ROBERT FISK
independent.co.uk
È giunto il momento di renderci conto di ciò che sta accadendo veramente in questa totale e farsesca “crisi” del Golfo, in questa sciarada di bugie e pomposità che Trump e i suoi cagnolini di Londra ci stanno ammanendo.
Un presidente americano razzista, misogino, disonesto e psicologicamente disturbato, spalleggiato da due consiglieri viziosi ed ugualmente disonesti e deliranti, sta minacciando di andare in guerra con l’Iran, mentre un buffone sventola-aringhe, anch’egli mentitore seriale, che probabilmente sarà il futuro Primo Ministro britannico [il pezzo è stato scritto prima dell’elezione di Boris Johnson N.D.T.], preferisce concentrarsi sull’autodistruzione del proprio paese piuttosto che sul dirottamento delle sue navi.
Gli iraniani, da sempre gli intriganti “terroristi” sciiti del Golfo, hanno osato far vedere il dito medio allo strampalato presidente che aveva infranto l’accordo internazionale nucleare con l’Iran siglato del suo stesso paese, ed ora fanno scorazzare i loro barchini a motore nello Stretto di Hormuz per ricordare a Trump e a Johnson (e al povero, piccolo Jeremy Hunt) che il Medio Oriente è un cimitero di imperi, sia attuali che defunti da lungo tempo. Che sfacciataggine! Quali altri spudorati crimini staranno architettendo i Persiani?
E noi dovremmo prendere sul serio tutta questa spazzatura? Forse dovremmo incolpare noi stessi. I nostri commentatori, i nostri corrispondenti, i nostri potenti imperi mediatici, si divertono a demolire gli squallidi personaggi di Washington e di Londra e poi, appena sentono odore di guerra, i loro volti assumono un aspetto leale e patriottico, mentre parlano in modo disincantato della “politica del Medio Oriente” di Trump , della sua “politica del Golfo“, della sua stretta amicizia con il suo “alleato” saudita grondante sangue o con il suo alleato israeliano ladro di terre. Che diamine. Non esiste una politica di Trump su qualcosa. Come non esiste una politica di Boris Johnson, o una politica di Jeremy Hunt, salvo, forse, un lamentoso piagnucolio alla Gilbert e Sullivan sul comportamento “totalmente e assolutamente inaccettabile” dell’Iran nel sequestro della Stena Impero.
“Impero” è la parola giusta. In effetti, non c’è stato nulla di più triste o di più pietoso della voce del comandante dell’HMS Montrose (o “Foxtrot 236” come gli si rivolgevano gli Iraniani, riferendosi al numero sulla prua della fregata) mentre, venerdi scorso, snocciolava gli articoli del suo regolamento vittoriano alle Guardie Rivoluzionarie. “Non dovete in alcun modo pregiudicare, impedire, ostacolare o intralciare il passaggio della MV Stena Impero,” diceva. Oh, ma gli Iraniani hanno potuto e hanno pregiudicato, impedito, ostacolato e intralciato il passaggio della petroliera battente bandiera britannica.
Perché sapevano che l’unica nave della Marina britannica a bagno in tutti i 251.000 metri quadrati di mare del Golfo Arabico (o Persico, scegliete voi) era una fregata lunga 132 metri, troppo lontana per impedire un simile “ostacolo” e “intralcio.” Sono lontani i tempi in cui il quindicenne Horatio Nelson aveva imperiosamente navigato lungo il Golfo fino a Bassora a bordo della fregata del 18° secolo, a 20 cannoni, Seahorse, al comando di suo zio, Maurice Suckling. Se l’HMS Duncan, che prende il nome del vincitore della Battaglia di Camperdown del 18° secolo, venisse in soccorso dell’HMS Montrose (anch’essa con il nome di un duca del 18° secolo), potrebbero stare insieme solo poche settimane. Poi la Montrose dovrà tornarsene a casa.
All’epoca di Nelson, la marina reale possedeva più di 600 navi da guerra. Oggi, ne abbiamo meno di 20 per impedire alle orde persiane (o alle orde cinesi o a qualsiasi altra orda) di pregiudicare, impedire, ostacolare o intralciare quelli che amiamo chiamare “i nostri vitali rifornimenti di petrolio.” E’ stato abbastanza giusto che la nave cisterna sequestrata stesse navigando vuota verso il regno dittatoriale dell’Arabia Saudita, l’amabile alleato di Trump, al momento del dirottamento. Non c’è da stupirsi che Jeremy Hunt voglia raffreddare le acque del Golfo, piuttosto che ordinare alla sua piccola nave di fare da scorta alla potente flotta americana.
E’ stato anche veramente appropriato che, all’apice della nuova era di auto-illusione e di misticismo imperiale britannico, gli Inglesi abbiano dovuto imbarcarsi nel Monty-Pythonesco sequestro di una petroliera iraniana a Gibilterra. Avevano voluto farci credere, e qui la retorica aveva raggiunto livelli incredibili, che la Grace 1, elegantemente abbordata dai royal marines (così come avrebbero poi fatto i loro omologhi iraniani mascherati con la Stena Impero), era stata catturata perché stava trasportando petrolio alla Siria. L’UE, che avrebbe dovuto essere fin troppo desiderosa di applicare tali sanzioni, non aveva detto nulla. E poi Jeremy aveva voluto chiacchierare con gli Iraniani, per ricevere rassicurazioni sul fatto che la loro nave cisterna non fosse diretta a Banias ma, e chi lo sa, forse in qualche isola greca, o alla Costa del Sol.
Quindi, solo per completare la festa di compleanno del Cappellaio Matto, la questione era stata affidata al primo giudice della Corte Suprema di Gibilterra la cui giurisdizione politica, dovremmo ora credere, comprende i grandi affari di stato, da Washington e Londra fino a Teheran, anche se la popolazione della rocca è meno di 35.000 anime. Oh, certo, ci viene detto che la Corte Suprema di Gibilterra ha ordinato la detenzione della Grace 1 per altri 30 giorni. Bene, bene, dobbiamo fare ciò che desidera questa onnipotente magistratura. In verità, questo è solo ad un passo da Trial By Jury, l’opera comica che il nostro probabile futuro Primo Ministro sicuramente adorerà.
Se gli Americani non avessero, come sembra sempre più essere il caso, sollecitato, comunicato e ordinato agli Inglesi di catturare la Grace 1, siatene certi, questi ultimi non l’avrebbero mai fatto. Ed è anche certo che, se Jeremy avesse rifiutato di impegnarsi ancora di più in questa assurdità, la Corte Suprema di Gibilterra e il suo primo giudice, insieme agli altri tre, avrebbero dimenticato tutto il loro legalese, graziando, in tutta la loro benevolenza, il capitano iraniano, augurandogli anche buona fortuna. Ma no. Nel momento stesso in cui siamo stati invischiati in questa azione incendiaria era assolutamente chiaro che gli Iraniani avrebbero fatto la stessa cosa. Come ho pensato già molte volte, questi Persiani capiscono noi molto meglio di come noi capiamo loro.
Allora, venite per un attimo con me a Teheran. Pensiamo davvero che gli Iraniani, per quanto arroganti, presuntuosi, crudeli e vendicativi possano essere, non siano consapevoli dell’imminente auto-immolazione alla Brexit della Gran Bretagna? Pensiamo veramente che non abbiano compreso la complessità della battaglia fra Johnson e Hunt, il cui risultato sarà deciso da una cabala di Tories, le cui decisioni faranno sembrare le elezioni parlamentari e presidenziali iraniane un modello di democrazia internazionale? Siate certi che anche gli Iraniani hanno visto l’aringa di Boris Johnson. Ma hanno pesci più grandi da friggere nel Golfo.
E crediamo veramente che gli Iraniani abbiano dimenticato l’ultima “guerra delle petroliere” nel Golfo, quella del 1987? Io la ricordo molto bene. Avevo seguito tutta la disgraziata faccenda, letteralmente sorvolando in elicottero quel caldissimo Golfo, un giorno dopo l’altro. L’apice della tensione si era verificato quando gli Americani avevano deciso di far battere la bandiera a stelle e strisce alle petroliere kuwaitiane e di dare loro una scorta navale americana per proteggerle dagli attacchi aerei iraniani. Oggi la cosa sembra familiare. Naturalmente, all’epoca eravamo alleati di quel raffinato e democratico guerriero arabo di Saddam Hussein, che aveva invaso l’Iran nel 1980 (con un costo finale di oltre un milione di vite). Bene, la prima missione di scorta era andata disastrosamente storta, anche se sembra che Trump, Hunt, Boris Johnson e Humpty Dumpty lo abbiano dimenticato, quando la petroliera kuwaitiana al-Rakkah, all’epoca ribattezzata Bridgeton e accompagnata da una squadra della marina statunitense, aveva urtato una mina iraniana, il 24 luglio 1987.
Era stata in grado di continuare il viaggio, ma le navi da guerra americane, dallo scafo sottile e con le fiancate talmente fragili che una mina avrebbe potuto affondarle, avevano fatto il resto del viaggio in fila indiana dietro alla Bridgeton, come una nidiata di pulcini, usando il grosso scafo della petroliera come protezione. Gli Iraniani, come ho già detto, non hanno sicuramente dimenticato questa umiliazione americana. Dopotutto, sono specialisti in umiliazioni, quando pensano di averne subita una.
Pensiamo forse che la ridicola “Gulf Protection Force” di Trump si comporterebbe meglio? Ci sono pochi volontari, ma, dal momento che Boris Johnson era pronto ad affondare un ambasciatore inglese, suppongo che possa anche rischiare una o due fregate britanniche.
Gli Iraniani, ancora una volta, lo hanno capito benissimo. Il loro trattato nucleare, onorevolmente siglato dal presidente americano dell’epoca, è stato strappato, eviscerato e distrutto in modo vergognoso da Trump. Quindi, dopo essere stati criticati dagli Americani e sottoposti con la forza ad ulteriori sanzioni dallo stesso colpevole, perché gli Iraniani non dovrebbero essi stessi giocare a fare la superpotenza usando le innocenti navi di Sua Maestà Britannica nella loro Play Station? Non ci siamo ancora resi conto della vera importanza (ma, ancora una volta, sappiate che gli Iraniani lo hanno capito benissimo) dell’indignazione di Trump per la relazione diplomatica di Sir Kim Darroch sulla distruzione degli accordi sul nucleare da parte degli Stati Uniti. La rabbia di Trump era chiaramente intesa a far defenestrare l’ambasciatore britannico. Stava dicendo “rimandatelo indietro,” sicuramente come avrebbe voluto rimandare “indietro” la deputata americana che era stata scortese con lui. E il nostro probabile futuro Primo Ministro si è, di fatto, adeguato.
Eppure, in mezzo a tutti questi inganni, dovremmo ancora continuare ad ingoiare il pastone che i nostri messaggeri imperiali scrivono per noi, fingendo, ancora una volta, che esista una politica di Trump nel Golfo e che la sicurezza del Medio Oriente possa scaturire dai ricoverati in un manicomio. Ecco quindi David Ignatius, un mio vecchio collega ed amico fin dai tempi della guerra civile in Libano, che scrive queste corbellerie nella sua rubrica statunitense: “Mentre il confronto degli Stati Uniti con l’Iran si approfondisce nel Golfo Persico … il triste ma necessario il compito è quello di scoraggiare l’Iran e prepararsi alla guerra, se la deterrenza dovesse fallire.”
Per fare questo, Mohammed bin Salman, secondo il suddetto Ignatius, dovrebbe assumersi la responsabilità dello smembramento di Jamal Kashoggi e chiudere la guerra criminale nello Yemen, come se il principe ereditario potesse prendere in considerazione la seconda eventualità (figuriamoci poi la prima), perché “le relazioni USA-Arabia Saudita sono importanti per la sicurezza di entrambi i paesi, specialmente ora che il confronto con Teheran si avvicina alla guerra … attualmente è urgente reimpostare le relazioni USA-Arabia Saudita su una base più onesta, man mano che aumenta il pericolo di un conflitto regionale.”
Dimenticate quindi il fatto che Trump è un pazzo e che il principe ereditario sembra essere un giovane profondamente disturbato e che è a capo di uno stato psicotico. La Casa Bianca è un manicomio, ma, secondo Ignatius, dobbiamo prepararci per “il compito triste ma necessario” di “dissuadere l’Iran,” piuttosto che dissuadere Trump, dal momento che “cresce il pericolo di un conflitto regionale.” Come possiamo continuare a credere a queste scemenze? Non esiste un pulsante di spegnimento che ci dia , almeno qualche momento, la possibilità di riflettere in silenzio, per contemplare la follia che sta alimentando i nostri preparativi di guerra?
Potrebbe essere una buona idea, in questo momento, ricordare cosa vuol dire pattugliare il Golfo al largo delle coste iraniane. Poco più di 30 anni fa, ero a bordo di una delle navi gemelle più anziane della Montrose, la fregata HMS Broadsword, mentre scortava le navi cisterna britanniche attraverso lo stretto di Hormuz, sotto lo sguardo delle Guardie Rivoluzionarie. Per dare ai lettori un tocco di realtà, la vera realtà, per così dire, questo è ciò che avevo scritto all’epoca:
“Quello che tormentava la maggior parte dei marinai nel Golfo era il caldo. Arroventava tutti i ponti finché non diventavano, letteralmente, troppo caldi per camminarci sopra. I marinai britannici dovevano camminare usando il bordo esterno delle scarpe, a causa delle alte temperature che si raggiungevano nelle parti metalliche. Gli involucri delle bombe di profondità, i dispositivi di mira dei cannoni Bofors, erano troppo caldi per essere toccati. Sul ponte di volo dell’elicottero, la temperatura arrivava ad oltre 50°C e solo una mano distratta avrebbe impugnato una chiave inglese senza indossare i guanti. Faceva venire il mal di testa, una stanchezza disperata, una terribile irritazione verso i compagni sul ponte di prua. All’interno della nave … il calore avanzava più in fretta degli stessi marinai. Nel quadrato ufficiali si stava al fresco dei 26°C. Un bicchiere d’acqua e gocciolavo. Avevo aperto la prima porta a tenuta stagna ed ero stato assalito dal caldo … Dopo la seconda porta, ero entrato in una fonderia tropicale, il solito mare grigio uniforme che scivolava sotto il ponte. Come possono gli uomini lavorare in queste condizioni e rimanere razionali?”
Sì, immagino che la “razionalità” sia poi il nocciolo della questione, ma i nostri padroni non possiedono più questa facoltà. A proposito, la Broadsword era stata venduta ai Brasiliani, quasi un quarto di secolo fa, nel 1995. La Bridgeton era stata demolita in India sette anni dopo. E quello è il posto dove dovrebbero stare oggi i nostri pazzi leader: in mezzo ai rottami.
Robert Fisk
Fonte: independent.co.uk
Link:https://www.independent.co.uk/voices/iran-tanker-crisis-trump-boris-johnson-hunt-strait-of-hormuz-war-a9015396.html
22.07.2019
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org