Tecno-liquidità e psicopatologie degli studenti

In Senato l'allarme degli esperti già dal 2019. ComeDonChisciotte riporta gli interventi dell'“indagine conoscitiva sull’impatto del digitale sugli studenti”. Scuola digitale: Capito 3 - professor Andrea Marino, psicoterapeuta dell'Istituto di Terapia Cognitivo-Interpersonale di Roma.

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Introduzione a cura della Redazione

Adottato con decreto del Ministro dell’Istruzione n. 161 del 14 giugno 2022 – durante il Governo Draghi – e finanziato dal PNRR come parte degli obiettivi fissati per l’ottenimento dei fondi (Target UE M4C1-19), il ‘Piano Scuola 4.0’ rappresenta il definitivo tassello per la transizione digitale di tutto il sistema scolastico italiano entro il 2025.

Lo scopo dichiarato è dotare la didattica dell’uso massivo di tecnologie informatiche, allo scopo di trasformare le aule “in ambienti innovativi di apprendimento” e realizzare “laboratori per le professioni digitali del futuro” prevedendo persino lezioni nel Metaverso, denominato orwellianamente Eduverso. Tutto in perfetta conformità con quanto stabilito dalla Commissione europea con il ‘Piano d’azione per l’istruzione digitale’ a partire dal 2018, ribadito e rafforzato nel 2021 in piena pandemia.

Per comprendere l’evoluzione della trasformazione digitale imposta dalla Commissione in Europa a partire dal 2010 vi invitiamo a scaricare il PDF allegato.

In questa sede vogliamo invece incentrarci sui pericoli che la digitalizzazione della didattica comporta per i più piccoli, i nostri figli, fratelli, nipoti; soggetti considerati fragili poiché dalla mente plasmabile che più di tutti subiranno questa trasformazione, inconsapevoli dei danni che subiranno.

Il ‘Piano Scuola 4.0’ è infatti stato adottato nonostante non esista nemmeno uno studio scientifico in grado di dimostrare la migliore efficacia della nuova didattica rispetto alla metodologia tradizionale e nonostante – fatto ancora più grave – numerose ricerche ne abbiano evidenziato i danneggiamenti dei processi di apprendimento e della salute degli studenti.

E quando tutto ciò, tra qualche anno, sarà palese – proprio come sta accadendo in questo momento in Svezia – i nostri rappresentanti non potranno giustificarsi poiché proprio la 7ª Commissione permanente del Senato italiano organizzò nel 2019, un’“indagine conoscitiva sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”, invitando alcuni dei più autorevoli esperti del settore che lanciarono un vero e proprio grido di allarme.

La Redazione ha quindi deciso di pubblicare i resoconti dell’indagine, in vari appuntamenti (1 ogni settimana) relativi alle rispettive sedute, svoltesi dal 11 giugno 2019 al 2 dicembre 2020.

Qui l’indagine integrale: https://www.senato.it/Leg18/3545?indagine=16

Resoconto n° 1 – 11 giugno 2019 – Audizione del prof. Manfred Spitzer (CAPITOLO 1)

Resoconto n° 2 – 2 ottobre 2019 – Audizione del prof. Lamberto Maffei (CAPITOLO 2)

Resoconto n° 3  – 24 ottobre 2019 – Audizione del prof. Andrea Marino, psicoterapeuta dell’Istituto di Terapia Cognitivo-Interpersonale di Roma

Video della sedutahttps://webtv.senato.it/Leg18/webtv_comm?video_evento=34501

Documentazione depositata agli atti: Tecnoliquidità, nuovi scenari (evolutivi?) per la salute mentale

 

“Signor Presidente, innanzitutto ringrazio la Commissione dell’invito. Prima di riferire dati precisi sulla mia materia, vale a dire su come il digitale e la tecnologia influiscano sull’apprendimento, sarebbe opportuno fare un piccolo preambolo sulla fase dell’apprendimento, quindi su come i ragazzi, soprattutto i bambini, arrivano a scuola.

Viviamo un momento di «tecno-liquidità», come l’abbiamo definito nel nostro istituto: in questo concetto abbiamo riunito la liquidità baumaniana e l’ipertecnologia imperante che è emersa dal nostro riscontro psicoterapeutico, psichiatrico e neurologico.

Tutto questo movimento tecnologico e di ipervelocità e liquidità relazionale ci porta a dedicare circa 50.000 ore annue di psicoterapia quasi esclusivamente alla dipendenza digitale, non solo presso i nostri studi, ma anche – negli ultimi due anni – in una struttura residenziale.

Ormai stiamo trattando la dipendenza digitale anche in fase di apprendimento, quindi sui minori, alla stregua delle altre dipendenze: in riabilitazione e cambiando i tempi, i modi e gli spazi della fruibilità dell’oggetto di dipendenza. Se fino a qualche anno fa la dipendenza poteva essere da alcool e da altre sostanze, in questo momento storico l’oggetto di dipendenza sembra essere rappresentato in grande prevalenza dallo strumento di mediazione tecnologica: il tablet, lo smartphone e, conseguentemente, i social network.

Partiamo dalla nostra esperienza clinica per dire che il funzionamento della dipendenza agisce fin dal primo anno di età e influisce anche sull’apprendimento. Ogni giorno nel mondo in 60 secondi vengono scaricate da Internet 13.000 ore di musica e si ha la fruibilità di 168 milioni di mail. È tutto tecno-mediato; tutto avviene attraverso telefono, smartphone e tablet e quindi attraverso una connessione.

Tutto quello che facciamo lo facciamo non più scrivendo a mano, ma ormai quasi esclusivamente digitando: è cambiato proprio il movimento. Vedremo in seguito più nel dettaglio che conseguenze avrà, ma vi anticipo che tutto questo influisce sulla nostra neuroplasticità. Questo cambiamento interviene in misura maggioritaria proprio in fase di apprendimento e tutti sappiamo quanto i neuroni e il sistema neurofisiologico siano attivi soprattutto nei primi anni di vita e, in generale, fino alla pubertà.

Il fenomeno sta incidendo proprio sulla neuroplasticità, che è lo stato di normalità del nostro sistema nervoso nell’intero corso della vita, che ci permette di sottrarci alle limitazioni del nostro genoma e adattarci a situazioni ambientali e cambiamenti fisiologici.

Intendo dire che il sistema nervoso si struttura in maniera plastica, si adatta e muta in base a condizionamenti, positivi o negativi che siano. Quando alcuni circuiti del nostro cervello si rafforzano, attraverso la ripetizione di un’attività fisica o mentale, cominciano a trasformare un’attività in abitudine.

Al momento la nostra abitudine non è più quella di scrivere e attivare i circuiti neurofisiologici della scrittura. Non è più quella di scrivere la lettera «a» in corsivo, diversificandola in maiuscolo, minuscolo, grassetto eccetera, ma semplicemente quella di digitarla. Abbiamo cambiato il circuito neurofisiologico con conseguente differenziazione ormonale e morfologica del sistema nervoso.

Ci sono ormai centinaia di video su YouTube che mostrano bambini di un anno ai quali viene data una rivista o un foglio di carta e, piuttosto che sfogliarlo, vi cliccano sopra. Questo sta modificando il sistema neurofisiologico sin dall’età neonatale. Alcune ricerche di frontiera affermano che ciò avviene anche in fase prenatale.

Ovviamente tutto ciò incide sull’apprendimento, perchè se un bambino arriva a scuola con un sistema neurofisiologico già improntato su questa struttura e in questa direzione, verrà modificata in lui la ricezione di un apprendimento, in questo caso di tipo scolastico. Lo stesso avviene per la lettura.

Passando ai dati relativi all’apprendimento, a volte si dichiara che arriverà una bordata di negatività, ma non vuole essere questo lo spirito del mio intervento. Vorrei solo fornire dei dati su cui cercheremo di ragionare insieme e che è giusto prendere in considerazione. Sono dati degli ultimi dieci o quindici anni, nazionali e internazionali.

Quando si dichiara che a scuola si studia meglio grazie ai media e al digitale non bisogna dimenticare che al momento non esistono dimostrazioni reali di questa tesi; al contrario, sono disponibili numerose ricerche che allo stato attuale dimostrano l’opposto, ovvero come la tecnologia informatica eserciti un effetto negativo sull’istruzione.

La valutazione delle osservazioni raccolte sull’introduzione dei computer nelle aule scolastiche fornisce quindi un consuntivo prevalentemente negativo. Confrontando il rendimento di soggetti che studiano con o senza computer si evidenzia un effetto negativo sui risultati del gruppo di studio con mezzi informatici.

Questo è uno studio del 1998, quando ancora non c’era un’invasività del mezzo informatico, nè nella vita personale nè in quella scolastica e/o professionale. Nel 2002 due economisti di rilevanza internazionale hanno denunciato, dopo l’introduzione dei computer nelle scuole di Israele (sappiamo quanto Israele sia all’avanguardia), un abbassamento del rendimento in matematica negli alunni di quarta elementare e ulteriori effetti negativi in altre materie negli allievi delle classi superiori.

Altri ricercatori, pur non avendo rilevato effetti negativi nella lettura coadiuvata da computer, hanno comunque escluso ripercussioni positive. Gli autori hanno commentato i risultati della ricerca ritenendo che, in generale, la presenza di un computer in casa conduce in primo luogo i bambini a giocare con i videogiochi; è quindi anche una questione di opportunità e di educazione familiare che si intreccia con l’educazione scolastica. Questo li distoglie dallo studio e si ripercuote negativamente sui risultati scolastici.

Circa l’utilizzo dei computer a scuola, si è invece evidenziato come gli studenti che non utilizzano mai questo strumento ottengano più raramente brutti voti rispetto a quelli che invece lo utilizzano poche volte l’anno. Viceversa, le capacità di lettura e di calcolo dei soggetti che stanno al computer più volte a settimana sono decisamente peggiori e lo stesso vale per l’utilizzo di Internet a scuola.

Passo ad una rapida panoramica mondiale, riportando dati che vanno mediamente dal 2004 ad oggi. L’utilizzo dei computer nei primi anni di scuola materna può provocare disturbi dell’attenzione. È inutile ricordare, perchè è di dominio pubblico, l’impennata negli ultimi cinque o dieci anni di patologie ascrivibili ai disturbi dell’attenzione, come l’Attention Deficit Hyperactivity Disorder (ADHD), soprattutto nella scuola materna, con conseguente affiancamento del supporto e un aggravio anche economico per il sistema scolastico.

In età scolare si registra un incremento dell’isolamento sociale. Più i bambini studiano attraverso una tecno-mediazione, di gruppo o individuale, più sono invitati a stare e ragionare da soli. Ciò induce a una sorta di isolamento, prima cognitivo e susseguentemente emotivo, perchè non c’è un confronto rispetto alla materia di studio e non c’è una richiesta di spiegazioni rispetto ad eventuali errori.

Prima avevamo un mentore, un capoclasse, un maestro, un educatore o un genitore; adesso la tecno-mediazione nell’apprendimento e nell’istruzione induce ad apprendere un pochino più da soli, filtrando quella che prima era una narrativa di classe e una narrativa con il mentore in una narrativa individuale e questo incide sullo sviluppo psichico e relazionale. È l’anticamera di determinate patologie in pubertà.

Alcune valutazioni fatte in Perù e Uruguay hanno evidenziato che i bambini con accesso ai computer portatili a scuola non hanno ottenuto risultati migliori nei test rispetto a studenti senza computer; inoltre eseguivano meno volentieri i compiti a casa.

Nella Corea del Sud, il Paese con maggiore diffusione di media digitali nelle scuole, un’indagine del Ministero del 2010 (non è recentissima, ma nemmeno troppo datata) ha evidenziato come già il 12% di tutti gli studenti avesse sviluppato dipendenze da Internet.

Nel 2010 c’era già una dipendenza in Corea del Sud. Immagino sappiate che soprattutto in Cina e in Corea del Sud, ma anche in Giappone, sono state allestite aree simili a campi di concentramento (chiaramente non vengono chiamate così, ma «campi di riabilitazione»), in cui si svolge una riabilitazione di stampo cinese (quindi un po’ militare, non come quella praticata in Occidente) per tutti coloro che sono dipendenti da Internet, social media o social network.

La famosa patologia che da circa vent’anni viene diagnosticata in estremo Oriente, soprattutto in Giappone, definita dal termine giapponese hikikomori, ha invaso i Paesi a prevalenza tecnologica, soprattutto la Corea del Sud e la Cina.

La Cina, come da tradizione, ha optato per un approccio più invasivo e per tutte le persone che rientrano in questo tipo di patologia o nell’area patologica della dipendenza da Internet è stata prevista una rieducazione comportamentale quasi militare. Questo è di dominio pubblico e anche YouTube è pieno di video sull’argomento.

Ciò che mi preme sottolineare è il legame tra la dipendenza e l’apprendimento sollecitato attraverso la tecno-mediazione. Lo stesso accade con l’uso di Internet a scuola. L’uso di Internet, oltre all’utilizzo della lavagna digitale, incrementa le potenzialità negative del mezzo.

Una ricerca condotta nel 2006 presso dieci scuole della California e del Maine ha confermato le conseguenze negative dei computer portatili a scuola.

Voglio ora citarvi una ricerca del 2014, che è più recente, svolta nel North Carolina tra i ragazzi di quinta elementare (stiamo parlando di ragazzi intorno ai dieci anni di età), da cui è emerso che l’accesso a un computer portatile e a Internet a casa abbassa il rendimento scolastico in matematica e in letteratura.

Lo studio con i media elettronici è più faticoso e questo è dimostrato anche da esperti internazionali di informatica. Ciò dipende, paradossalmente, dai presunti vantaggi degli e-book, perchè chi apre troppi hyperlink – cioè link, che aprono link ad altri siti e a pagine di pubblicità – perde facilmente il filo del discorso e questo lo induce a una ristrutturazione cognitiva e ideativa delle immagini, spezzando la narrativa interna che eravamo abituati a costruirci nella nostra fase di apprendimento, fatta di immagini, pensieri ed emozioni.

Quello che sta succedendo è proprio questo.

Abbiamo notato che in generale la tecnologia, soprattutto quella collegata a Internet, induce alla distrazione e ad una iperattivazione. Potrei un po’ banalizzare, ma questa costante iperattivazione e iperdistrazione non aiutano a ritrovarsi nel proprio concetto di sè. Siamo costantemente distratti e portati a fare mille cose all’esterno di noi stessi e questo distorce la relazione, prima intrapsichica, poi interpersonale. Senza una buona solidità e conoscenza di sè stessi non si arriva a una buona solidità relazionale e interpersonale, qualunque essa sia: nella comunità, in classe, con la moglie o con la famiglia.

Probabilmente ciò è indotto, purtroppo, sin dai primi anni di vita in famiglia attraverso la tecno-mediazione nell’apprendimento. Questo è confermato da tutta una serie di studi di neuroimaging che posso lasciare agli uffici della Commissione. Certamente il nostro istituto non è in grado di risolvere questioni come l’ipervelocità e il superfrazionamento dell’attenzione, che ora registriamo nell’apprendimento e nell’istruzione, ma abbiamo tratto grande giovamento da una serie di strumenti. Quando la patologia, a qualunque età, è incidente, ovviamente bisogna prescrivere dei farmaci, ma quando la patologia è presa prima dei diciotto anni di età, in età minorile, qualora essa non sia totalmente aggravante a livello personale e sociale, si può operare attraverso una serie di strumenti che vanno dalla psicoterapia alla meditazione.

Una delle nostre sperimentazioni è stata la meditazione nel gruppo classe, che non ha nulla a che fare con una meditazione religiosa di stampo orientale; è una meditazione scientifica e di consapevolezza che è molto di moda e va sotto l’etichetta di mindfulness. Siamo specializzati in questo tipo di meditazione e da essa abbiamo tratto grande giovamento, perchè la meditazione rallenta i processi di pensiero, i processi immaginativi e le emozioni, inducendo a ritornare con lentezza alla consapevolezza di tutta una serie di emozioni, cognizioni e ideazioni che invece la tecnologia ci induce a cavalcare e vivere ad una velocità che il nostro sistema neurofisiologico al momento non ha strumenti per affrontare”.


I resoconti dell’“indagine conoscitiva sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento” – Capitolo 3.

Scuola digitale:

CONTINUA…

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