DI UGO FINETTI
Ilsussidiario.net
La locomotiva dell’Italia è destinata a rimettersi in moto nonostante Conte, M5s e Pd. Che adesso devono decidere con chi stare
Le campane a morto su Milano sono un po’ affrettate. È vero che la città della “bela Madunina” è in ginocchio e il tocco risuona quasi festoso in taluni editorialisti e commentatori da Roma in giù. Torna a far capolino il malinteso meridionalismo secondo cui per risollevare il Sud bisognava “frenare il Nord”. E infatti anche a livello politico c’è chi ha puntato a gestire la crisi come grande occasione di rivincita del Centro-Sud.
Ma per quanto riguarda Milano, e più in generale la Lombardia, non si respira nessun “8 settembre” e nessun “tutti a casa”. Produttività, competitività e solidarietà hanno radici profonde – al di là di coloriture politiche o differenze sociali – e caratterizzano una storia che ha alle spalle non pochi “dopoguerra”.
È già in atto un industriarsi pionieristico – dalla multinazionale al piccolo artigiano – che mette in conto di convivere con uno stato di emergenza e comunque senza illudersi in un facile e immediato ritorno al passato. La chiusura è stata una catastrofe con gravi conseguenze che si prolungano nel prossimo futuro, ma esiste una “ricchezza locale” – una realtà economico–sociale radicata e diffusa nel territorio – che in questi tre mesi non si è sciolta come neve al sole e che non sta con le mani in mano in attesa di bonus statali.
La questione politica oggi è l’atteggiamento da assumere nei confronti del moto di ripresa che verrà comunque da Milano e dal Nord, che è senza colorazione partitica, ma desideroso di avere un’interlocuzione e uno sbocco a livello politico. Si tratta del resto di una risposta nazionale che riguarda l’ammodernamento amministrativo e infrastrutturale, dalla giustizia all’alta velocità.
È vero che sull’onda dell’epidemia, con la Lombardia messa sotto accusa da Emiliano e De Luca e con Conte che muoveva la magistratura contro l’ospedale di Codogno, l’alleanza di governo è sembrata rimontare. Nelle ultime settimane ha quindi preso quota l’idea di un’alleanza strategica e organica Pd-M5s sostenuta a livello nazionale da Dario Franceschini come a livello locale da Beppe Sala.
Il banco di prova però ora non sono le combinazioni elettorali, ma la strategia economica.
Il piano Colao, ad esempio, è una proposta e ce ne possono essere anche altre e migliori, ma quel che emerge in sostanza è l’inconciliabilità tra una politica di ripresa e una politica fatta di assistenzialismo, statalismo, bonus, uomini di governo che usano espressioni come “attingiamo al deficit” (Di Maio) o “prestiti a fondo perduto” (Conte).
In questo momento – di fronte alla più grave crisi che l’Italia affronta dal 1945 – al governo non c’è nessuno esperto in economia. Il responsabile del Mef è uno storico dell’Istituto Gramsci i cui principali titoli accademici sono scritti sul Pci di Togliatti. Gualtieri è certamente un’ottima persona con una positiva esperienza di parlamentare europeo, ma può svolgere al massimo un’opera di mediazione; come stratega dell’economia è del tutto spaesato.
A sua volta il Pd, convinto di poter “romanizzare i barbari”, rischia di essere “barbarizzato” nel senso che l’alleanza organica con il partito di Conte vede la scomparsa di qualsiasi cenno critico verso “antipolitica” e “populismo” (si polemizza solo con il “sovranismo”) e il riprendere fiato al suo interno delle vecchie posizioni imperniate su statalismo e assistenzialismo.
Il M5s – dal punto di vista dell’affrontare crisi e ripresa – è un peso morto che trasforma l’Italia in peso morto.
Un danno evidente è nella politica estera: tutta Cina e Trump con il risultato che ora ci troviamo isolati di fronte agli unici interlocutori utili che abbiamo e cioè rimettendoci alla clemenza di Merkel e Macron. Agli Stati generali di Villa Pamphilj le autorità dell’Unione Europea con i loro interventi educatamente paternalistici ci hanno trattato non come soggetto protagonista, ma come loro posta in gioco.
La “locomotiva dell’Italia” comunque, in un modo o nell’altro, è destinata a rimettersi in moto. È da vedere chi saprà esserne interprete e interlocutore. Non è certo il momento delle “idee” di Beppe Grillo.
15.06.2020