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La Redazione

 

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A cura di Davide
Il 4 Gennaio 2017
628 Views

DI MATTHIEU BUGE

rt.com

Alla fine Parigi non avrà la sua via Steve Jobs. Non è un male, ma potrebbe trattarsi di una festa rimandata. Secondo il cronista Matthieu Buge il culto verso il creatore dell’iPhone è sintomatico della nostra epoca.

C’è tristezza nel cuore degli Ifans. Malgrado la brillante iniziativa di Jérôme Comet, sindaco socialista del XIII arrondissement di Parigi, la capitale francese non avrà la sua «via Steve Jobs». Almeno per il momento. Potrebbe semplicemente trattarsi di una festa rimandata. È stato detto, secondo quanto riporta l’AFP [Agence France-Presse], che questa proposta non godeva dell’unanimità a causa «degli scandali fiscali e delle condizioni di lavoro nelle fabbriche subappaltate […] messi in luce dai comunisti e dagli ecologisti». Diamine! Affrettiamoci a intitolare un viale Rockefeller! La rinuncia, così come la scelta di intitolare una via a Steve Jobs, è motivata dalle ragioni sbagliate.

Jobsmania

Ero in Corea del sud quando Steve Jobs è morto e mi ricordo molto bene, nei negozi, le biografie scritte a caldo e fresche di stampa, a cadavere non ancora freddo. Frenesia totale. Tutti le volevano. Mi sono detto che quest’isteria ricordava quella seguita alla morte di Michael Jackson, che era dovuta al consumismo asiatico e che non sarebbe durata a lungo. Avevo torto. Parigi non è la prima (e certamente non sarà l’ultima) a essere stata tentata dalla jobsmania patrimoniale. Così la assai banale casa californiana nella quale il Nostro ha ideato con un amico il primo computer Apple è ora monumento storico. Uno scultore serbo ha realizzato una statua di Jobs per il quartiere generale della Apple a Cupertino. Un’altra ne esiste a Budapest. Un’orribile mano metallica squarciata dal logo della società si trova a Odessa con quest’iscrizione «Spasibo[grazie], Steve». Anche la Russia ha ceduto al fascino della cyber-umanità erigendo un monumento 2.0 nella corte dell’università di tecnologia di San Pietroburgo. Questo monumento è stato poi demolito, per la gioia dei media occidentali che hanno così potuto, ancora una volta, accusare la Russia di tutti i mali. In effetti, questo smantellamento ha avuto luogo dopo il coming-out di Tim Cook, l’erede del gruppo. Sporca Russia omofoba! Anche se la decisione dello smantellamento era stata presa prima delle dichiarazioni di Tim Cock ed era dovuta al mal funzionamento del cyber-monumento e alla potenziale collusione tra la Apple e la NSA. Ma questa è un’altra storia.

Le vie e la Storia

Ritorniamo agli omaggi immobiliari in onore del genio degli smartphones. Diderot, a suo tempo, si lamentava del moltiplicarsi, nelle città, delle statue e dei busti in onore dei grandi uomini. Aveva il sospetto che più si cedesse a questa tentazione più le città somigliassero a dei cimiteri. Nonostante ciò, le statue non hanno smesso di essere erette e le strade ribattezzate in onore dei grandi uomini. È finito il tempo in cui si dava alla via un nome simbolico del luogo, dell’istituzione o un’associazione di idee che finiva per essere misterioso e affascinante. A Parigi la strada del “Gatto che pesca” o quella del “Grande vagabondaggio”  sono molto più suggestive del viale Presidente Wilson o della piazza del Generale Beuret (non dimentichiamo che la Georgia del filo-atlantista Saakachvili ha intitolato nella capitale una via «George W. Bush»). Ma dare ai luoghi il nome di una persona che ha fatto la Storia è ancora comprensibile, anche se la ragione è principalmente politica e risponde più alla propaganda che alla Storia. Il fatto che Parigi abbia un viale Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill e nessuno dedicato a Stalin la dice lunga sulla memoria della conferenza di Jalta, uno dei momenti più importanti del secolo scorso. Si potrà sostenere che vivere o avere un negozio nella via dedicata all’artefice del grande terrore non sia molto eccitante. Ma neppure dormire o commerciare nella strada di colui che promosse i campi di concentramento in Africa del sud e fu corresponsabile del bombardamento a tappeto su Dresda.

Silicon Valley, anno zero

Con il culto di Steve Jobs, si apre una nuova epoca. Quella del culto degli inventori di gadgets. Perchè cos’è stato Steve Jobs se non un eccellente uomo d’affari e un formidabile ideatore di accessori? Non ha inventato  nè il telefono, nè il computer, nè internet. Celebrare fino a questo punto Steve Jobs non sapendo chi siano  Alexander Graham Bell e Tim Berners-Lee è un po’ come deificare Rupert Murdoch dimenticando Gutenberg o Quentin Tarantino trascurando i fratelli Lumière. Sotto un articolo del Parisien riguardante la statua di Jobs a Budapest, possiamo leggere il seguente commento: «Trovo questo meno scioccante dal costruire delle statue e degli edifici per un tipo che pretende di essere il figlio di dio». Ciò che il bravo commentatore non aveva chiaramente compreso è che ci troviamo di fronte allo stesso processo. Le statue e i nomi delle vie vanno ad aggiungersi a tutti gli Apple Stores del mondo, che sono loro stessi, se non altro per la sobrietà dello stile, dei templi eretti nei quali i fedeli si ritrovano. L’Uomo ha rimpiazzato Dio e il consumismo la spiritualità.

Questo piccolo mondo si sbaglia sulle ragioni che fanno di Steve Jobs un grande uomo. Steve Jobs era molto intelligente, è indubitabile. Se Steve Jobs merita un omaggio, è solo in quanto uomo d’affari che ha perfettamente intuito gli aspetti meno brillanti della nostra psicologia impulsiva e gregaria e in qualità di padre di non aver mai dimenticato che ciò che fabbricava e commercializzava era nocivo per la salute mentale. Proprio come Evan Williams, il creatore di Twitter, e altri simili della Silicon Valley, Steve Jobs aveva una politica estremamente rigorosa riguardo all’impiego di questi «prodigi tecnologici» da parte dei bambini. Metteva nelle loro mani un foglio e un pastello e gli intimava di pensare con la propria testa. «Think different» diceva Steve Jobs ai suoi bambini, come se parlasse alla maggior parte dei suoi clienti. Il buon senso non ha mai abbandonato il grande uomo d’affari. Ma quando vediamo la nostra luminosa Najat Vallaud-Belkacem e i suoi piccoli amici fare la promozione dell’industria dei tablet a scuola e parallelamente introducono una riforma dell’ortografia per renderla meno esigente, è evidente che quello stesso buon senso abbia disertato la maggior parte delle menti. Ma cosa importa, non abbiamo più bisogno di tutto questo, abbiamo l’iPad!

Matthieu Buge

Fonte: https://francais.rt.com

Link: https://francais.rt.com/opinions/30683-voie-steve-jobs

 

Traduzione per www.comedonchisciottelorg a cura di VOLLMOND

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