La soluzione a due Stati e l’opzione nucleare di Israele

Un nuovo Stato palestinese non potrà mai essere libero finché il suo vicino, Israele, possiederà armi nucleari.

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Scott Ritter
consortiumnews.com

Il 25 ottobre, il giorno prima dell’attacco a sorpresa di Hamas contro Israele e la successiva rappresaglia israeliana su Gaza, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva dichiarato in un discorso televisivo che, per quanto riguarda le relazioni tra Palestina e Israele, “non si può tornare allo status quo del 6 ottobre“.

Le parole di Biden avevano fatto eco a quelle del segretario di Stato, Antony Blinken, che, il giorno prima, aveva dichiarato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che non ci sarebbe stata pace in Medio Oriente se il popolo palestinese “non avesse realizzato il suo legittimo diritto all’autodeterminazione e a un proprio Stato“.

Blinken aveva dato seguito a questa dichiarazione il 3 novembre, affermando in conferenza stampa che gli Stati Uniti erano impegnati in una soluzione a due Stati per gli Stati israeliani e palestinesi. “La migliore strada percorribile, anzi l’unica, è la soluzione dei due Stati“, aveva dichiarato Blinken. “L’unico modo per porre fine al ciclo di violenza una volta per tutte“.

Da quando Biden ha assunto l’incarico, la Casa Bianca si è espressa a favore di una soluzione a due Stati. Tuttavia, se Blinken ha avuto difficoltà ad ottenere un sostegno su questa politica, Israele ha dovuto lottare per formare un governo dopo un lungo periodo di stallo politico, in cui si erano succedute quattro elezioni inconcludenti (aprile 2019, settembre 2019, marzo 2020 e marzo 2021) in tre anni.

Nel novembre 2022 gli israeliani si erano recati alle urne per la quinta tornata elettorale e, questa volta, lo scaltro ex-primo ministro, Benjamin Netanyahu, era riuscito ad assicurarsi abbastanza voti e sostegno politico per mettere insieme una coalizione di governo di estrema destra.

Il presidente israeliano Herzog assegna l’incarico di formare un nuovo governo a Netanyahu, 13 novembre 2022. (Kobi Gideon / Ufficio stampa del governo, CC BY-SA 3.0. Wikimedia Commons)

Se da un lato la vittoria di Netanyahu aveva posto fine all’incubo elettorale di Israele, dall’altro si era rivelata la campana a morto per le aspirazioni dell’amministrazione Biden per un processo di pace israelo-palestinese basato sulla soluzione dei due Stati.

La coalizione di governo messa insieme da Netanyahu  era più incline allo sradicamento dell’Autorità Palestinese esistente che alla resurrezione di una visione che, dal punto di vista della destra radicale israeliana, era morta con Yitzhak Rabin il 4 novembre 1995.

Affinchè, in qualsiasi negoziato postbellico, l’amministrazione Biden, possa parlare di una soluzione a due Stati bisognerebbe che Netanyahu abbandonasse la sua coalizione di governo, un atto che sarebbe fatale per il suo futuro politico. Questo all’interno del governo statunitense lo sanno tutti.

Un Israele post-bellico

Pertanto, se Biden e Blinken sono intenzionati a schierarsi in modo così deciso a favore della soluzione dei due Stati, questo sarà possibile solo partendo dal presupposto che un Israele post-bellico dovrà essere governato da un leader politico in grado di sostenere un’idea che si era spenta, per quanto riguarda la politica israeliana, quasi trent’anni fa.

Anche se si riuscisse a creare una coalizione di governo in grado di sostenere politicamente l’idea di una soluzione a due Stati, che non è benvista né tra gli israeliani né tra i palestinesi, rimane un ultimo ostacolo da superare prima che si possa pensare ad una pace duratura tra lo Stato israeliano e quello palestinese basata sulla nozione di uguaglianza: le armi nucleari di Israele.

Il rappresentante di Israele [in teleconferenza] alla riunione sull’accordo di salvaguardia del TNP con l’Iran presso la sede dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica a Vienna, il 4 marzo 2021. (Dean Calma / AIEA, Wikimedia Commons, CC BY 2.0)
La questione delle armi nucleari israeliane ha sempre sconcertato i presidenti americani, da John F. Kennedy in poi. Il nodo era arrivato al pettine nel 1968, dopo la firma da parte degli Stati Uniti del Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP). Il trattato era stato firmato dal presidente Lyndon Johnson il 1° luglio 1968. Le questioni relative all’attuazione, tuttavia, erano ricadute sul suo successore, Richard Nixon.

Una delle principali questioni politiche che l’amministrazione Nixon aveva dovuto affrontare era quella relativa al programma di armi nucleari di Israele. L’amministrazione Nixon era fermamente impegnata nel TNP e, in quanto tale, era obbligata a rispettare le leggi statunitensi che proibivano la vendita di tecnologia militare ad una nazione che operava in violazione del TNP o che, come nel caso di Israele, possedeva armi nucleari al di fuori del quadro del TNP.

A Nixon era stato suggerito dal suo consigliere per la sicurezza nazionale, Henry Kissinger, di fare pressioni su Israele affinché firmasse il TNP e venisse disarmato del suo arsenale nucleare. Nixon, tuttavia, si era opposto all’idea di dover fare pressioni su Israele su una questione di sicurezza nazionale e aveva optato per una politica nucleare ambigua: Israele si era limitata a promettere che non sarebbe stata la prima nazione ad “introdurre” armi nucleari in Medio Oriente, a patto che si capisse che “introdurre” non equivaleva a “possedere“.

La copertura diplomatica statunitense

Blinken, in Israele, sale sull’aereo che lo porterà in Giordania, 3 novembre. (Dipartimento di Stato, Chuck Kennedy)

Più o meno cinquantacinque anni dopo, gli Stati Uniti continuano a fornire una copertura diplomatica alle armi nucleari di Israele, mantenendo la finzione dell’ambiguità nonostante sappiano benissimo che Israele possiede un arsenale nucleare molto robusto. Questa posizione sta diventando ogni giorno più difficile da sostenere, visto l’atteggiamento sempre più aggressivo assunta dal governo israeliano nei confronti della sua stessa politica di ambiguità.

Nel 2022, durante una revisione periodica del TNP da parte delle Nazioni Unite, l’allora Primo Ministro israeliano Yair Lapid aveva parlato alla Commissione Israeliana per l’Energia Atomica delle “capacità difensive e offensive di Israele e di quelle che i media stranieri chiamano altre capacità.” “Queste altre capacità“, aveva detto Lapid, alludendo chiaramente alle armi nucleari di Israele, “sono quelle che ci tengono in vita e che ci terranno in vita finché noi e i nostri figli saremo qui“.

Allo stato attuale, la minaccia posta dalle armi nucleari israeliane alla sicurezza regionale e globale è grande oggi come lo era in qualsiasi altro momento della storia di Israele. Vista la possibilità che l’attuale conflitto israelo-palestinese possa allargarsi fino a includere Hezbollah e forse l’Iran, questo significa che, per la prima volta dal 1973, Israele si trova ad affrontare una vera e propria minaccia esistenziale, il tipo di minaccia per cui le armi nucleari israeliane sono state costruite.

Un ministro israeliano ha già accennato all’opportunità di usare armi nucleari contro Hamas a Gaza. Ma la vera minaccia deriva da ciò che accadrebbe se venisse trascinato in guerra l’Iran. In questo caso, potrebbe entrare in gioco la tanto vociferata “opzione Sansone”, in cui Israele userebbe il suo arsenale nucleare per distruggere il maggior numero possibile di nemici, se dovesse ritenere che è a rischio la sua stessa sopravvivenza.

La morte di Sansone, 1866, di Gustave Gore. (Bibbia inglese, pubblico dominio)

Dato il rischio rappresentato dall’arsenale nucleare di Israele, è essenziale impedire che l’attuale scontro tra palestinesi e israeliani si espanda. Una volta terminato il conflitto, dovrà iniziare il processo per una soluzione a lungo termine che includa una Palestina libera e indipendente. Tuttavia, un nuovo Stato palestinese non potrà mai essere libero se al suo vicino, Israele, sarà consentito di possedere armi nucleari.

La creazione di uno Stato palestinese darebbe un forte impulso alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e i suoi vicini arabi, una normalizzazione che avrebbe effetti positivi anche sulla sicurezza di Israele, rendendo superflua la necessità di armi nucleari per Israele.

L’esempio sudafricano

Cerimonia di consegna del Premio UNESCO per la Pace a Parigi il 3 febbraio 1992. Seduti da sinistra, i due premiati – il presidente sudafricano de Klerk e il presidente dell’African National Congress Nelson Mandela – e Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano e presidente della giuria. (Foto ONU/JP Somme)

La questione diventa quindi come convincere Israele a rinunciare volontariamente alle sue armi nucleari. Fortunatamente, c’è un esempio storico.

All’inizio degli anni Settanta, il Sudafrica dell’apartheid aveva avviato un programma di armi nucleari. I rapporti dell’intelligence statunitense mostrano che il Sudafrica aveva formalmente iniziato il suo programma di armi nucleari nel 1973. Nel 1982 aveva sviluppato e costruito il suo primo ordigno nucleare.

Sette anni dopo, nel 1989, il Sudafrica era riuscito a produrre sei bombe nucleari funzionanti, ognuna con una potenza esplosiva pari a 19 chilotoni di TNT.

Il programma sudafricano di armi nucleari rispecchiava quello israeliano, in quanto era condotto in gran segreto e progettato per scoraggiare la minaccia rappresentata dai movimenti di liberazione sostenuti dai comunisti e operanti lungo tutta la periferia della nazione sudafricana.

Nel 1989, il Sudafrica aveva eletto un nuovo presidente, F. W. de Klerk, che si era subito reso conto che i venti politici stavano cambiando e che il Paese avrebbe potuto, nel giro di pochi anni, cadere sotto il controllo dei nazionalisti guidati da Nelson Mandela.

Per evitare che ciò accadesse, De Klerk aveva preso la decisione senza precedenti di aderire al TNP come Stato non nucleare e di aprire il suo centro di ricerca nucleare alle ispezioni internazionali e acconsentire allo smantellamento degli ordigni. Il Sudafrica aveva aderito al TNP nel 1991; nel 1994, tutte le armi nucleari sudafricane erano state smantellate sotto la supervisione internazionale.

Una volta terminata la guerra israelo-palestinese e se Israele inizierà a negoziare in buona fede sulla possibilità di uno Stato palestinese libero e indipendente, gli Stati Uniti dovrebbero impegnarsi affinché il governo israeliano segua la strada intrapresa da F. W. de Klerk, firmi il TNP e collabori con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica per lo smantellamento di tutto il proprio arsenale nucleare.

Questa mossa non dovrebbe essere negoziabile: se gli Stati Uniti sono seriamente intenzionati a creare le condizioni per una pace lunga e duratura tra Israele e Palestina, allora dovrebbero usare tutto il potere a loro disposizione e convincere Israele a liberarsi volontariamente delle armi nucleari.

Questa è l’unica strada percorribile per la pace tra Israele e il mondo arabo e musulmano che lo circonda.

Scott Ritter

Fonte: consortiumnews.com
Link: https://consortiumnews.com/2023/11/17/scott-ritter-the-2-state-solutions-nuclear-option/
17.11.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Scott Ritter è un ex ufficiale dei servizi segreti del Corpo dei Marines degli Stati Uniti, ha prestato servizio nell’ex Unione Sovietica per l’attuazione dei trattati sul controllo degli armamenti, nel Golfo Persico durante l’operazione Desert Storm e in Iraq per la supervisione del disarmo delle armi di distruzione di massa. Il suo libro più recente è Disarmament in the Time of Perestroika, pubblicato da Clarity Press.

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