La politica con altri mezzi

Putin e Clausewitz

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Big Serge
bigserge.substack.com

Con la sola possibile eccezione del grande Sun Tzu e della sua “Arte della guerra,” nessun teorico militare ha avuto un impatto filosofico così duraturo come il generale prussiano Carl Philipp Gottfried von Clausewitz. Dopo aver partecipato alle guerre napoleoniche, Clausewitz si era dedicato in tarda età a quella che sarebbe diventata la sua opera simbolo: un denso tomo intitolato semplicemente “Vom Kriege” – Sulla guerra. L’opera è una meditazione sulla strategia militare e sul fenomeno socio-politico della guerra, con una forte componente di riflessione filosofica. Sebbene Sulla guerra abbia avuto un impatto duraturo e indelebile sullo studio dell’arte militare, il libro stesso è a volte di difficile lettura – un fatto che deriva dalla grande tragedia di Clausewitz, che non era mai riuscito a terminarlo. Era morto nel 1831, all’età di soli 51 anni, con il manoscritto in disordine e senza modifiche ed era toccato alla moglie cercare di organizzare e pubblicare i suoi scritti.

Clausewitz è famoso soprattutto per i suoi aforismi – “In guerra tutto è molto semplice, ma la cosa più semplice è difficile” – e per il suo vocabolario di guerra, che comprende termini come “attrito” e “culmine.” Tra tutti i suoi passaggi eminentemente citabili, tuttavia, uno è forse il più famoso: la sua affermazione che “la guerra è una mera continuazione della politica con altri mezzi.”

Per il momento è su questa affermazione che vorrei soffermarmi, ma prima può valere la pena di leggere l’intero passaggio di Clausewitz sull’argomento:

“La guerra è la semplice continuazione della politica con altri mezzi. Vediamo quindi che la guerra non è semplicemente un atto politico, ma anche un vero e proprio strumento politico, una continuazione del commercio politico, un’esecuzione dello stesso con altri mezzi. Tutto ciò che è strettamente peculiare alla guerra si riferisce solo alla natura peculiare dei mezzi che utilizza. L’arte della Guerra in generale e il Comandante in ogni caso particolare possono esigere che le tendenze e le opinioni politiche non siano incompatibili con questi mezzi e questa richiesta non è davvero di poco conto. Ma, per quanto ciò in casi particolari possa influire con forza sulle opinioni politiche, deve sempre essere considerato solo una loro modifica; perché l’opinione politica è l’oggetto, la guerra è il mezzo e il mezzo deve sempre includere l’oggetto nella nostra concezione.”

Sulla guerra, Volume 1, Capitolo 1, Sezione 24

Una volta superato lo stile denso e prolisso di Clausewitz, l’affermazione è relativamente semplice: il fare la guerra esiste sempre in riferimento a qualche obiettivo politico più grande, ed esiste sullo spettro politico. La politica si trova in ogni punto dell’asse: la guerra viene iniziata in risposta a qualche esigenza politica, viene mantenuta e continuata come atto di volontà politica e, in ultima analisi, spera di raggiungere obiettivi politici. La guerra non può essere separata dalla politica, anzi è proprio l’aspetto politico a renderla tale. Possiamo anche andare oltre e affermare che la guerra, in assenza della sovrastruttura politica, cessa di essere guerra e diventa invece violenza grezza e animalesca. È la dimensione politica che rende la guerra riconoscibilmente distinta da altre forme di violenza.

Consideriamo ora in questi termini il processo bellico della Russia in Ucraina.

Putin il burocrate

Capita spesso che gli uomini più importanti del mondo siano poco compresi nel loro tempo: il potere avvolge e distorce il grande uomo. Questo è stato certamente il caso di Stalin e Mao, ed è altrettanto vero sia per Vladimir Putin che per Xi Jinping. Putin, in particolare, è visto in Occidente come un demagogo hitleriano che governa con il terrore e un militarismo extragiudiziari. Questo non potrebbe essere più lontano dalla verità.

Quasi tutti gli aspetti della caricatura occidentale di Putin sono profondamente sbagliati, anche se questo recente profilo di Sean McMeekin è quello che vi si avvicina di più. Per cominciare, Putin non è un demagogo: non è un uomo naturalmente carismatico e, sebbene nel corso del tempo abbia migliorato notevolmente le sue capacità di politico comunicativo e sia in grado di tenere discorsi d’impatto quando necessario, non è una persona che ama il podio. A differenza di Donald Trump, Barack Obama o persino – Dio non voglia – di Adolf Hitler, Putin non è un naturale intrattenitore di folle. Nella stessa Russia, la sua immagine è quella di un funzionario politico di carriera piuttosto noioso ma con la testa a posto, piuttosto che di un carismatico populista. In Russia, la sua longeva popolarità è molto più legata alla stabilizzazione dell’economia e del sistema pensionistico russo che alle foto di lui a cavallo a torso nudo.

Bisogna fidarsi del piano, anche quando il piano è lento e noioso

Inoltre, Putin – contrariamente all’idea che eserciti un’autorità extralegale illimitata – è piuttosto attento al proceduralismo. La struttura governativa russa prevede espressamente una presidenza molto forte (una necessità assoluta dopo il crollo totale dello Stato all’inizio degli anni ’90), ma, all’interno di questi parametri, Putin non è visto come una personalità particolarmente eccitante e incline a prendere decisioni radicali o esplosive. I critici occidentali possono affermare che in Russia non esiste uno Stato di diritto, ma per lo meno Putin governa secondo la legge, con meccanismi e procedure burocratiche che costituiscono la sovrastruttura all’interno della quale agisce.

La cosa è risultata evidente negli ultimi giorni. Con l’Ucraina all’offensiva su più fronti, si era innescato un nuovo ciclo di sventura e trionfo: le figure filo-ucraine esultavano per l’apparente crollo dell’esercito russo, mentre molti nel campo russo lamentavano una leadership che, secondo loro, dimostrava di essere criminalmente incompetente. Mentre tutto questo era in corso sul piano militare, Putin aveva portato avanti con calma il processo di annessione attraverso i suoi meccanismi legali: prima aveva indetto i referendum, poi aveva firmato i trattati di ingresso nella Federazione Russa dei quattro ex oblast ucraini, i cui presidenti erano stati poi inviati alla Duma di Stato per la ratifica, seguita da quella dal Consiglio della Federazione, seguita ancora dalla firma e dalla verifica di Putin. Mentre l’Ucraina gettava nella lotta le riserve accumulate durante l’estate, Putin sembrava impantanato nelle scartoffie e nelle procedure. I trattati sono stati persino rivisti dalla Corte costituzionale russa e sono state fissate le scadenze per porre fine al corso legale della grivna ucraina e sostituirla con il rublo.

È stato uno spettacolo strano. Putin si barcamenava tra le noiose formalità legali dell’annessione, apparentemente sordo al coro che gli gridava che la sua guerra era sull’orlo del fallimento totale. La calma implacabile che irradiava – almeno pubblicamente – dal Cremlino sembrava in contrasto con gli eventi al fronte.

Allora, cosa sta succedendo in realtà? Putin è davvero così distaccato dagli eventi sul campo da non rendersi conto che il suo esercito è stato sconfitto? Sta progettando di usare le armi nucleari in un impeto di rabbia? O potrebbe trattarsi, come dice Clausewitz, della semplice continuazione della politica con altri mezzi?

La guerra di spedizione

Di tutte le affermazioni fantasmagoriche che sono state fatte sulla guerra russo-ucraina, poche sono così difficili da credere come quella che la Russia intendeva conquistare l’Ucraina con meno di 200.000 uomini. In effetti, una verità innegabile di questa guerra con cui gli osservatori devono semplicemente fare i conti è il fatto che l’esercito russo è stato in forte inferiorità numerica fin dal primo giorno, nonostante la Russia abbia un enorme vantaggio demografico sull’Ucraina stessa. Sulla carta, la Russia ha impegnato una forza di spedizione di meno di 200.000 uomini, anche se ovviamente non tutte sono truppe dislocate in prima linea in combattimento attivo.

Il dispiegamento leggero di forze è legato al modello di servizio piuttosto unico della Russia, che ha combinato i “soldati a contratto” – il nucleo professionale dell’esercito – con un pool di riservisti generato da richiami annuali di coscrizione. Di conseguenza, la Russia ha un modello militare a due livelli, con una forza pronta professionale di livello mondiale e un ampio bacino di riservisti a cui si può attingere, potenziato da forze ausiliarie, come i BARS (volontari), i ceceni e le milizie della LNR-DNR.

I figli della nazione – portatori di vitalità e spina dorsale dello Stato

Questo modello di servizio misto a due livelli riflette, per certi versi, la schizofrenia geostrategica che ha afflitto la Russia post-sovietica. La Russia è un Paese grandissimo, con impegni di sicurezza potenzialmente colossali e di portata continentale, che ha ereditato un’enorme eredità sovietica. Nessun Paese ha mai dimostrato una capacità di mobilitazione bellica su scala pari a quella dell’URSS. La transizione da uno schema di mobilitazione sovietico ad una forza professionale di pronto intervento più piccola e snella è stata parte integrante del regime di austerità neoliberale della Russia per gran parte degli anni di Putin.

È importante capire che la mobilitazione militare, in quanto tale, è anche una forma di mobilitazione politica. Una forza di pronto intervento professionale ha richiesto un livello piuttosto basso di consenso politico e di adesione da parte della maggior parte della popolazione russa. Una forza del genere può fare molto, militarmente parlando: può distruggere le installazioni militari ucraine, creare scompiglio con l’artiglieria, farsi strada negli agglomerati urbani del Donbass e distruggere gran parte del potenziale bellico indigeno dell’Ucraina. Tuttavia, non può condurre una guerra continentale pluriennale contro un nemico che la supera in numero di almeno quattro a uno e che si sostiene con intelligence, comando e controllo e materiali che sono al di fuori della sua portata immediata – soprattutto se le regole di ingaggio le impediscono di colpire le arterie vitali del nemico.

È necessario un maggiore dispiegamento di forze. La Russia deve superare l’esercito dell’austerità neoliberale. Ha la capacità materiale di mobilitare le forze necessarie – ha molti milioni di riservisti, enormi scorte di equipaggiamento e una capacità produttiva interna sostenuta dalle risorse naturali e dal potenziale produttivo del blocco eurasiatico che si è stretto intorno a lei. Ma ricordate: la mobilitazione militare è anche una mobilitazione politica.

L’Unione Sovietica era stata in grado di mobilitare decine di milioni di giovani uomini per arrestare, superare mumericamente e infine annientare l’esercito tedesco, perché aveva utilizzato due potenti strumenti politici. Il primo era l’enorme e impressionante potere del Partito Comunista, con i suoi onnipresenti organi. Il secondo era la verità: gli invasori tedeschi erano venuti con intenti genocidi (Hitler ad un certo punto aveva pensato di trasformare la Siberia in una riserva slava per i sopravvissuti, da bombardare periodicamente per ricordare loro chi era al comando).

Putin non ha un organo coercitivo potente come il Partito Comunista, che aveva un potere materiale sorprendente e un’ideologia convincente che prometteva di accelerare il cammino verso una modernità non capitalista. In effetti, nessun Paese oggi ha un apparato politico come quella splendida macchina comunista, tranne forse la Cina e la Corea del Nord. Quindi, in assenza di una leva diretta per creare una mobilitazione politica – e quindi militare – la Russia deve trovare una via alternativa per creare un consenso politico che le permetta di condurre una guerra di livello superiore.

Questo obiettivo è stato raggiunto grazie alla russofobia occidentale e alla propensione alla violenza dell’Ucraina. È in corso una sottile ma profonda trasformazione del corpo socio-politico russo.

La creazione del consenso

Putin e coloro che lo circondano hanno concepito fin dall’inizio la guerra russo-ucraina in termini esistenziali. È improbabile, tuttavia, che la maggior parte dei Russi lo abbia capito. Al contrario, è probabile che abbiano visto la guerra nello stesso modo in cui gli Americani avevano visto la guerra in Iraq e in Ucraina: come un’impresa militare giustificata, che tuttavia era solo un compito tecnocratico per i militari professionisti; difficilmente una questione di vita o di morte per la nazione. Dubito fortemente che qualche Americano avesse mai creduto che il destino della nazione fosse dipeso dalla guerra in Afghanistan (gli Americani non combattono una guerra esistenziale dal 1865) e, a giudicare dalla crisi di reclutamento che affligge le forze armate americane, non sembra che qualcuno percepisca una vera minaccia esistenziale straniera.

Quello che è successo nei mesi successivi al 24 febbraio è abbastanza notevole. La guerra esistenziale per la nazione russa è stata incarnata e resa reale per i cittadini russi. Le sanzioni e la propaganda anti-russa – che demonizza l’intera nazione come “orchi” – hanno portato a favore della guerra anche i Russi inizialmente scettici e l’indice di gradimento di Putin è salito alle stelle. Un’ipotesi su cui l’Occidente faceva molto conto, ossia che i Russi si sarebbero rivoltati contro il governo, si è ribaltata. I video che mostravano le torture sui prigionieri di guerra russi da parte di Ucraini furiosi, i soldati ucraini che telefonavano alle madri russe per dire loro beffardamente che i loro figli erano morti, i bambini russi uccisi dai bombardamenti a Donetsk, sono serviti a convalidare l’affermazione implicita di Putin secondo cui l’Ucraina è uno Stato posseduto da un demone che deve essere esorcizzato con esplosivi ad alto potenziale. In mezzo a tutto questo – utile, dal punto di vista di Alexander Dugin e dei suoi neofiti – gli pseudo-intellettuali americani con il “blue check” di Twitter hanno pubblicamente sbavato sulla prospettiva di “decolonizzare e smilitarizzare” la Russia, il che comporta chiaramente lo smembramento dello Stato russo e la spartizione del suo territorio. Il governo ucraino (in tweet ora cancellati) aveva pubblicamente affermato che i Russi sono inclini alla barbarie perché sono una razza meticcia con sangue asiatico misto.

Contemporaneamente, Putin si è mosso – e alla fine ha realizzato – il suo progetto di annessione formale del vecchio confine orientale dell’Ucraina. Questo ha anche trasformato legalmente la guerra in una lotta esistenziale. Ulteriori avanzamenti ucraini ad est sono ora, agli occhi dello Stato russo, un assalto al territorio russo sovrano e un tentativo di distruggere l’integrità dello Stato russo. Recenti sondaggi mostrano che una supermaggioranza di Russi è favorevole a difendere a qualsiasi costo questi nuovi territori.

Tutte le tessere sono ora allineate. Putin e compagnia hanno concepito questa guerra fin dall’inizio come una lotta esistenziale per la Russia, per espellere dai suoi confini uno Stato fantoccio anti-russo e sconfiggere un’incursione ostile nello spazio della civiltà russa. L’opinione pubblica è ora sempre più d’accordo (i sondaggi mostrano che la sfiducia dei russi nei confronti della NATO e dei “valori occidentali” è salita alle stelle), e anche il quadro giuridico successivo all’annessione lo riconosce. I settori ideologico, politico e giuridico sono ora uniti nell’opinione che la Russia sta combattendo per la sua stessa esistenza in Ucraina. L’unificazione delle dimensioni tecnica, ideologica, politica e giuridica è stata così descritta dal capo del partito comunista russo, Gennady Zyuganov:

“Il Presidente ha firmato i decreti per l’ammissione in Russia delle regioni DPR, LPR, Zaporozhye e Kherson. I ponti sono bruciati. Ciò che era chiaro dal punto di vista morale e statalista è ora diventato un fatto legale: sulla nostra terra c’è un nemico, che uccide e mutila i cittadini della Russia. Il Paese richiede l’azione più decisa per proteggere i connazionali. Il tempo non aspetta.”

È stato raggiunto un consenso politico per una maggiore mobilitazione e una maggiore intensità delle operazioni belliche. Ora bisogna solo trasferire questo consenso nel mondo materiale del pugno e dello stivale, del proiettile e della granata, del sangue e del ferro.

Una breve storia della generazione di forze militari

Una delle peculiarità della storia europea è la misura davvero sconvolgente in cui i Romani erano molto più avanti del loro tempo nel campo della mobilitazione militare. Roma aveva conquistato il mondo in gran parte perché aveva una capacità di mobilitazione davvero eccezionale, producendo costantemente per secoli alti livelli di partecipazione militare di massa da parte della popolazione maschile italiana. Cesare aveva portato più di 60.000 uomini alla battaglia di Alesia, quando aveva conquistato la Gallia – una generazione di forze che non sarebbe stata eguagliata per secoli nel mondo post-romano.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, la capacità statale in Europa si era rapidamente deteriorata. L’autorità reale, sia in Francia che in Germania, si era ridotta, mentre era aumentato il potere dell’aristocrazia e delle autorità cittadine. Nonostante lo stereotipo della monarchia dispotica, il potere politico nel Medioevo era molto frammentato e la tassazione e la mobilitazione erano molto localizzate.

La capacità romana di mobilitare grandi eserciti controllati e finanziati a livello centrale era andata perduta e la guerra era diventata dominio di una ristretta classe di combattenti, la piccola nobiltà o i cavalieri.

Di conseguenza, gli eserciti europei medievali erano incredibilmente piccoli. Nelle battaglie cruciali tra Inghilterra e Francia, come Agincourt e Crecy, gli eserciti inglesi contavano meno di 10.000 uomini e quelli francesi non più di 30.000. La storica battaglia di Hastings, che aveva sancito la conquista della Gran Bretagna da parte dei Normanni, aveva messo l’uno contro l’altro due eserciti di meno di 10.000 uomini. La battaglia di Grunwald – in cui una coalizione polacco-lituana aveva sconfitto i Cavalieri Teutonici – era stata una delle più grandi battaglie dell’Europa medievale, con due eserciti che contavano al massimo 30.000 uomini.

In quest’epoca, i poteri di mobilitazione e la capacità statale dell’Europa erano incredibilmente bassi rispetto a quelli degli altri Stati del mondo. Gli eserciti cinesi erano normalmente costituiti da alcune centinaia di migliaia di uomini e i Mongoli, anche se con una sofisticazione burocratica notevolmente inferiore, potevano schierare 80.000 uomini.

La situazione aveva iniziato a cambiare radicalmente quando l’intensificarsi della competizione militare – in particolare la selvaggia guerra dei 30 anni – aveva costretto gli Stati europei ad avviare finalmente un ritorno allo statalismo centralizzato. Il modello di mobilitazione militare era così passato dal sistema servile – in cui una piccola classe militare autofinanziata forniva il servizio militare – allo Stato militare fiscale, in cui gli eserciti venivano raccolti, finanziati, diretti e sostenuti attraverso i sistemi fiscali-burocratici dei governi centralizzati.

Nel corso del primo periodo moderno, i modelli di servizio militare erano diventati un mix di coscrizione, servizio professionale e sistema servile. L’aristocrazia aveva continuato a fornire il servizio militare nel corpo degli ufficiali, mentre la coscrizione e l’imposizione venivano utilizzate per riempire i ranghi. In particolare, i soldati di leva venivano arruolati per periodi di servizio molto lunghi. Ciò rifletteva le esigenze politiche della monarchia nell’epoca dell’assolutismo. L’esercito non era un forum in cui il popolo potesse dare la sua partecipazione politica al regime, ma uno strumento per difendersi sia dai nemici stranieri che dalle rivolte contadine. Pertanto, i coscritti non venivano reinseriti nella società. Era necessario trasformare l’esercito in una classe sociale distinta, con qualche elemento che lo distanziasse dalla popolazione generale: si trattava di un’istituzione militare professionale che fungeva da baluardo interno del regime.

L’ascesa dei regimi nazionalistici e della politica di massa aveva permesso di aumentare ulteriormente le dimensioni degli eserciti. I governi della fine del XIX secolo avevano ormai meno da temere dalle proprie popolazioni rispetto alle monarchie assolute del passato: questo aveva cambiato la natura del servizio militare e riportato l’Europa al sistema dei Romani nei millenni passati. Il servizio militare era ora una forma di partecipazione politica di massa, che consentiva di richiamare i coscritti, addestrarli e reinserirli nella società – il sistema dei quadri di riserva che ha caratterizzato gli eserciti in entrambe le guerre mondiali.

In sintesi, il ciclo dei sistemi di mobilitazione militare in Europa è uno specchio del sistema politico. Gli eserciti erano molto piccoli durante l’epoca in cui la partecipazione politica di massa al regime era scarsa o nulla. Roma schierava grandi eserciti perché c’era una significativa partecipazione politica e un’identità coesa sotto forma di cittadinanza romana. Questo aveva permesso a Roma di generare un’elevata partecipazione militare, anche in epoca repubblicana, quando lo Stato romano era molto piccolo e burocraticamente scarno. L’Europa medievale aveva un’autorità politica frammentata e un senso di identità politica coesa estremamente basso e, di conseguenza, i suoi eserciti erano sorprendentemente piccoli. Gli eserciti avevano ricominciato a crescere di dimensioni con l’aumentare del senso di identità nazionale e della partecipazione, e non è un caso che la più grande guerra della storia – la guerra nazi-sovietica – sia stata combattuta tra due regimi con ideologie totalizzanti che avevano generato livelli di partecipazione politica estremamente elevati.

Questo ci porta ai giorni nostri. Nel XXI secolo, con la sua interconnessione e la schiacciante disponibilità di informazioni e disinformazioni, il processo di generazione della partecipazione politica – e quindi militare – di massa è molto più sfumato. Nessun Paese ha una visione utopica e totalizzante, ed è innegabile che il senso di coesione nazionale sia significativamente più basso oggi rispetto a cento anni fa.
Putin, molto semplicemente, non avrebbe potuto condurre una mobilitazione su larga scala all’inizio della guerra. Non possedeva né un meccanismo coercitivo né la minaccia manifesta per generare un sostegno politico di massa. Pochi Russi avrebbero creduto che nell’ombra si nascondesse una minaccia esistenziale: bisognava dimostrarglielo, e l’Occidente non ha deluso. Allo stesso modo, pochi Russi avrebbero probabilmente appoggiato l’annientamento delle infrastrutture e dei servizi urbani ucraini nei primi giorni di guerra. Ma ora, le uniche critiche a Putin che si levano all’interno della Russia sono a favore di un’ulteriore escalation. Il problema di Putin, dal punto di vista russo, è che non si è spinto abbastanza in là. In altre parole, la politica di massa ha già superato il governo, rendendo la mobilitazione e l’escalation politicamente banali. Soprattutto, dobbiamo ricordare che la massima di Clausewitz rimane vera. La situazione militare è solo un sottoinsieme della situazione politica e la mobilitazione militare è anche una mobilitazione politica, una manifestazione della partecipazione politica della società allo Stato.

Tempo e spazio

La fase offensiva dell’Ucraina continua su più fronti. Si stanno spingendo nel nord di Lugansk e, dopo aver sbattuto per settimane la testa contro un muro a Kherson, hanno finalmente fatto progressi territoriali. Eppure, proprio oggi, Putin ha detto che è necessario condurre esami medici dei bambini nei nuovi oblast annessi e ricostruire i campi da gioco delle scuole. Cosa sta succedendo? È totalmente distaccato dagli eventi al fronte?

Ci sono solo due modi per interpretare ciò che sta accadendo. Uno è quello occidentale: l’esercito russo è sconfitto e impoverito e viene cacciato dal campo. Putin è squilibrato, i suoi comandanti sono incompetenti e l’unica carta rimasta alla Russia è quella di gettare nel tritacarne coscritti ubriachi e non addestrati.

L’altra è l’interpretazione che ho sostenuto, secondo cui la Russia sta ammassando truppe per un’escalation e un’offensiva invernale, ed è attualmente impegnata in uno scambio calcolato in cui cede spazio in cambio di tempo e perdite ucraine. La Russia continua a ritirarsi laddove le posizioni sono compromesse dal punto di vista operativo o di fronte a numeri schiaccianti di forze ucraine, ma è molto attenta a defilare i propri uomini dal pericolo operativo. A Lyman, dove l’Ucraina aveva minacciato di accerchiare la guarnigione, la Russia ha impegnato le riserve mobili per sbloccare il villaggio e garantire il ritiro della guarnigione. L'”accerchiamento” da parte dell’Ucraina è svanito e il ministero degli Interni ucraino è stato bizzarramente costretto a twittare (e poi cancellare) un video di veicoli civili distrutti come “prova” che le forze russe erano state annientate.

Nelle prossime settimane, la Russia continuerà probabilmente a ritirarsi, facendo arretrare unità intatte sotto il suo ombrello di artiglieria e aviazione, riducendo le scorte di attrezzature pesanti ucraine e logorando le loro truppe. Nel frattempo, nuove attrezzature continuano ad accumularsi a Belgorod, Zaporizhia e in Crimea. La mia aspettativa rimane la stessa: un episodico ritiro russo fino a quando il fronte si stabilizzerà all’incirca alla fine di ottobre, seguito da una pausa operativa fino al congelamento del terreno, seguita da un’escalation e da un’offensiva invernale da parte della Russia una volta che avrà finito di concentrare unità sufficienti.

Dal Cremlino si irradia una calma inquietante. La mobilitazione è in corso: 200.000 uomini sono attualmente sottoposti ad un addestramento di aggiornamento nei poligoni di tutta la Russia. Treni carichi di equipaggiamento militare continuano ad attraversare il ponte di Kerch, ma l’offensiva ucraina prosegue senza che si vedano rinforzi russi al fronte. Lo scollamento tra lo stoicismo del Cremlino e il deterioramento del fronte è impressionante. Forse Putin e l’intero stato maggiore russo sono davvero criminalmente incompetenti – forse le riserve russe non sono altro che un gruppo di ubriaconi. Forse non c’è un piano.

O forse i figli della Russia risponderanno di nuovo alla chiamata della patria, come avevano fatto nel 1709, nel 1812 e nel 1941.

Mentre i lupi sono di nuovo alla porta, ancora una volta il vecchio orso si rialza per combattere.

Big Serge

Fonte: bigserge.substack.com
Link: https://bigserge.substack.com/p/politics-by-other-means
05.10.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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