Un involtino vietnamita vi seppellirà

I presidenti di Cina e Russia, all'ultimo forum sulla Belt and Road Initiative di Pechino e a quello di Valdai in Russia, hanno ribadito il loro impegno verso la costruzione di un mondo multipolare ma introducendo una novità non irrilevante: l'aspetto civilizzazionale. Le teorie di Huntington e Dugin sono calzabili ai discorsi dei due Presidenti in maniera quasi perfetta, mentre quella di Fukuyama viene relegata a “Wishful Thinking”, sebbene abbia plasmato il panorama geopolitico nei primi due decenni dopo la fine della guerra fredda. La Storia non è finita, il progresso non sarà raggiunto in un unico modo, vi sono alternative e sono in concorrenza.

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Di Fabrizio Bertolami per comedonchisciotte.org

 

I presidenti di Cina e Russia, all’ultimo forum sulla Belt and Road Initiative di Pechino e a quello di Valdai in Russia, hanno ribadito il loro impegno verso la costruzione di un mondo multipolare ma introducendo una novità non irrilevante: l’aspetto civilizzazionale.

Nel suo discorso Xi ha affermato:

“Il nuovo tipo di relazioni internazionali è diverso in quanto ha creato un nuovo percorso per le interazioni tra i Paesi, ha aperto un nuovo capitolo della storia mondiale in cui diverse civiltà e Paesi con sistemi diversi convivono in pace e cercano uno sviluppo comune, e ha aperto la strada a costruire una comunità globale di futuro condiviso ”

A Valdai, Putin aveva affermato che:

“Sono sicuro che l’umanità non si sta muovendo verso la frammentazione in segmenti rivali, un nuovo confronto tra blocchi[…]. Al contrario, il mondo si sta dirigendo verso una sinergia di civiltà-stati, grandi spazi, comunità che si identificano come tali.”

aggiungendo che:

[…]Ogni civiltà è diversa, ognuna è culturalmente autosufficiente, attinge alla propria storia e alle proprie tradizioni per i principi e i valori ideologici.”

Il riferimento alla dimensione civilizzazionale, e perciò culturale, è importante poiché da la misura di un accordo fondato su un mutuo riconoscimento e sul principio di non ingerenza a un livello più profondo di quello economico. Non è l’idea euro-americana di “compatibilità” democratico-liberale a dover guidare gli accordi e la cooperazione tra Nazioni, ma il mutuo riconoscimento di una specificità, verso la quale non si può “esportare” alcun modello politico o sociale che le sia proprio, per cause storiche o culturali.

I poli del futuro sistema multipolare dovranno primariamente fondarsi su omogeneità culturali e storiche , così come religiose e sociali.

Si riconosce che esistono civiltà specifiche e irripetibili, che danno luogo a società specifiche, con relazioni sociali specifiche e pratiche etno-religiose proprie, e che queste sono un fine in se e che l’attività economica non è che un mezzo per supportarle e farle prosperare, non un fine a cui essere assoggettati.

Il riferimento di Putin alla civilizzazione russa e al concetto stesso di civiltà, prende molta parte del discorso di Valdai, come nel punto in cui afferma:

“La civiltà […] si basa sugli interessi fondamentali e a lungo termine degli Stati e dei popoli, interessi che non sono dettati dall’attuale situazione ideologica, ma dall’intera esperienza storica e dall’eredità del passato, su cui poggia l’idea di un futuro armonioso. “

in ciò a voler sottolineare che la linea del Cremlino è indipendente dalla volontà del suo attuale inquilino, ma è un progetto a lungo termine, se non strategico, almeno di orizzonte generazionale.

Le teorie di Huntington e Dugin calzano alla perfezione sui discorsi dei due Presidenti, mentre quella di Fukuyama viene relegata a “Wishful Thinking”, sebbene abbia plasmato il panorama geopolitico nei primi due decenni dopo la fine della guerra fredda.
La Storia non è finita, il progresso non sarà raggiunto in un unico modo, vi sono alternative e sono in concorrenza.

Già nel 2014 Kupchan faceva notare che stavano nascendo “versioni multiple della modernità in competizione tra loro nel mercato delle idee” (1), ed erano passati 7 anni dal famoso discorso di Putin a Monaco e quattro dalla nascita dei BRICS.

La dimensione civilizzazionale ci porta nell’ambito geopolitico tanto di Huntington quanto di Dugin, poiché sposa la loro visione di globo suddiviso per aree di influenza “naturali” dovute a fattori non economici ma prima di tutto geografici, etnici, culturali, storici e religiosi. Le aree disegnate dai due autori differiscono nella forma, poiché Huntington parte da una base strettamente religiosa, e di conseguenza culturale, mentre Dugin abbraccia un insieme di fattori che si mescolano, dove sicuramente il fattore geografico è tra i più rilevanti.

A ben vedere il modello di Dugin ricalca quello delle pan-regioni di Hausofer, segno che la Geopolitica, dopo un secolo, riconosce dei fondamenti quasi “deterministici” alla sua disciplina, e ci riporta alla ricerca primaria di trovare un equilibrio nelle Relazioni Internazionali.

Secondo Dugin, infatti, una siffatta suddivisione del quadro geopolitico renderà la possibilità di conflitti altamente improbabile.

Possiamo qui immediatamente notare come simultaneamente questa teoria si opponga tanto alla visione unificante ed unificatrice di Fukuyama tanto a quella fondata sulle civiltà culturalmente omogenee di Huntington.
Essa disegna invece un mondo fatto di sfere di influenza spazializzate ma non per questo chiuse ad una cooperazione con le aree contigue.
In summa, sebbene Huntington e Fukuyama ritengano che l’occidente abbia una cultura distinta rispetto a tutte le altre, il secondo, ritiene che essa sia superiore e che la sua esperienza storica la qualifichi per essere un modello per tutte le altre civiltà indipendentemente dai presupposti storico-culturali (one size fits all).
Il primo, al contrario, ritiene che la specificità occidentale debba essere salvaguardata e difesa più che essere esportata a forza, pena la sua sparizione in un mondo demograficamente più forte e culturalmente troppo diverso.

Il filosofo russo sostiene invece che i fautori di un ordine multipolare devono opporsi alla creazione di un ordine mondiale atlantista fondato sulla globalizzazione economica a guida americana al fine di difendere l’esistenza della varietà culturale dei popoli del mondo, della loro tradizione religiosa e del diritto di ognuno di essi a scegliere liberamente il loro percorso di sviluppo storico.

A un mondo uni-civilizzazionale, con un’unico modo di intendere la realtà sociale, la vita, le aspettative, il senso religioso e spitituale, la Storia e il suo fine, Cina e Russia propongono, per ora al “Sud del Mondo” ma in futuro chissà, un nuovo modello fatto di cooperazione economica, ma senza l’imposizione di un modello sociale e culturale non autoctono.

Indubbiamente suona strano sentirlo dire dalle due potenze che nei 50 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, sono state portatrici di un’ideologia che imponeva a chi ne era sottoposto una rigida visione marxista-leninista-maoista dell’individuo e della società. Oggi queste due Nazioni guidano, insieme ad un’altra ex nazione socialista, l’India, un percorso di “affrancamento”, che è prima di tutto culturale.

L’India lo fa addirittura cambiando il proprio nome in Bharat (2), per cancellare un retaggio di colonizzazione, la Turchia vuole essere denominata come Türkiye d’ora in avanti e non Turkey, all’inglese (per evitare spiacevoli assonanze con il tacchino, che in inglese si dice appunto Turkey).

Sono piccoli passi ma denotano una consapevolezza culturale rafforzata da un momento storico favorevole (se ne sono accorti anche in Italia (4)).

I BRICS stanno per allargarsi ad altre 6 nazioni e sfidano apertamente, in un ottica che è ormai revisionista “de facto”, il sistema unipolare americano con suoi i satelliti europeo e australe, ma mentre questi hanno in comune un sostrato religioso (maggioritario) comune, come il cristianesimo, e un orientamento politico liberale e democratico, il gruppo leader del Sud Globale manca di amalgama.

Come trovare un fattore comune tra culture, sistemi politici, religiosità così differenti?
Xi Jinping e Putin propongono una “unione nella diversità”, fondata in primis su infrastrutture e vie di collegamento stabili e sicure tra Nazioni produttrici e mercati di sbocco, con accordi economici in valuta locale, aggirando l’egemonia del dollaro, senza contropartite di natura politica come nel caso dei prestiti concessi da FMI e Banca Mondiale.

Diversi culturalmente, di etnia differente, con valori religiosi i più disparati, con valute differenti e sistemi politici agli antipodi, ma uniti da un “revanscismo culturale” che diventa economico grazie agli investimenti e alle infrastrutture dei BRICS o solo ricerca di nuovi “centri di gravità permanenti” in un mondo che sta vedendo sgretolarsi l’ordine costruito negli ultimi 30?

Se sono i tratti culturali ed etnico-religiosi a definire in primis un individuo nel mondo odierno, è allora da quelli che si ripartirà per costruire quello nuovo. Il Soft power occidentale, fondato principalmente sull’immagine del modello culturale occidentale, perderà presa man mano che il nuovo sentimento multipolare e multi-civilizzazionale prenderà piede.
Potrà anzi verificarsi una contro-ondata culturale, con i giovani che già oggi usano più TikTok che Instagram e vestono magliette con caratteri cinesi o giapponesi anziché la classica scritta in inglese e che preferiscono ramen, kebab e sushi all’hamburger.

Un involtino vietnamita vi seppellirà.

Appendice:

Negli stessi giorni in cui si svolgevano i consessi internazionali in cui Putin e Xi hanno declamato il loro “Manifesto per l’era Multipolare”, un noto think-tank di Bruxelles, il CEPR,  dettava il suo, ma per un era di “nuova guerra fredda”. Le firme sono di figure molto ascoltate in sede europea, tra le quali troviamo Joaquin Almunia, Giuliano Amato, Jean-Claude Juncker, Emma Marcegaglia, Mario Monti, Pierre Moscovici, Romano Prodi, Francesco Profumo, Lucrezia Reichlin, Herman Van Rompuy, André Sapir, Eleanor Spaventa, e Jakob von Weizsäcker (5).

Anche in questo caso si parla di civiltà, ma non in termini di civilizzazione, si parla di inclusività ma in conformità a regole stringenti. Si parla di cooperazione, ma in termini fiscali.
“Uniti nella fiscalità” ne potrebbe essere il motto.

Possiamo anche qui ritrovarvi qualcosa di quanto affermato sia da Dugin che da Huntington, il primo dove prefigura una pan-area Euro-Africana e il secondo dove si afferma che l’allargamento dell’Europa raggiungerà le 35 nazioni, ovvero tutte quelle dell’area culturale cristiana europea e parte di quella caucasica, a tendere, ma il senso del manifesto è complessivamente tecnocratico, e descrive un’Europa che si prepara a chiudersi per ricostruire all’interno di sé ciò che serve.
Oltre alle attività economiche ora delocalizzate, essa deve recuperare in termini tecnologici ed energetici, dove i propri “competitor” posseggono potenzialmente il 60% dello stock di idrocarburi mondiali e sono leader nella costruzione di semiconduttori e nuove tecnologie.

Si descrive un’Europa costretta a rincorrere, un ruolo inedito per il “Vecchio Continente”, che addirittura i firmatari vedono “uscire dalla Storia” (ndr), se non saprà compattarsi e unificarsi , in un “federalismo graduale e pragmatico”.

Secondo i firmatari, l’Europa dovrà federarsi attorno alle regole dettate dall’Europa stessa e quindi, primariamente, dal punto di vista fiscale, con l’obiettivo finale di un federalismo anche politico.

L’intero testo è disponibile qui , ma se ne forniscono alcuni estratti, significativi:

[…]
L’intonazione geopolitica e il ruolo della UE dipenderanno, in modo decisivo, dalla capacità europea di riconciliare la propria agenda interna con la propria agenda internazionale. A questo scopo, i protagonisti della scena europea devono acquisire la consapevolezza che l’attuale modello socio-economico, istituzionale e – alla fin fine – anche politico non è sostenibile in un mondo post-pandemico lacerato da guerre ‘calde’ e ‘fredde’.

Da un punto di vista socio-economico, la dipendenza dalla domanda esterna, il graduale arretramento rispetto alla frontiera tecnologica, il rischio di perdere la posizione di leadership nella lotta contro i cambiamenti climatici, una demografia stagnante e il progressivo sgretolarsi della coesione sociale stanno mettendo in discussione i capisaldi del modello economico e sociale europeo.

Le debolezze economiche e sociali, le incoerenze istituzionali e le tensioni politiche sono destinate ad aumentare e a portare alla paralisi della UE, nel momento in cui se ne prospetta l’allargamento a 35 membri e più.E’ necessaria una nuova sintesi che porti a un rinnovato contratto politico.

Un utile punto di partenza consiste nello specificare le strade che non vanno percorse. Il negazionismo rispetto ai cambiamenti climatici, l’ottica di breve termine propria a un mercantilismo con lo sguardo rivolto al passato, le tentazioni di perseguire un protezionismo tecnologico e di defilarsi dalle catene internazionali del valore, l’ascolto delle sirene a favore dell’autarchia demografica e l’esternalizzazione delle funzioni di difesa e sicurezza equivarrebbero a condannare la UE all’irrilevanza nella governance internazionale.

Per gestire efficacemente la sfida dell’immigrazione, occorre istituire una nuova relazione fra UE e Africa. Tale relazione deve essere fondata su accordi di cooperazione che non possono ridursi al contingentamento delle partenze dei migranti; si tratta, invece, di costruire un nuovo modello di inclusione negli stati membri della UE che si incentri sull’istruzione, sulla formazione e sulla creazione di opportunità occupazionali.

Gli stati membri dovranno scegliere di comune accordo se vogliono essere co-protagonisti insieme, o comparse marginali da soli. Se intendono fungere da protagonisti, essi devono essere pronti a dotare la UE dei necessari poteri. Ciò non significa inseguire fin da subito un’irrealistica federazione europea. Si tratta, invece, di perseguire una nuova articolazione fra politiche nazionali (coordinamento orizzontale) e fra livelli nazionali e livello centralizzato (coordinamento verticale). Si può denominare una tale evoluzione come un “federalismo graduale e pragmatico”.

La ricostruzione di rapporti di fiducia nella UE richiede anche la consapevolezza che i vincitori di ieri non sono i vincitori di oggi o di domani. In un mondo connotato da incertezza endemica e da continui shock, il dominio di “giochi a somma zero” può essere evitato solo se si fa ricorso a una solidarietà con base assicurativa, ossia a una solidarietà che offre sostegno a chi di volta in volta sopporta il maggior onere a causa di tali shock.

Fiducia reciproca, solidarietà non a senso unico, una capacità fiscale centrale permanente che offra Beni Pubblici Europei di natura economica e non-economica, una nuova politica industriale che dia un forte sostegno all’autonomia strategica della UE e l’inclusione sociale delle componenti più deboli della società sono gli ingredienti necessari per la graduale costruzione di un federalismo pragmatico.

Una riforma istituzionale dovrebbe anche prevedere la possibilità di procedere con geometrie variabili e con “club” di stati membri, purché in aree ben definite dove emerga l’esigenza di far progredire la frontiera dell’integrazione pur se in mancanza di un accordo.

Resta fermo che non si può fare tutto in una volta. Dopo aver raggiunto chiarezza sull’agenda istituzionale e politica e sulle iniziative di politica economica, i leader degli stati membri e della UE dovrebbero spiegare ai cittadini europei per quali ragioni la realizzazione di istituzioni della UE più efficaci ed efficienti non è un’oscura prerogativa che riguarda la burocrazia di Bruxelles ma è uno sviluppo decisivo per salvaguardare il futuro delle nostre comunità e, cosa ancora più importante, il futuro delle giovani generazioni. […]

 

di Fabrizio Bertolami per comedonchisciotte.org

07.11.2023

 

Fonti:

1. Charles Kupchan The geopolitical implications of TTIP, Transatlantic Academy Paper Series, Giugno 2014.
2. https://www.lemonde.fr/en/international/article/2023/10/15/in-india-the-semantic-and-ideological-battle-to-rename-the-country_6175145_4.html
3. https://www.bbc.com/news/world-europe-61671913
4. https://www.corriere.it/oriente-occidente-federico-rampini/23_ottobre_21/mondo-post-americano-c1f71f24-7025-11ee-a2dc-ec63b3b04d4f.shtml
5. https://www.ilsole24ore.com/art/l-unione-europea-tempo-nuova-guerra-fredda-manifesto-AFRb0I6

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