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La Redazione

 

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L’indecisione perseguita l’Occidente e gli eventi sul fronte ucraino lo hanno mandato in tilt

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A cura di Markus
Il 11 Luglio 2023
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Alastair Crooke
english.almayadeen.net

Siamo – per il momento – sospesi nel vuoto tra gli eventi. Il caos che la stampa occidentale si aspettava (“con libidinosa eccitazione”) in Russia è arrivato, ma è esploso in Francia, dove non era previsto, e con Macron alle corde anziché Putin. In effetti, c’è molto da capire da questa interessante inversione delle aspettative e degli eventi.

Se il fallimento della discesa della Russia in un caos alla francese a seguito dell'”ammutinamento” di Prigozhin è l’aspetto iniziale dell’attuale vuoto senza direzione, l’altro punto fermo è (o si suppone che sia) il vertice NATO che inizierà l’11 luglio a Vilnius, durante il quale verrà ufficialmente sancita una nuova “direzione” dell’Occidente per il futuro dell’Ucraina (anche se, a questo punto, qualsiasi consenso sul suo futuro appare molto incerto).

I rapporti suggeriscono che l’intelligence occidentale era andata in confusione quando la marcia di Prigozhin su Mosca si era volatilizzata nel giro di poche ore, per poi riemergere come un accordo negoziato e (cosa sconcertante per gli analisti) per tranquillizzare tutta la Russia. Non riuscivano a capire: cosa stava succedendo? Prigozhin faceva sul serio o era solo una complicata partita a scacchi che si stava svolgendo sotto i loro occhi?

Quindi, per ora (in attesa di un chiarimento definitivo al vertice di Vilnius), i commentatori statunitensi (con alcune onorevoli eccezioni) hanno tutti premuto il “pulsante di default”: “congelare il conflitto, così com’è”, in questo modo Biden e la dottrina militare statunitense potrebbero risparmiarsi un’umiliazione. E, cosa ancora più importante, risparmiare temporaneamente alla NATO la domanda chiave: “serve ancora a qualcosa?”

È chiaro che l’approccio dottrinale della NATO al conflitto con qualsiasi avversario che non sia un’insurrezione poliglotta e poco armata è fallace. La NATO sta ancora combattendo la battaglia del 73° Easting nel deserto iracheno: Un “pugno corazzato” che, sostenuto dalla superiorità aerea, aveva colpito duro; un pugno che aveva scioccato l’avversario. Ma, come aveva ammesso il comandante statunitense di quella battaglia (il colonnello Macgregor), il suo esito era stato dovuto al caso. Ciononostante [questa battaglia] è diventata un mito della NATO, con una dottrina generale costruita intorno a questa circostanza unica.

La comunità dei servizi segreti occidentali era già alle prese con i video dei resti carbonizzati dei “mezzi corazzati” forniti dalla NATO all’Ucraina quando è arrivata la disfatta di Prigozhin.

Il problema dell'”opzione predefinita” (conflitto congelato) come “cosa fare dopo” è che non funzionerà. Anche perché la Russia non accetterà un conflitto congelato. Il Ministro Lavrov lo ha detto chiaro e tondo.

La ragione fondamentale per cui non funzionerà è un addendum non dichiarato dell’Occidente: anche se il conflitto dovrebbe essere “congelato”, l’Occidente ammette che fornirebbe alla “nuova Ucraina” le armi e i missili più recenti; la doterebbe di un esercito di quarta generazione e le darebbe anche un’aeronautica militare. Tutto questo, affinché l’Ucraina possa – come una matricola universitaria woke – “sentirsi al sicuro” nel suo spazio.

È una sciocchezza. Questa formula permetterebbe semplicemente alla NATO di ripetere gli eventi del 2014, quando, sulla scia del colpo di Stato di Maidan, l’Alleanza aveva allestito un formidabile esercito per i golpisti – in grado di reprimere il dissenso delle regioni orientali, in gran parte culturalmente russe (che contestavano la legittimità dei golpisti) – un esercito destinato anche ad essere in grado di assestare un colpo di grazia alle forze armate russe.

Un conflitto congelato sarebbe insostenibile anche per il semplice fatto che le due parti non sarebbero congelate nel senso basilare del termine: impegnate cioè in un conflitto in cui nessuna delle due parti riesce a prevalere sull’altra, arrivando ad una situazione di stallo.

In parole povere, mentre l’Ucraina è strutturalmente in stasi – e lo “Stato” è in bilico sull’orlo dell’implosione – la Russia, al contrario, è assolutamente plenipotente: ha grandi forze fresche. Domina lo spazio aereo e ha il controllo quasi totale del dominio elettromagnetico. Le sue linee di approvvigionamento “scorrono come fiumi in piena”.

Fondamentalmente, Mosca vuole che l’attuale collettivo di Kiev se ne vada. Di recente, il Ministero degli Affari Esteri russo ha dichiarato che, dopo il colpo di Stato di Maidan, lo Stato ucraino non ha alcuna posizione legale o legittimità, poiché né Poroshenko né Zelensky , dopo il Maidan, avevano approvato gli strumenti di riconciliazione con la Russia.

In poche parole: questo è il segnale che Mosca non ha alcuna intenzione di collaborare con l’Occidente nel montare la finzione che Kiev abbia combattuto contro la Russia fino ad arrivare ad una situazione di stallo, in cui nessuna delle due parti ha prevalso, dando così a Kiev una falsa posizione morale, come se, durante un incontro di pugilato, l’arbitro sollevasse il braccio di entrambi i pugili, malconci ma ancora in grado di combattere, e lo chiamasse “un pareggio”.

Il conflitto in Ucraina non è un “pareggio”.

Cosa succederà ora? Kiev è sottoposta ad un’immensa pressione da parte dell’Occidente affinché ottenga qualche successo militare sul campo di battaglia, un successo che l’Occidente possa indicare come prova di una potenziale capacità ucraina di nuocere alla Russia (per quanto effimera possa essere questa capacità). Kiev può obbedire o meno. In realtà, non è chiaro se possa farlo.

Molte sono le domande e poche le risposte. La NATO è divisa e l’Europa è scossa dagli eventi in Francia, dove le domande sono molte e le risposte poche.

Alastair Crooke

Fonte: english.almayadeen.net
Link: https://english.almayadeen.net/articles/analysis/indecision-haunts-the-west:-events-on-the-ukraine-front-send
08.07.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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