Simplicius the thinker
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Un nuovo articolo del NYTimes parla di Richard N. Haass, il presidente più longevo del Council on Foreign Relations, soffermandosi sulla sua decisione di dimettersi dall’istituzione, considerata il più antico dei thinktank politici americani. L’articolo analizza la lenta disillusione di Haass per la direzione che il Paese sta prendendo in un mondo in continua evoluzione.
Come accennato, il CFR è probabilmente la più antica delle istituzioni proto-globaliste americane.Era nata in parte nei giorni della Prima Guerra Mondiale come idea di Woodrow Wilson, all’epoca era denominata “The Inquiry” e, dopo la Prima Guerra Mondiale, aveva avuto il compito di ridisegnare a beneficio degli USA la mappa dell’Europa e del mondo. I primi membri erano “internazionalisti”, precursori del globalismo, e lavoravano dichiaratamente in nome dell'”ingegneria della politica governativa”.
Il CFR era decollato quando le grandi organizzazioni, come le Corporazioni Ford e Carnegie, nonché la Fondazione Rockefeller, avevano iniziato ad elargire annualmente ingenti somme di denaro. Lo stesso David Rockefeller era diventato direttore del Consiglio e il gruppo aveva avuto un ruolo formativo anche nella nascita della CIA.
Richard Haass è stato in carica durante il periodo di massimo fulgore dell’ideale del PNAC. Doveva essere l’epoca d’oro della gestione americana del mondo dopo la caduta della sua nemesi, l’URSS, la “fine della storia” proclamata da Francis Fukuyama, un fedele del PNAC e del CFR.
Ma, proprio come era successo a Fukuyama, sembra che anche l’ottusa visione del mondo di Richard Haass si sia inacidita con il passare degli anni e abbia cominciato a vedere la luce. Avevo già scritto in passato dei fallimenti di quel breve periodo di euforia del PNAC e di come persino Fukuyama, alla fine, avesse preso le distanze dalla barbarie neoconservatrice in Medio Oriente negli anni 2000:
Ora, uno dei più convinti sostenitori della crociata anglosassone per governare il mondo è disilluso e ritiene che gli Stati Uniti siano diventati, ironicamente, “la più grande minaccia alla sicurezza globale”:
L’articolo si apre puntualizzando che ciò che ha tenuto Richard Haass “sveglio la notte” negli ultimi due decenni è stato il solito carosello di “minacce” fittizie: Corea del Nord, Russia, Iran, Cina e persino il cambiamento climatico. Ma tutto questo fa parte del passato; ora Haass ritiene che la minaccia principale siamo “noi”.
Fino a poco tempo fa, questo stratega globale non avrebbe mai pensato ad una cosa del genere. Ma, secondo lui, il disfacimento del sistema politico americano significa che, per la prima volta nella sua vita, la minaccia interna ha superato quella esterna. Invece di essere l’ancora più affidabile in un mondo volatile, secondo Haass, sono gli Stati Uniti ad essere diventati una fonte profonda di instabilità e un esempio incerto di democrazia.
Haass lamenta poi che gli sviluppi politici interni dell’America non sono più motivo di emulazione per il resto del mondo. La pura imprevedibilità e “inaffidabilità” ormai endemica della cultura politica americana viene da Haass definita “velenosa” e un grosso ostacolo per gli alleati di lunga data.
Il problema è che Haass soffre della mancanza di autoconsapevolezza tipica della classe di sanguisughe burocratiche non elette a cui egli stesso appartiene, figure prive di quella responsabilità che altrimenti potrebbe appesantire le loro ciniche azioni. Queste persone sono libere di fare ciò che vogliono, passare anni nei thinktank ad elaborare politiche velenose senza nessun controllo politico da parte di un collegio elettorale.
Ora, allarmato da ciò che è diventato il Paese, un Paese che il suo stesso gruppo ha contribuito a destabilizzare, Haass dichiara che la prossima fase della sua vita sarà dedicata a diffondere la consapevolezza delle “virtù civiche”. Intende diventare una sorta di profeta itinerante, per ri-galvanizzare le masse emarginate, diseredate e disaffezionate che, a suo parere, sono le chiavi per la ricostruzione del futuro disastrato dell’America.
È una sorta di pellegrinaggio del penitente, dovremmo supporre. Forse il senso di colpa ha corroso ciò che resta della sua coscienza. Dopotutto, ricordiamo che questo è l’uomo che si era battuto per la dissoluzione della sovranità nazionale, in nome della “protezione degli interessi [delle nazioni]”, qualunque cosa significhi. Nel 2006 aveva sostanzialmente sostenuto l’abolizione totale del sistema uscito dalla Pace di Westfalia:
Nell’era della globalizzazione la sovranità statale deve essere modificata
Per 350 anni, la sovranità – l’idea che gli Stati siano gli attori centrali sulla scena mondiale e che i governi siano essenzialmente liberi di fare ciò che vogliono all’interno del proprio territorio, ma non all’interno del territorio di altri Stati – ha fornito il principio organizzativo delle relazioni internazionali. È giunto il momento di ripensare questa nozione.
Gli oltre 190 Stati del mondo coesistono ora con un numero maggiore di potenti attori non sovrani e, almeno in parte (e spesso in gran parte), indipendenti, che vanno dalle imprese alle organizzazioni non governative (ONG), dai gruppi terroristici ai cartelli della droga, dalle istituzioni regionali e globali alle banche e ai fondi di private equity. Lo Stato sovrano ne è influenzato (nel bene e nel male) nella misura in cui lui stesso è in grado di influenzarli. Il quasi monopolio del potere di cui godevano un tempo le entità sovrane si sta erodendo.
Di conseguenza, sono necessari nuovi meccanismi di governance regionale e globale che includano attori diversi dagli Stati. Questo non significa che Microsoft, Amnesty International o Goldman Sachs debbano sedere all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma che occorre includere i rappresentanti di queste organizzazioni nelle deliberazioni regionali e globali quando hanno la capacità di influenzare se e come le sfide regionali e globali dovranno essere affrontate.
Sì, nel terzo paragrafo qui sopra, sostiene effettivamente che Goldman Sachs e altre corporazioni dovrebbero avere un posto al tavolo della governance globale. Questo è un esempio dei parassiti globalisti presenti nei ranghi del CFR. Questi parassiti vogliono che organismi come il CFR stesso – dove gli oligarchi siedono fianco a fianco con i leader mondiali – diventino un esempio dirigista per la governance globale. La sua tesi è puramente pragmatica: dopo tutto, se organi globali onnipotenti come BlackRock esercitano un’influenza così vasta nell’attuazione del “cambiamento” (nel bene e nel male), perché non dare loro voce in capitolo, in modo che il loro potere possa essere utilizzato per azioni a fin di bene?
In superficie sembra tutto così idealisticamente ragionevole. Ma, ahimè, l’umanità non vuole e non ha bisogno di avere come “governanti benefici”, o addirittura portavoce, dei titani della cabala bancaria non eletti e onnipotenti. Non è così che la governance dovrebbe o potrà mai funzionare. Naturalmente, lo stipendio di Richard Haass è pagato proprio da quegli interessi che egli promuove: le fondazioni Ford, Carnegie, Rockefeller e altre, che sono i silenziosi finanziatori – e gli ancor più silenziosi beneficiari – di istituzioni come il CFR.
Dopo tutto, vi fidereste di un uomo che sostiene quanto segue, come da lui scritto in quello stesso articolo del 2006:
Inoltre, se si vuole che il sistema internazionale funzioni, gli Stati dovrebbero essere pronti a cedere una parte della propria sovranità agli organismi mondiali. Ciò sta già avvenendo nel settore del commercio. I governi accettano le decisioni dell’OMC perché, tutto sommato, traggono beneficio da un ordine commerciale internazionale, anche se una particolare decisione richiede la modifica di una pratica che sarebbe loro diritto sovrano portare avanti.
Per affrontare la minaccia del cambiamento climatico globale alcuni governi sono disposti a rinunciare ad una parte della loro sovranità. Nell’ambito di uno di questi accordi, il Protocollo di Kyoto, che rimarrà in vigore fino al 2012, i firmatari hanno concordato di limitare le emissioni specifiche. Quello che serve ora è un accordo successivo in cui un numero maggiore di governi, tra cui Stati Uniti, Cina e India, accettino limiti alle emissioni o adottino standard comuni perché riconoscono che starebbero peggio se nessun Paese lo facesse.
Conclude che “la sovranità deve essere ridefinita se si vuole che gli Stati affrontino la globalizzazione”. Molto comodo, è il vecchio ritornello tesi > antitesi > sintesi. Le élite creano la “globalizzazione” per intrappolare il mondo sotto il giogo consumistico e poi hanno la faccia tosta di sostenere che le nazioni dovrebbero cedere la loro sovranità per “far fronte” a questo costrutto artificiale, come se si trattasse di una qualche malattia “naturale” contro la quale bisogna vaccinarsi, e non di un vero e prorio stupro completamente arbitrario, illegale e antidemocratico.
La globalizzazione implica quindi che la sovranità non solo si sta indebolendo nella realtà, ma che deve indebolirsi. Gli Stati farebbero bene a rinunciare alla loro sovranità per proteggersi, perché non possono isolarsi da ciò che accade altrove. La sovranità non è più un rifugio.
Ma nel pezzo elogiativo del NYTimes, Haass continua ad insistere sul fatto che la “rifusione” della democrazia è ora diventata una “preoccupazione per la sicurezza nazionale”. Il fatto che il leader più longevo di un gruppo che ha sempre spinto quelle stesse politiche che ora gli si stanno ritorcendo contro, appaia così sorpreso dagli effetti che ne sono derivati, deve lasciare molti – come il sottoscritto – alquanto perplessi. Cosa pensavano che sarebbe successo alla loro preziosa “democrazia” dopo aver passato decenni a promuovere politiche illiberali e l’abnegazione della sovranità statale e corporea (ricordiamo che il CFR e i gruppi ad esso collegati avevano pesantemente avallato i vaccini e la frode Covid; in effetti, lo stesso Haass ha scritto articoli firmati CFR sulla questione).
Ora sono terrorizzati dal fatto che il narcisismo patologico, che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni di politica estera americana, possa aver generato un mondo di instabilità e di frammentazione interna che ha privato le nuove generazioni di un futuro un tempo promettente.
In linea con il mio articolo “Come la caduta dell’URSS aveva scatenato i Neoconservatori in una corsa all’oro all’Heartland“, la svolta fatalista di Richard Haass mi ha fatto capire che l’era post-Guerra Fredda sarà probabilmente ricordata come una breve “belle epoque” americana. Quella che la dichiarazione di Fukuyama intendeva inaugurare, l’era della democrazia liberale americana come ordine utopico globale ascendente, sarà invece riferita ad una parentesi di una ventina d’anni tormentati – dall’inizio degli anni Novanta al 2010 circa – durante i quali l’America aveva goduto dei frutti dello status di unica “superpotenza”, sprecandoli però nella sua sanguinaria e immorale ricerca del dominio totale.
Ora che il karma ha avvelenato i pozzi e cosparso di sale il terreno, trasformando il paesaggio americano in un orrore funereo di perversione antitradizionalista, dilagante a sua volta nell’immoralità e nell’illegalità dei governi, Haass trova finalmente il coraggio di preoccuparsi per il suo povero Paese:
Nell’ultimo secolo, l’America aveva vissuto altri periodi di divisione e di discordia: Jim Crow, il Maccartismo, il Vietnam, i diritti civili, il Watergate. Gli assassinii, le rivolte e la guerra del 1968 vengono spesso ricordati come un periodo singolarmente infelice nella vita della nazione. Ma Haass considera il presente ancora peggiore. “Non si trattava di minacce al sistema, al tessuto”, dice. “Ecco perché penso che questo sia più significativo”.
Ah, ecco la differenza. Non si tratta di un senso di nostalgia patriottica o di ritrovata pietà, ma piuttosto del timore che il marciume possa aver raggiunto le fondamenta del suo amato “sistema”. E quale sarebbe questo sistema, vi chiederete? Di certo l’autore non si riferisce allo stesso sistema americano che molti ricordano con affetto, quello che un tempo possedeva una parvenza di integrità morale e intellettuale.
No, il sistema che teme di perdere è quello del controllo privilegiato di cui lui e la sua “intoccabile” classe di globalisti hanno goduto per tanto tempo, mentre l’America era accecata dall’euforia della caduta della sua arcinemica.
Qualcuno potrebbe mettere in dubbio il fatto che io condanni gli USA ad un destino inalterabile. Dopo tutto, forse rimane un briciolo di speranza che la “palude” possa essere prosciugata da qualche nobile salvatore della classe politica. È vero, possiamo aspettarci una qualche forma di inversione di tendenza, perché la natura è, dopo tutto, ciclica. Tuttavia, credo che, per molti versi, il tempo dell’America sia finito per sempre, semplicemente perché gli spostamenti tettonici dal modello unipolare non potranno mai essere riparati.
Anche se un giorno l’America stessa potrà riformare la corruzione che la permea, non potrà mai riconquistare ciò che non c’è più: il prestigio e la fiducia perduti sulla scena mondiale e, soprattutto, la quota di mercato persa nell’economia globale a favore di potenze in ascesa come la Cina, che hanno un vantaggio demografico insormontabile. Senza contare che gli stessi irreversibili problemi demografici dell’America l’hanno condannata a cedere la sua preminenza nell’innovazione, soprattutto quando gli emigranti H-1B [*], che attualmente alimentano la maggior parte dell’innovazione, si esauriranno sulla scia del declino del dollaro.
No, una volta che il sistema di riserva del dollaro sarà scomparso per sempre, non tornerà mai più. Il mondo sarà sicuramente migliore, ma l’America dorata dell’idea fissa di Haass è finita da un pezzo.
Il brillante profilo del NYTimes si conclude così:
Dopo aver esplorato gli altri Paesi per la maggior parte dell’ultimo mezzo secolo, Haass è pronto a esplorare il proprio. Messo da parte per ora il cappello della politica estera, ha detto di voler ampliare il messaggio del suo libro e di voler contribuire a ri-orientare il Paese sui valori fondamentali incarnati dalla Dichiarazione d’Indipendenza, quando fra tre anni ricorrerà il 250° anniversario del documento.
Ve lo immaginate? Un uomo che ha sempre sostenuto l’abolizione della sovranità nazionale ora rivendica la santità della Dichiarazione d’Indipendenza, un documento che emblematizza gli stessi principi della sovranità dell’America, da cui sembrava rifuggire come un vampiro dall’aglio. Per non parlare del fatto che il paragrafo sottolinea il principale difetto di Haass: ha trascorso la maggior parte dell’ultimo mezzo secolo ad “esplorare altri Paesi” trascurando miserevolmente il proprio. Non avrebbe dovuto mettere ordine in casa propria, invece di escogitare modi per dividere il resto del mondo tra i suoi coetanei banchieri?
In definitiva, le persone con occhi attenti che sanno analizzare l’eufemistico linguaggio globalista di cui si servono così spudoratamente i sodali di Haass possono vedere che il “sistema” frammentato che loro piangono non è quello della “democrazia” o della “libertà”, o qualche altro vacuo concetto per il quale vorrebbero far credere di lottare. No, ciò che fa veramente fa arruffare loro penne è l’ascesa del nazionalismo, dei valori tradizionali, del conservatorismo e degli altri oppositori della piaga neoliberista globalista che affligge il mondo occidentale. La nuova crociata di Haass si concentra proprio su questo. Non gli interessa rieducare gli americani alle “virtù civiche” della Dichiarazione d’Indipendenza: sono solo sciocchezze per il volgo che ci distraggono dal vero sforzo.
Ciò che ha veramente scosso le fondamenta dei globalisti è il fatto che gli americani stanno riscoprendo quelle stesse virtù civiche che Haass e i suoi simili avevano così assiduamente cercato calpestare sotto la copertura della campagna di menticidio di massa portata avanti dal complesso militare-industriale-corporativo-mediatico. E queste virtù sono minacce esistenziali per il CFR e per i thinktank globalisti che stanno attaccati al cuore fibrillante dell’America come tumori parassitari.
Quindi, non credo che Haass stia cavalcando verso il tramonto cercando in buona fede di riempire la coppa morale dell’America, penso piuttosto che si stia imbarcando in una nuova crociata per affrontare le presunte crisi della “supremazia bianca/nazionalismo” e della “disinformazione” che i suoi simili fanno di tutto per dipingere come minacce. Sotto l’eufemismo delle “virtù civiche” partirà invece una campagna di rieducazione per inculcare alle nuove generazioni americane la paura e la sfiducia nei confronti di cose come la libertà di parola e il populismo, sotto l’antico spettro della “disinformazione” e dello specioso collegamento di questa con il “razzismo, la xenofobia e la supremazia dei bianchi”.
L’intento, come sempre, sarà quello di instillare negli americani il senso della verità; la verità corretta™, cioè. Temo quindi che Haass non si stia davvero avviando verso il crepuscolo, ma che stia piuttosto passando da un ruolo amministrativo a quello di agente sul campo per l’astroturfing. Dopotutto, il Consiglio, come la CIA, dovrebbe concentrarsi sulle minacce e sui problemi “esteri”, quindi il lavoro in “patria” deve essere svolto sotto mentite spoglie.
Ma non preoccupatevi, il CFR è in buone mani con il suo nuovo presidente Michael Froman. Questo articolo di Politico descrive in dettaglio la meticolosa ricerca di un nuovo candidato “inclusivo”:
“Vogliono un candidato diverso”, ha detto questa settimana qualcuno vicino al CFR, pochi giorni prima della nomina di Froman. “Ai vertici ci sono sempre stati uomini bianchi e vecchi“.
Alla fine si sono accontentati di un’altra persona:
Anche se sembra che la sua appartenenza al B’nai B’rith possa essere considerata abbastanza diversificante da soddisfare i loro parametri.
Beh, brindiamo alla nuova era del CFR; se sarà “fruttuosa” anche solo la metà del regno di Haass, Froman potrebbe essere ricordato come il suo Augustulus.
Simplicius the thinker
Fonte: simplicius76.substack.com
Link: https://simplicius76.substack.com/p/the-sun-sets-on-richard-n-haasss
03.07.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
[*] Il programma H-1B si applica ai datori di lavoro che cercano di assumere stranieri non immigrati in occupazioni speciali per cui occorrono merito e capacità. Un’occupazione speciale è quella che richiede l’applicazione di un insieme di conoscenze altamente specializzate e il conseguimento di almeno una laurea o di un titolo equivalente. L’intento delle disposizioni H-1B è quello di aiutare i datori di lavoro che non sono in grado di ottenere le competenze e le capacità aziendali necessarie dalla forza lavoro statunitense, autorizzando l’impiego temporaneo di persone qualificate di nazionalità non americana, a cui normalmente non sarebbe permesso lavorare negli Stati Uniti. N.D.T.