DI CARLO BERTANI
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Oggi, che il dado è tratto, sappiamo cos’è stato il referendum per l’indipendenza della Catalogna: una colossale commedia, giocata su più tavoli per una posta che non c’era, e che continua a non esserci. Il comportamento di Madrid è stato consono al copione franchista, edulcorato con i modi del terzo millennio: pallottole di gomma al posto delle mitragliatrici, gogne mediatiche al posto del garrote, e chiusura dello spazio aereo al posto dei Messerschmitt di Hitler.
Anche i catalani hanno partecipato con dovizia alla rappresentazione, urlando che Madrid è la solita prevaricatrice, che il franchismo non è mai morto, che loro hanno gli occhi azzurri e i capelli biondi come i vicini francesi, che non amano la corrida e che hanno una loro lingua.
Se non fosse stata una commedia, tutto si sarebbe fermato quando la Corte Costituzionale spagnola ha dichiarato nullo il referendum: Rajoy poteva lasciarli tranquillamente votare, ma avrebbe perso la faccia nei confronti dei vecchi hidalgo e dei nuovi sostenitori, più attenti alla torcida notturna che alla corrida. E così, qualche pallottola di gomma, qualche idiota che si è messo a sparare con una carabina ad aria compressa, ma nulla d’irreparabile, business as usual.
Inutile ricordare che la tragedia fu ben altra cosa, ottant’anni or sono: forse, l’unico particolare da indagare, rimane la possibilità di capire quali sono le vie, o meglio, le scarse possibilità d’andarsene da uno Stato sovrano, ma restiamo ancora un poco in Spagna. Pardon, Catalogna.
Ero in Spagna, anzi, Catalogna, ovverosia fra Gerona e Barcellona sul finire degli anni ’70, ospite di una delle menti più attive per l’indipendenza. Che, all’epoca, pochi consideravano: già l’essersi scrollati di dosso Francisco Franco ed il suo sodale, Carrero Blanco, tolto di mezzo dalla CIA che prese le sembianze di terrorismo basco, comunista…o quant’altro…bastava ed avanzava. Già nel 1969, il KGB faceva circolare informazioni (di fonte americana) dove si narrava di un piano per sgombrare dalla storia i vetero dittatori iberici e, finalmente, far nascere la democrazia in quei Paesi. My God, consumano troppo poco!
Il cadavere di Franco era oramai gelido, nel suo mausoleo di Los Caìdos ma il franchismo era ancora vivo e vegeto, e nessuno fiatava. Era ancora vivido il ricordo dell’ultimo morto dell’ETA, Puig Antich, che non fu garrotato perché l’Europa si oppose alla barbarie: così lo fucilarono messo “al vento” fra due alberi, legato per i polsi e le caviglie, in modo che si vedesse da lontano la sua fine. Poi, gli spararono.
Anche la mia amica, che era una fervente indipendentista, rimaneva coinvolta dal mio scetticismo: e cosa cambierebbe? Allora, riconosceva che non si può sostenere che la Catalogna fosse la più ricca terra di Spagna, che le sue industrie mantenessero il resto del Paese, poiché dietro a molte industrie catalane c’erano investimenti andalusi, degli ex hidalgo dei latifondi, che si riciclavano nella nuova Spagna repubblicana. E il Banco di Santander? Oggi è una multinazionale, ma per due secoli raccolse la ricchezza ispanica dell’America Latina. E, oggi, è al 15° posto fra le banche mondiali, quando la prima delle italiane (Intesa San Paolo) è al 26° posto.
La Spagna, e questo è il punto importante da considerare, non è come l’Italia che ricorda appena i suoi fasti Latini…no, la Spagna continua a ricevere l’eredità di un intero continente, che parla spagnolo e pensa a Madrid come al faro della sua cultura. E non solo: quanti capitali tornarono in Spagna negli ultimi due secoli!
Per questa ragione l’indipendenza della Catalogna mi sembra una melodia stonata: nata da un matrimonio fra due regnanti, da 500 anni la Spagna ha vissuto ai margini dell’Europa, con il cuore più a Caracas o Buenos Aires che a Parigi o Berlino, almeno fino alla guerra civile.
In quei lontani anni non nascondevo il mio scetticismo: vi siete appena liberati di un peso, oltre Badajoz regna ancora Marcelo Caetano, e volete già buttare altra carne al fuoco?
Ma, in fondo al suo cuore, so quel quel sogno non poteva essere sradicato, anche se non aveva molto senso. Perché il vissuto dei catalani è indissolubilmente legato alla sconfitta, e relativa durissima reazione, nella guerra civile.
Così si discuteva, fra una sonata al piano ed un piatto di riso, di fronte al mare che occupava le grandi vetrate della casa di San Antoni, ma mi rendevo conto d’essere in una situazione radicalmente diversa da quella italiana, sia per il lunghissimo passato coloniale, sia per i legami culturali ed economici che aveva lasciato: solo più di dieci dopo sarebbero apparsi in Italia i primi manifesti della Lega, quelli con la gallina dalle uova d’oro che manteneva l’Italia e un nome, quello di un solingo senatore, tale Bossi.
Ogni regione d’Europa ha i suoi vissuti, ma proprio perché svaniti nelle nebbie della Storia sono inutili, inutile ricordare Pontida, il cardinale Ruffo, i Lanzichenecchi, Garibaldi…è storia passata, che oggi non ci può dare più niente. Se volessimo fare una sfilza di nomi di chi se ne vuole andare (o si ritiene una nazione a sé stante) sarebbe lunga: baschi, catalani, bretoni, provenzali, corsi, sardi, siciliani, lombardi, veneti, altoatesini, valloni, fiamminghi, bavaresi…e le mille dispute per capire se un alsaziano è francese o tedesco? E un abitante del Saarland?
E dopo?
Un’Europa che passasse da una ventina di Stati nazionali ad una quarantina di Stati regionali, farebbe andare in brodo di giuggiole le oligarchie che ci governano: ad un fiorire di piccoli stati sovrani, dovrebbe fare da contrappeso un maggior potere centrale. Non vi basta quello che hanno? E come lo usano?
A meno d’immaginare una sorta di vestito d’arlecchino con mille confini e dazi doganali che diventerebbero delle vere e proprie gabbie per le classi subalterne, mentre per i grandi capitalisti sarebbero facilmente valicabili.
Insomma, non vi rendete conto che la questione dei “localismi”, anziché risolvere dei problemi – il famoso “ognuno padrone a casa propria” – farebbe precipitare in un “ancora più schiavo nel proprio orticello”?.
Sono soltanto delle parole d’ordine create ad hoc dalle oligarchie per spennare meglio la gente!
La Lega, tanto per essere chiari, fu creata dal sen. Miglio il quale era uno dei pochissimi italiani ad essere abbonato al Deutsche Fernsehen, la televisione tedesca. In quegli anni, la Germania non immaginava ancora che sarebbe riuscita ad assumere quella posizione centrale, e di dominio, che ha oggi nell’Unione.
Per la prima volta, dopo la 2GM, soldati tedeschi varcarono (sotto l’egida dell’ONU, ovvio) i confini nazionali per andare dove? In Jugoslavia.
La Jugoslavia fece proprio quel percorso, dallo Stato nazionale ai piccoli Stati: molti, ancora oggi, rimpiangono Tito, ma non per Tito o il socialismo titino, bensì per l’appartenenza, senza troppe discussioni, ad un’unica entità.
Così, l’idea di staccare il Lombardo Veneto balenò dalle parti di Berlino, il sen. Miglio era disponibile…perché rinunciare a provarci? Salvo, poi, fargli fare la vita che fecero gli altoatesini i quali, poco prima e durante la guerra, vendettero i loro masi per andare a vivere in Baviera, dove finirono a fare gli schiavi dei tedeschi, Ma…non eravamo tutti tedeschi? Eh no…c’è chi è più tedesco e chi meno…
Dovremmo, allora, chiederci perché appartenere a queste entità, stabilite secoli or sono da regnanti sepolti nel dirupo della Storia, cambiati da avventurieri della politica o da rivoluzionari, perché dovrei sentirmi italiano o finnico?
Non c’è nessuna ragione per avvertire un senso d’appartenenza ad una nazionalità, se non fosse per la lingua, che c’accomuna (ecco, la dimensione multinazionale della Spagna!) e che consente di non sentirci circondati da persone che parlano strani idiomi. Di là di questo, nulla.
Forse sarebbe più opportuno che rivolgessimo le nostre attenzioni ad altri fenomeni, che ci circondano, come la presenza, direi quasi opprimente, di lavoro “a tempo”: oggi lavoro alla Coop, ma domani avrò un posto nella scuola, dopodomani sarò alle Poste, poi farò la stagione turistica estiva, mentre in Inverno andrò a lavorare in una fabbrica di panettoni.
Vi sembra questo il “rispetto” per il lavoratore sancito dalla Costituzione italiana?
Oppure per gli anziani: non sono riuscito ad andare in pensione prima del “ciclone” Fornero, poi ho tentato di raggiungere i 40 anni di contributi, ma non bastavano più, e allora mi sono travestito da APE, ma mi hanno detto che i miei contributi erano troppo bassi.
Un tempo, per fare la maestra, bastavano quattro anni d’Istituto Magistrale ma – forse che finendo così presto il percorso formativo si mettevano insieme, troppo presto, gli anni per la pensione? – adesso ci vogliono 5 anni di scuola superiore e 5 anni di formazione universitaria. Per fare la maestra.
Insomma, vogliamo capire che siamo governati da un’oligarchia finanziaria internazionale, che usa le consuetudini della democrazia borghese per i suoi sporchi fini? Siccome dovremmo averlo compreso, perché perdiamo il nostro tempo per dissertare se è meglio fare i lavoratori trimestrali in Padania od in Italia? In Catalogna od in Spagna?
Molti anni fa, primordi della Lega Nord che impazzava, bar del trevigiano con due sale: in una gli operai che giocavano a boccette ed infioravano la recente vittoria elettorale di Bossi, adesso sì che vedremo, che saremo, che faremo…
Nell’altra sala padroni, padroncini, commercianti…gente che giocava a scala un tanto a punto, ma con punti “pesanti”, tanto che ogni mano biglietti da diecimila e da cinquantamila passavano di mano. Cosa dicono? Ma lasciali dire…tanto io li rimpiazzo quando voglio con due “baluba” che vengono dall’Africa o dalla Romania…lasciali dire…chiudo!
E, adesso, guardatevi allo specchio e ditemi: ci tenete proprio tanto alla vostra indipendenza e ad una nuova identità? Se ci tenete proprio, andate avanti così. A Bruxelles sorridono, contenti come delle pasque.
Cralo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.it/
Link: http://carlobertani.blogspot.it/2017/10/tragedia-commedia-e-farsa.html
04.09.2017