRIERA E DESTINO – CAPITOLO VI
DROGA: NARCO-CAPITALISMO E CULTURA DELLA DIPENDENZA – CAPITOLO VII