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Tecnici al potere: come l’intelligence cambia le nostre vite

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A cura di Redazione CDC
Il 4 Agosto 2020
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IL PRIMATO DELLA POLITICA E I “REPORT SCIENTIFICI” DEGLI ESPERTI

Di Alessandro Fanetti – ComeDonChisciotte.org

Tradizionalmente l’autorità politica ha svolto, fra le altre, la funzione di tenere a freno le pulsioni distruttive interne alla comunità: non a caso il disordine è sempre stato concepito come un effetto dell’ingiustizia e del malgoverno. Virgilio propone un’immagine icastica di questa forza, “trattenitrice” in senso teologico-politico, nel I libro dell’Eneide, quando Giove profetizza a Venere l’avvento di Augusto e la fine delle guerre civili: allora le porte del tempio di Giano, tenute aperte in occasione dei conflitti, verranno sprangate con sbarre di ferro, mentre il “Furore empio” sarà legato con cento nodi di bronzo.

Per Dante l’imperatore, vero e proprio curator orbis, ha il compito di placare le tempeste della cupidigia (radice ultima, chioseremmo oggi, della competizione e della deregulation), un’inclinazione bestiale che impedisce agli uomini di vivere liberi e in pace. L’Italia, il “giardin de lo ‘mperio” trascurato dal sovrano tedesco, è una nave senza nocchiero in balia della tempesta: dilaniata da feroci rivalità fra concittadini, delle quali approfittano i tiranni e gli zotici, viene anche paragonata da Dante a un cavallo senza freno, una belva recalcitrante a sproni e briglie che necessita di essere domata. (1)

In queste poche righe è possibile comprendere chiaramente come “la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica(2)  , ossia la POLITICA, sia sempre stata fondamentale per una convivenza fra gli esseri umani e fra questi ultimi e il mondo circostante (talvolta riuscendoci meglio e talvolta peggio), fin dalla “notte dei tempi”.

Nei secoli si sono succeduti imperi e sultanati, regni e granducati, fino ad arrivare ad un’organizzazione internazionale basata sugli Stati-Nazione come quella odierna.

In ogni momento, comunque, il ruolo dei decisori politici, definibili come “decisori di ultima istanza”, è sempre stato fondamentale. Anche oggi che il “volere” dei grandi gruppi di potere economici transnazionali e dei “tecnici” è preponderante, senza l’accondiscendenza di una politica troppo spesso debole, confusa e dedita alle malversazioni, nulla di tutto ciò che propugnano sarebbe possibile.

I politici, dunque, dovrebbero avere delle caratteristiche ben precise, pena la loro incapacità nel gestire e risolvere le varie questioni che si trovano inesorabilmente davanti (con la conseguente abdicazione del proprio ruolo in favore di entità rappresentanti solamente interessi privati legati al mero profitto): la CONOSCENZA è la prima e la più importante di queste peculiarità.

Tutto ciò vale sia in ambito nazionale che internazionale, a maggior ragione in un mondo sempre più complesso come quello odierno, caratterizzato dai seguenti punti salienti:

• Sostanziale anarchia internazionale.
• Messa in discussione dell’unipolarismo a guida USA.
• Emersione e “stabilizzazione” di potenze, in primis economiche, come Cina e India.
• Aumento esponenziale delle diseguaglianze.
• Destabilizzazioni ed equilibri precari dall’America Latina al Sud-Est Asiatico, dall’Africa all’estremo oriente.

Per riuscire ad avere un quadro preciso, delineato e corretto della situazione (essendo così in grado di prendere decisioni giuste al momento giusto), il decisore politico non ha dunque altra scelta se non quella di studiare e di poter contare su persone capaci di assisterlo adeguatamente nelle decisioni che deve prendere.

Il filo dell’equilibrio è sottilissimo e ognuno deve svolgere il proprio ruolo con il massimo rigore, pena uno squilibrio che può portare a due situazioni negative (altrettanto gravi):

• Politici che rifiutano ogni collaborazione, sentendosi perfettamente in grado di prendere decisioni su qualsiasi tema (anche su questioni che non conoscono approfonditamente).
• Tecnici che approfittano della debolezza di un politico (o della classe politica nel suo complesso) per indirizzare le decisioni verso i propri convincimenti e/o interessi.

Al netto di qualsiasi considerazione sulla qualità della classe politica italiana (e non solo), ciò che mi interessa sottolineare in questo articolo è l’importanza di chi sta dietro al decisore finale.
Importanza che aumenta, appunto, quando il politico non ha un’idea ben definita, non ha una chiara visione del futuro, non ha un progetto a lungo termine e non conosce una determinata situazione (cosa che, purtroppo, capita fin troppo spesso).

Tutto questo mondo che si trova “dietro le quinte”, spesso e volentieri lontano dai riflettori e poco conosciuto al grande pubblico, è possibile porlo, generalizzando e semplificando, sotto il nome di INTELLIGENCE. Essa è definibile come “una sfera del sapere ed un sottosistema complesso di potere, il cui scopo è la ricerca, la raccolta, l’analisi e la diffusione d’informazioni pertinenti per un decisore, in modo tale da assisterlo nella decisione(3).

É chiaro che più un decisore è insufficientemente competente, con poche idee e molto confuse, e più il ruolo di chi sta dietro di lui diviene significativo e di grande responsabilità.

Fra i vari strumenti che il “mondo dell’Intelligence” ha a disposizione per contribuire alla “formazione” di un politico, c’è il REPORT (definibile come un rapporto proposto da esperti di un determinato settore su una specifica questione).

E qui veniamo al punto fondamentale del problema: i contenuti dei Report e ciò che questi ultimi possono “instillare” nel decisore politico.

Ribadendo il fatto che quest’ultimo ha l’obbligo di conoscere bene il tema sul quale deve prendere una decisione, gli approfondimenti che gli vengono recapitati devono essere, a mio avviso, completamente rispondenti al criterio di obiettività e rigorosamente aderenti ai fatti. Solo eventualmente e sottolineandolo bene, gli autori possono fare delle valutazioni personali, offrendo una propria chiave di lettura, dando un giudizio e proponendo delle soluzioni sulla determinata situazione per la quale sono stati chiamati ad occuparsi.

Starà poi al decisore finale, una volta compresa bene la situazione sul “campo”, utilizzare le proposte avanzate nel Report o prendere altre strade.

Se spesso e volentieri questo rigore scientifico lo vediamo (apprezzabilmente), alcune volte non è del tutto rispettato.

Ripeto: è ovvio che ogni analista ha le proprie idee, le proprie convinzioni, i propri convincimenti dovuti a determinate idee politiche, allo studio del settore di sua competenza, all’esperienza, etc., ma egli deve essere sempre in grado di sottolineare quando dà un giudizio personale e quando racconta e spiega fatti incontrovertibili e palesi.

Una “maionese” tra i fatti perfettamente chiari e dimostrabili e le proprie idee può confondere il decisore (soprattutto quando non molto preparato e/o facilmente influenzabile), può portarlo a considerare “acquisite” delle situazioni in realtà ancora in evoluzione e, infine, può convincerlo ad avere una sola strada percorribile quando ce ne sarebbero anche altre da scegliere.

Il decisore finale deve fare il suo lavoro e chi fa Intelligence deve fare il proprio.

A mero titolo di esempio riporto alcune frasi che ho trovato in un Report sull’America Latina (4) , richiesto ad un autorevole “think tank” italiano dalle massime Istituzioni Nazionali del nostro Paese (rivolto dunque a tutti i suoi membri):

• In riferimento ai processi di cambiamento strutturale in corso in America Latina, l’autore segnala come certo e incontrovertibile “l’epilogo dell’esperimento del cosiddetto socialismo del XXI secolo”. In realtà, nonostante le indubbie difficoltà che sta attraversando, parlare di epilogo è azzardato e non rispondente ai fatti. La mia considerazione è confermata anche dal fatto che, poche pagine dopo nello stesso Report si legge, a proposito del modello bolivariano, “[…] il 2019 sembra aver segnato una crisi dalla quale sarà difficile che quel modello si riprenda”. Epilogo vs “in difficoltà”: una contraddizione che non dovrebbe essere presente in uno stesso documento, in quanto confonde il lettore.

• In riferimento al Venezuela e a Juan Guidò, nel Report è presente la seguente affermazione: “Nel 2019 l’America Latina è stata caratterizzata da una serie di eventi sociopolitici apparentemente sorprendenti come […] la creazione di un governo ad interim in Venezuela”. Ad interim significa “per ora” e intende che una carica sia rimasta vacante e dunque coperta provvisoriamente da una determinata persona, in attesa della nomina definitiva di un titolare con pieni poteri. Il caso venezuelano non può essere definito così, in quanto un Presidente che esercita le sue prerogative c’era ed è sempre presente (Maduro). Guaidò è stato riconosciuto da circa 50 Paesi del mondo ma non governa il Venezuela perché Maduro svolge le sue funzioni come ha sempre fatto, avendo ancora in mano tutti i gangli strategici dello Stato.

• A proposito della Bolivia, nel Report si può leggere che “Morales si è ripresentato alle elezioni del 2019 contro la volontà della maggioranza dei boliviani, in un contesto di forte polarizzazione politica, trascinando il paese nella crisi politico-elettorale di ottobre che ha causato decine di morti”. Andrebbe almeno sottolineato che vari studi indipendenti (a partire da quello del “Massachusetts Institute of Technology” e da quello di John Curiel e Jack Williams pubblicato sul “The Washington Post”) hanno sottolineato come non ci siano segnali di sospette frodi in quelle elezioni e che le chiare manipolazioni e le significative irregolarità rilevate dall’Organizzazione degli Stati Americani non hanno trovato riscontro in questi studi.

• A proposito dell’Ecuador, nel Report si può leggere che “dopo tre mandati presidenziali consecutivi di Correa, l’Ecuador rappresenta un esempio interessante nella regione di un tentativo di consolidamento democratico […]”.

La Democrazia non è stata intaccata da Correa, non risultano scandali elettorali nazionali durante i suoi mandati e la partecipazione al voto è sempre stata molto elevata. Dunque, è molto difficile parlare di “tentativo di consolidamento democratico” da parte dell’attuale Presidente Lenín Moreno. A voler essere pignoli si dovrebbe invece sottolineare il suo “particolare comportamento”, essendo stato vicepresidente di Correa e, una volta vinta la poltrona di Presidente proprio grazie al sostegno di quest’ultimo, aver poi tradito tutte le promesse con una giravolta politica “difficilmente” giustificabile.

• A proposito dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), nel Report si può leggere che “con la caduta di Evo Morales in Bolivia, il cambiamento di rotta intrapreso da Lenín Moreno in Ecuador e la crisi profonda del Venezuela, il progetto bolivariano sembra arrivato alla fine”. A mio avviso, questa previsione è contestabile per almeno quattro motivi:

1. Di questa alleanza ne fanno parte molti altri Paesi, a partire da Cuba e dal Nicaragua.
2. Nel 2021 si voterà in Ecuador e, salvo sorprese dell’elettorato o manovre “più o meno occulte” di vario genere, il Movimento al Socialismo (MAS, partito di Evo Morales) è decisamente favorito per la vittoria.
3. In Venezuela Guaidò sta perdendo legittimità e non riesce a tenere insieme nemmeno tutte le opposizioni.
4. Il voto negli USA si avvicina e questo evento potrebbe, almeno in parte, modificare la politica di “massima pressione” esercitata da Trump nei confronti dei Governi latinoamericani e caraibici più ostili al neoliberismo.

In conclusione, dunque, a mio avviso è possibile fare alcune considerazioni/proposte sul tema trattato nell’articolo:

• é fondamentale una classe politica all’altezza della situazione, che studi i vari dossier e che sia in grado di farsi un’idea precisa e obiettiva delle varie questioni.
• Il lavoro di chi fa Intelligence, sostenendo il decisore finale, deve essere improntato all’obiettività, al rigore scientifico e all’aderenza precisa ai fatti (sia in fase di analisi dei processi in corso che in fase di elaborazione di possibili scenari futuri). I propri convincimenti, le proprie idee e le proprie proposte possono essere presenti (e talvolta è necessario che ci siano), ma non devono confondersi con tutto il resto. Deve essere ben chiara la distinzione “analisi obiettiva / proposte e idee personali”.
• In nessun caso i Report degli esperti devono basarsi su pregiudizi che minano l’interesse generale e rendono difficile, al politico, comprendere la reale situazione sul campo.
• É necessario che un politico senta “più campane”; l’ascolto di vari esperti, infatti, garantisce al decisore finale un quadro più ampio e preciso sui vari temi all’ordine del giorno, soprattutto con riferimento alla sezione delle proposte inerenti le possibili azioni da mettere in campo.

“La libertà deriva dalla consapevolezza, la consapevolezza deriva dalla conoscenza, la conoscenza deriva (anche) dall’informazione, dallo studio e dalla lettura senza pregiudizi”.  Stefano Nasetti

(1) = Marano Giampiero, Il primato della politica, 22/01/2018, Critica Italiana.

(2) = Polìtica, Treccani.

(3) = Politi Alessandro, OSINT senza miti e fronzoli, 29/11/2019, Master in Intelligence Economica, IASSP, Milano.

(4) = Nelli Feroci Gianandrea, I processi attuali di transizione politica in America Latina, Giugno 2020, Centro Studi di Politica Internazionale, (CeSPI), Roma

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