La truffa dei test sierologici

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Rosemary Frei, MSc
rosemaryfrei.ca

Il mondo è fissato da mesi sui test PCR per il nuovo coronavirus, il tracciamento dei contatti e la vaccinazione.

Nel frattempo, un’altra parte importante del complesso biomedico che ruota attorno al Covid ha ricevuto molta meno attenzione: quella che utilizza anticorpi per rilevare, diagnosticare e trattare l’infezione del nuovo coronavirus.

A questo scopo, da gennaio 2020 sono stati approvati centinaia di test sierologici. E altre centinaia sono pronti per essere commercializzati a breve.

Questo fa parte della corsa all’oro biomedica: già dalla scorsa estate, questi test erano sulla buona strada per diventare il prodotto medicale più redditizio, con un fatturato globale previsto per il 2024 di quasi mezzo trilione di dollari. [In questo settore], margini di profitto nell’ordine del 67% non sono rari.

Giganti farmaceutici come AstraZeneca, Novartis, GlaxoSmithKline ed Eli Lilly sono tra le aziende che si sono accaparrate le fette più grandi del mercato dei test sierologici contro il nuovo coronavirus. Alcune delle agenzie governative più potenti, tra cui l’Istituto Nazionale di Allergia e Malattie Infettive degli Stati Uniti di Anthony Fauci e la Defense Advanced Research Projects Agency degli Stati Uniti, lavorano in sinergia (come si può vedere, per esempio, nella penultima sezione di questo articolo, quella sugli anticorpi usati per trattare il Covid).

Praticamente, tutti gli studi e tutto il materiale di marketing relativo al Covid si basa sulla premessa che gli scienziati possano identificare senza ombra di dubbio la presenza del nuovo coronavirus (noto anche come SARS-CoV-2) nel materiale con cui stanno lavorando.

Il compito di tale identificazione è solitamente affidato ad anticorpi che, in teoria, dovrebbero legarsi al nuovo coronavirus. Il presupposto è che questi anticorpi siano in grado di individuare il virus, e solo quel virus, tra tutti gli altri microrganismi e le sostanze che lo circondano.

Purtroppo, si scopre che gli anticorpi raramente (se mai) si comportano in questo modo. Questo è dovuto, tra le altre cose, ad una inadeguata verifica della selettività degli stessi anticorpi nel colpire il virus bersaglio da parte delle aziende che li producono e li vendono. E ci sono ancora meno verifiche da parte degli enti regolatori governativi.

Diamo uno sguardo ad un paio delle principali caratteristiche dell’industria dei test sierologici, dove denaro e complessità abbondano.

Si possono creare anticorpi in grado di legarsi ad un solo tipo di virus piuttosto che ad un altro?

Gli anticorpi sono particelle minuscole, altamente specializzate, del nostro sistema immunitario. Una delle loro funzioni principali è quella di cercare virus e batteri che, teoricamente, potrebbero causare malattie. Gli anticorpi si legano e neutralizzano questi germi in modo che non possano più moltiplicarsi e diffondersi.

Gli esseri umani e i loro antenati, per difendersi dalle infezioni hanno prodotto anticorpi per migliaia di anni. Poi, qualche decennio fa, le aziende hanno iniziato ad interessarsi alla scoperta e alla manipolazione degli anticorpi, in collaborazione con i laboratori universitari.

Ci sono due categorie principali di test sierologici. Una è quella che utilizza gli anticorpi ‘policlonali’. Questi sono i normalissimi anticorpi che si legano ad una vasta gamma di sostanze e/o microrganismi diversi.

L’altra è quella che si serve degli anticorpi monoclonali. Come implica il nome, la loro sintesi avviene tramite clonazione. Prima di tutto si identifica un anticorpo specifico per la particolare sequenza di aminoacidi (gli aminoacidi sono i mattoni delle proteine) a cui si è interessati, per esempio, quella di una proteina della superficie di un virus o di un batterio. Successivamente, la cellula del sistema immunitario che ha prodotto quel particolare anticorpo viene “clonata” in laboratorio. Come risultato, tutta la serie di anticorpi monoclonali che ne deriva si legherà esclusivamente a quella particolare sequenza di aminoacidi.

Per chiarire questo punto, ho inviato una mail ad una delle principali autorità mondiali di lingua inglese sugli anticorpi monoclonali, il professore della Harvard Medical School, Clifford Sape. Gli ho chiesto se è vero che, come sostiene la maggior parte dei produttori di anticorpi, è possibile creare un anticorpo monoclonale specifico per (cioè che si leghi a) un solo tipo di virus o un solo tipo di microrganismo.

Saper ha risposto [grassetto e corsivo aggiunti]: “No, non esiste un anticorpo monoclonale che, in quanto monoclonale, riconosca solo una proteina o solo un virus. Si legherà a qualsiasi proteina che abbia la stessa sequenza (o una molto simile).”

L’implicazione della dichiarazione di Saper è che qualsiasi tentativo di usare un anticorpo monoclonale per verificare la presenza del nuovo coronavirus produrrà un gran numero di risultati falsi positivi, che indicheranno che è stato rilevato il nuovo coronavirus quando, in realtà, non è così. Questo perché c’è un’alta probabilità che l’anticorpo monoclonale si leghi a qualcos’altro oltre che al virus bersaglio (questo fenomeno è noto come ‘reazione crociata’).

(Raccomando questo articolo di Saper, questo e questo in collaborazione con professore di patologia di Yale, David Rimm, a chiunque si interessi di validazione anticorpale).

Infatti, la stragrande maggioranza degli anticorpi tradizionali e degli anticorpi monoclonali commercializzati come specifici per il nuovo coronavirus erano stati sviluppati anni fa per rilevare la SARS-CoV-1. Erano stati poi semplicemente riproposti per identificare la SARS-CoV-2, con pochissimi controlli, se non addirittura nessuno, per verificare se reagivano anche con altri microrganismi o altre sostanze.

Ho chiesto conferma di questa “riproposta” a Zhen Lu, la responsabile del marketing per il Nord America della Sino Biological, una società con sede a Pechino che sviluppa e vende, tra le altre cose, centinaia di anticorpi. Lu mi ha risposto via e-mail: “Sì, gli anticorpi vengono riproposti.”

Ho anche controllato, e ricevuto conferma, da Pratiek Matkar, senior staffer di BenchSci, una società di database di anticorpi. E, per vedere con i miei occhi, sono entrata nel database di BenchSci (Matkar mi aveva concesso un account temporaneo), ho selezionato tutti gli anticorpi per il nuovo coronavirus, e ho cercato di vedere quali organismi fossero stati usati per i test di reattività crociata. Il SARS-CoV-1 è stato l’unico che ho potuto rilevare da questo controllo.

Questo spiega una cosa che avevo osservato la settimana scorsa: Sino Biological aveva appena cambiato il contenuto della home page nella sezione del suo sito web dedicato agli anticorpi contro la SARS-CoV-2. La pagina ora annuncia che hanno introdotto nuove “coppie di anticorpi abbinati” che funzionano meglio nella rilevazione del virus. La coppia consiste in un “anticorpo di cattura” e in un “anticorpo di rilevazione.”

Sostengono anche che queste coppie sono più accurate nel rilevare il nuovo coronavirus e che “hanno un’alta specificità, senza reattività crociata con MERS-CoV, [o con i comuni coronavirus umani] 229E, NL63, HKU1, [e] OC43.”

L’unico modo in cui posso interpretare questa modifica è che [alla Sino Biological] sappiano che gli anticorpi che hanno commercializzato per mesi come specifici per il nuovo coronavirus si legano ad altro, ad esempio, ai comuni coronavirus umani.

Come vengono usati gli anticorpi nei test per il nuovo coronavirus?

Il più usato di questi test sierologici contiene anticorpi che dovrebbero essere specifici per il nuovo coronavirus. Se nel campione di sangue analizzato è presente il coronavirus gli anticorpi si legheranno ad esso e, di conseguenza, il test darà un risultato positivo.

Un altro tipo di test sierologico contiene alcune sequenze proteiche del nuovo coronavirus; se nel campione di sangue sono presenti gli anticorpi contro il virus, questi si legheranno alle sequenze proteiche virali e produrranno un risultato positivo.

Si suppone che i produttori conducano controlli di accuratezza sui loro test kit prima di metterli in commercio. Questi controlli consistono in gran parte nella stima dei tassi di falsi positivi e di falsi negativi.

Tuttavia, le aziende fanno questo sommario controllo di accuratezza solo su pochissimi virus campione e, raramente, su batteri o su qualsiasi altra delle varie sostanze biologiche presenti nel sangue.

Con controlli così inadeguati e con il forte incentivo delle aziende a far apparire validi i loro prodotti, com’era stato documentato lo scorso maggio da David Crowe, i produttori spesso registrano un tasso significativo di falsi positivi. Le cause dei falsi positivi possono essere innumerevoli, dal virus del Nilo Occidentale a vari tipi di coronavirus umani.

Di solito, le aziende e i governi considerano il problema insignificante. Di tanto in tanto, però, i test kit sono così scadenti che vengono ritirati dal mercato.

Per esempio, un kit test sierologico venduto da una società chiamata Chembio Diagnostics era stato lanciato il 31 marzo 2020. La US Food and Drug Administration (FDA) aveva quasi subito concesso l’autorizzazione per l’uso di emergenza (EUA). Una EUA permette alle aziende di lanciare prodotti sul mercato con una minima supervisione. Anche il Brasile e l’Unione Europea avevano dato il via libera alla vendita del test Chembio nelle loro giurisdizioni, rispettivamente ad aprile e a maggio 2020.

Poi, nel giugno 2020 la FDA lo aveva ritirato dal mercato. L’agenzia aveva dichiarato che “questo test genera un tasso di risultati inattendibili superiore al previsto.” (Si noti che la tabella in alto a pagina 13 dell’inserto riguardante il ritiro del test Chembio indica una reazione crociata con il coronavirus umano 229E).

Ma, nel novembre 2020 il test sierologico Chembio era stato nuovamente approvato per l’uso in Brasile. E, il 14 gennaio 2021, il test aveva ottenuto l’approvazione nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Irlanda.

[Questo nuovo test] è forse simile al precedente, talmente impreciso da essere ritirato dal mercato lo scorso giugno? È difficile dirlo. Non sono riuscita a trovare nessun foglietto illustrativo del prodotto. In effetti, anche sulla sua pagina web ci sono pochissime informazioni; le informazioni vanno richieste. Ho inviato una richiesta il 23 gennaio e non ho ancora ricevuto risposta.

Due dei supervisori del dipartimento della FDA che dovrebbe approvare questi kit test hanno pubblicato un articolo sul New England Journal of Medicine del 18 febbraio 2021. In esso, i due ammettono che gli EUA della FDA hanno dato luogo approvazioni troppo facili per i test sierologici.

Sottolineano che la FDA ha rafforzato i propri criteri per l’approvazione di questi test. Parlano anche degli sforzi di altre agenzie governative nella valutazione dei test sierologici. Ma non dicono una parola sulla necessità di una convalida oggettiva e completa di questi test. Tacciono anche sul fatto che le EUA vengano ancora concesse.

(Si noti anche che, secondo le tabelle della FDA e di Health Canada, i 65 test sierologici approvati fino ad oggi negli Stati Uniti e i 19 approvati fino ad oggi in Canada continuano a definire la sensibilità [l’identificazione corretta dei campioni positivi] dei test come “consenso percentuale positivo” e la specificità [l’identificazione corretta dei campioni negativi] come “consenso percentuale negativo.” Queste sono misure di accuratezza relative, cioè paragonate ad altri test, piuttosto che di accuratezza oggettiva/assoluta e perciò facsimili poveri di accuratezza).

Una delle tante figure di spicco del complesso biomedico che ruota attorno al Covid e che sta alacremente lavorando alla catena di montaggio dei test sierologici è Ian Lipkin, il direttore del Centro per l’infezione e l’immunità alla Columbia University di New York. Lipkin è coinvolto ad alto livello in molte organizzazioni globali, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Fondazione Bill & Melinda Gates, così come in varie aziende farmaceutiche. (Ed è citato nel ‘fact-check’ di un articolo del luglio 2020, di cui sono coautrice con Patrick Corbett, dal titolo: “Nessuno è morto per il coronavirus.” Lipkin nel fact-check afferma, tra le altre cose, che “i teorici della cospirazione non vengono persuasi dai dati“).

Lipkin è co-autore di un documento del 12 febbraio 2021, in cui lui e il suo team affermano di aver identificato, utilizzando una nuova tecnologia di loro invenzione denominata “peptide-microarray,” 29 sequenze di aminoacidi univoche per il nuovo coronavirus. Secondo loro, si potrebbero creare anticorpi specifici per queste sequenze, anticorpi che, a loro volta, potrebbero essere sfruttati “per facilitare la diagnostica, l’epidemiologia e la vaccinologia” del Covid. (L’unico conflitto che Lipkin e alcuni dei suoi coautori rivelano alla fine dell’articolo, nel paragrafo “interessi concorrenti,” è quello di aver inventato la tecnologia peptide-microarray descritta nell’articolo).

Gli anticorpi usati per la terapia del Covid funzionano meglio?

Gli anticorpi vengono commercializzati anche per il trattamento del Covid. Alcuni sono venduti singolarmente (sono noti come ‘monoterapia’) e altri in coppia. Si ritiene che conferiscano un”immunità passiva‘.

Tra le coppie di anticorpi più segnalate per il trattamento del Covid c’è quella degli anticorpi monoclonali Regeneron: casirivimab e imdevimab. Questa coppia sarebbe stata utilizzata nell‘ottobre 2020 per trattare l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump. La combinazione aveva successivamente ottenuto un EUA dalla FDA, il 21 novembre 2020. Attualmente è in fase di valutazione per l’approvazione da parte di Health Canada.

Vorrei concentrarmi su un anticorpo monoclonale un po’ meno conosciuto chiamato bamlanivumab. Viene usato sia singolarmente che in coppia per il trattamento di pazienti Covid sintomatici nelle fasi iniziali dell’infezione. L’anticorpo è stato scoperto, e lo studio clinico è stato iniziato, dall’Istituto Nazionale Americano di Allergia e Malattie Infettive (che è diretto da Anthony Fauci) e da una società di Vancouver, nella British Columbia, chiamata AbCellera Diagnostics. L’anticorpo è prodotto e venduto da Eli Lilly. Costa più di 1200 dollari a fiala.

AbCellera sta sviluppando tutta un’altra serie di anticorpi. Negli ultimi due anni la sua attività nel settore si è sviluppata grazie al programma Pandemic Prevention Platform, patrocinato dalla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA).

(AbCellera ha anche ricevuto centinaia di milioni di dollari dal governo canadese, inclusa la costruzione di un impianto per la produzione di anticorpi. Peter Thiel, cofondatore sia PayPal che di Palantir, è un membro del consiglio di amministrazione. Così come John Montalbano, che è anche nel consiglio del Canada Pension Plan Investment Board e, fino al 2015,  CEO di RBC [Royal Bank of Canada] Global Asset Management. L’11 dicembre 2020, queste sponsorizzazioni ed una significativa copertura mediatica positiva avevano permesso all’azienda di usufruire della più grande Offerta Pubblica Iniziale per un’azienda biotecnologica canadese, almeno fino ad oggi,).

Il 9 novembre 2020, il bamlanivumab ha ricevuto una EUA dalla FDA per il trattamento del Covid da lieve a moderato. E, il 17 novembre, Health Canada ha concesso alla monoterapia un’autorizzazione provvisoria. In Canada, [questa terapia] non sta ottenendo molto favore nella pratica clinica, forse a causa dei risultati non proprio esaltanti dagli studi clinici (vedi sotto).

Ma questo non ha scoraggiato i governi federali canadese e statunitense, che, insieme, hanno acquistato quasi mezzo milione di dosi. Più di recente, il 26 febbraio, il governo statunitense ne ha acquistate altre 100.000.

L’unico studio sul bamlanivimab reso pubblico prima dell’approvazione della FDA del 9 novembre era stato quello pubblicato il 1° ottobre 2020 sul sito della rivista online bioRχiv. [Nei miei articoli del 3 febbraio 2021 e dell’11 febbraio 2021, [tradotti e pubblicati su CDC] rispettivamente sulle nuove varianti e sugli studi di modellazione ad esse associati, avevo fatto notare che la rivista e la sua pubblicazione sorella, medRχiv, contengono solo articoli non peer-reviewed e sono state create da un’organizzazione guidata da Mark Zuckerberg e da sua moglie].

Lo studio aveva utilizzato scimmie rhesus e forniva molti dettagli su come l’anticorpo era stato scoperto e controllato per la specificità al nuovo coronavirus. I ricercatori avevano concluso che l’anticorpo, all’epoca noto come LY-CovV555, “ha una potente attività neutralizzante” contro il SARS-CoV-2.

Il 14 gennaio avevo inviato un’e-mail al primo firmatario di quel lavoro, Bryan Jones. È un ricercatore del programma di ricerca biotecnologica di Eli Lilly. Avevo chiesto a Jones dove si trovava la prova della specificità dell’anticorpo per il SARS-CoV-2.

Mi aveva risposto subito [grassetto aggiunto]: “Anche se abbiamo determinato che LY-CoV555 è specifico per il SARS-CoV-2 (e non si lega alla proteina spike di SARS-CoV), questo non è specificato o dettagliato in nessuna delle figure o tabelle [del documento].”

Jones mi aveva indicato diverse parti dell’articolo e del materiale supplementare pubblicato insieme ad esso, che, secondo lui, dimostrerebbero, tramite estrapolazione indiretta, che l’anticorpo è specifico per il nuovo coronavirus.

La cosa non mi sembra molto convincente.

Successivamente, il 22 dicembre, uno studio nel New England Journal of Medicine aveva dato pollice verso all’utilità del bamlanivimab per i pazienti ricoverati con diagnosi di Covid. L’articolo del New England faceva notare che, alla fine di ottobre, lo studio era stato interrotto perché l’anticorpo aveva dimostrato sui pazienti la stessa efficacia del placebo.

Ma questo non aveva scoraggiato Lilly. Il 21 gennaio 2021, l’azienda aveva rilasciato un comunicato stampa riguardante uno studio sul bamlanivumab nei residenti e nel personale delle case di riposo. Secondo l’azienda lo studio dimostrava che l’anticorpo “riduceva significativamente il rischio di contrarre il COVID-19 in forma sintomatica.

Tuttavia, non avevano fornito molte informazioni a sostegno della tesi. Lo studio non è stato ancora pubblicato su una rivista o presentato in qualche incontro medico-scientifico. E non si sa quando lo sarà.

Nonostante ciò, la stessa mattina in cui era uscito il comunicato di Lilly, sui principali media erano apparsi articoli entusiasmanti, che affermavano che lo studio aveva dimostrato che il bamlanivumab sembrava ridurre significativamente i sintomi del Covid negli anziani fragili.

Per esempio, il 21 gennaio, su Bloomberg era apparso un articolo dal titolo: “Eli Lilly Antibody Cuts Covid-19 Risk Up to 80% in Nursing Home Study” [L’anticorpo di Eli Lilly riduce il rischio di Covid-19 fino all’80%, secondo uno studio nelle case di riposo]. L’articolo era stato riportato da molti altri media, come il Globe & Mail.

L’articolo citava il responsabile scientifico di Lilly, Daniel Skovronsky, che avrebbe affermato: “Questa è una situazione urgente. Nelle case di riposo dove c’è un’epidemia e i presenti non hanno ancora ricevuto il vaccino, questo potrebbe essere un modo per proteggerli prima che lo ricevano.”

E il pezzo del 21 gennaio del New York Times della giornalista scientifica Gina Kolata cita un esperto di vaccini del Boston Children’s Hospital, Ofer Levy, che non era uno degli ricercatori coinvolti nello studio, che avrebbe affermato: “Qui vedo solo aspetti positivi. Questa è una vittoria.”

La Kolata ha anche riferito che Lilly ha intenzione di chiedere alla FDA un EUA per il bamlanivimab per la prevenzione del Covid negli anziani fragili, in modo particolare quelli in case di cura e di riposo.

Contemporaneamente, Lilly sta facendo perno sull’uso del bamlanivumab in combinazione con un altro anticorpo monoclonale, chiamato etesevimab. Uno studio su questa combinazione in pazienti con Covid lieve o moderato è stato pubblicato il 21 gennaio 2021. I risultati indicano che non riduce i sintomi, ma abbassa solo la carica virale.

Neanche questo ha scoraggiato Lilly; sta facendo girare questo studio sui media presentandolo come un risultato molto positivo. E lo stesso fa la FDA: il 9 febbraio l’agenzia ha rilasciato un EUA per la combinazione dei due anticorpi nel trattamento del COVID lieve o moderato.

Il colpo di scena successivo è avvenuto il 16 febbraio: un articolo pubblicato quel giorno su bioRχiv ha indicato che bamlanivumab non neutralizza le varianti sudafricane e brasiliane del nuovo coronavirus.

Lascio l’ultima parola a Scott Adams

Scott Adams, il creatore di Dilbert, il personaggio dei fumetti, fa questa osservazione a pagina 13 del suo libro Loserthink: “Una cosa che posso dire con assoluta certezza è che è una cattiva idea fidarsi della maggioranza degli esperti in qualsiasi campo in cui siano coinvolti complessità e grandi quantità di denaro.”

Questo descrive perfettamente la situazione dei test sierologici per il nuovo coronavirus.

Attenzione acquirenti, seguite i soldi e restate sintonizzati.

 

Rosemary Frei, MSc

Fonte: rosemaryfrei.ca
Link: https://www.rosemaryfrei.ca/the-antibody-deception/
02.03.2021
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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