LA STORIA DELLA CULTURA POPOLARE IN ITALIA

Patrizia Ligabo' ci guida attraverso la storia d'Italia e l'evoluzione della letteratura e della cultura Italiana fino ad oggi.

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Agli albori.

All’inizio, la cultura non era per tutti. I poveri entravano in contatto con la produzione artistica unicamente nelle chiese. La plebe povera, non sapendo né leggere né scrivere, era esclusa dalla lettura dei testi. La loro cultura era orale. I testi (racconti, poesie, canzoni, barzellette, indovinelli, filastrocche, ecc.) sono stati inventati o rimaneggiati da personalità anonime, e si diffusero senza essere mai trascritti. Esistevano anche dei professionisti, i giullari, che si esibivano nelle strade e nelle piazze, cantando storie epiche, alcune anche molto lunghe.

Nel Medioevo il testo regolare era praticamente sconosciuto. La cultura orale si diffuse attraverso i volgari, cioè le tante lingue locali presenti in Italia. Siccome la mobilità delle persone e le relazioni culturali erano molto limitate, i volgari erano molto specifici e cambiavano moltissimo da una città all’altra. Solo il volgare fiorentino, comunque, grazie all’autorità di Dante, Petrarca e Boccaccio, si imporrà nel tempo come vera e propria lingua letteraria (la lingua che oggi chiamiamo Italiano) dell’intera penisola e ridurrà tutte le altre parlate a ‘dialetti’, ma sarà un processo molto lungo e complesso, terminato solo all’inizio del Cinquecento. Ancora nel Trecento (quando Dante ha ormai scritto la sua Commedia) si scrivevano in Veneto alcuni poemi cavallereschi provenienti dalla cultura francese.

Il sapere si produceva e conservava solo nei monasteri. La disciplina più illustre è la teologia, ma nel Basso Medioevo, quando la Chiesa tese a sistematizzare teologicamente tutto il sapere del mondo durante il periodo del predominio della cosiddetta “filosofia scolastica” tra i secoli XII e XIV, si diffusero anche altre conoscenze derivate dai libri di filosofia antica (scienze naturali, medicina, geografia, poetica, storia, logica, ecc.). La Chiesa ci ha tramandato una grande parte del sapere antico, ma non tutto. Si è salvato ciò che la Chiesa o i singoli chierici hanno trovato in qualche modo utile ed interessante (secondo il proprio punto di vista, non secondo il nostro, si noti bene!).

Dopo l’anno mille nacquero le università, che contribuirono a sistematizzare il sapere e la sua trasmissione. La prima università in assoluto fu quella di Bologna (1088). Le università avevano due gradi, al primo grado si studiavano le sette arti liberali: il trivio (grammatica, retorica, dialettica) ed il quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica). Al secondo grado si studiava la teologia. In tutte le università si insegnava in latino, cosa che permise loro di avere un carattere internazionale (il latino infatti, all’epoca era una vera e propria lingua di scambio internazionale, per certi versi come è oggi l’inglese). Le università diventarono centri di discussioni filosofiche ed erudite, in cui si condussero anche battaglie ideologiche. Gli studi di letteratura miravano per lo più all’insegnamento del latino. Nel Trecento tuttavia, in alcune università esistevano anche corsi in cui si impiegavano elementi di filologia e in cui si conduceva un’analisi più profonda dei testi. (1)

Andando a tempi più recenti, la cultura popolare e quella borghese sono entrambe importanti e belle, ed è molto importante l’ascolto di nozioni non conosciute per apprendere ed approfondire. La nascita della scuola pubblica è servita a contrastare l’analfabetismo dilagante in Italia. Fiorirono scuole di ogni tipo ed in differenti orari, in base alle esigenze dei lavoratori ed immigrati che dal sud abbandonavano le campagne per cercare fortuna nelle città. Così si formava l’Italia come uno stato moderno, industrializzato, dichiarandosi “stato liberale” che prevedeva anche la partecipazione del popolo. Nacque così una coscienza dell’avvenire; ma al contempo avvenne un abbandono delle scene, del costume, delle abitudini del “non-dire”, portando anche ad un’inerzia mentale diffusa. Per “cultura del popolo” s’intendeva un’esigenza per tutta la popolazione.

Nel 1917 Carducci disse: “L’operaio preferisce la scuola alla taverna, il libro al gioco della morra, la discussione pacata alla diatriba della bettola, il ragionamento all’inventiva, egli ha un sé il germe della società futura”.

Nel 1943 l’Associazione Mazziniana italiana fu creata perché educasse sia civicamente che democraticamente le persone, specialmente i giovani per ritrovare una vita locale, ed europea. Essa era un sodalizio di: cultura ed educazione per condividere i principi morali della Repubblica Italiana. Si noti bene però che lo Stato Pontificio non fu mai toccato, né rinnovato, né socialmente, né linguisticamente. La storia documentata della nostra letteratura ha inizio con il positivismo. La storia della letteratura accompagna le vicende politiche e sociali che culmineranno nell’unità d’Italia nel 1861. Dopo l’unità le differenze saranno profonde e varie: ceti medi, borghesi, aristocratici, colti, e quasi tutti i subalterni analfabeti.

 

Crisi culturale, crisi della società agraria, ed ascesa della società industriale.

Mentre prima lo sviluppo industriale era sempre cresciuto a pari passo con l’evoluzione umana e la cultura filosofica e messo a disposizione degli umani e della collettività, adesso avviene una scissione, il progresso da questo momento avanzerà senza curarsi minimamente del ritmo degli esseri umani. Esso progredirà da solo a ritmi frenetici, senza curarsi di altro se non del profitto. Così vennero organizzate le strutture borghesi capitalistiche, il che portò anche la crisi delle ragioni ed ideali. Una delle cause principali fu il cambio della funzione della borghesia, che guidava gli uomini in una direzione non più associativa. Le masse vennero divise dal lavoro operando uno sgretolamento sociale. Temevano le classi operaie ed il loro futuro sviluppo! Gli agricoltori si organizzarono dunque con il socialismo, rifiutando la cultura borghese, riparando verso la tradizione, l’umanesimo ed a volte la poesia.

Pascoli sostenne: “ La scienza non può dare fiducia, essa non è stata in grado di vincere la morte; e la poesia si rifugia in una zona psicologica nello spazio del fanciullino , lontano dal capitalismo e dal socialismo”.(2)

Si veda anche Proust in tale argomentazione con alcune sue opere, di un non luogo nella nostra memoria di fanciulli. “Nella costruzione di un poeta valgono infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il mondo con il quale agli altri trasmette la sua opera”– proseguì Pascoli. L’Ottocento ed il Novecento furono il trionfo dell’irrazionale e del simbolismo. Il disimpegno della borghesia in fatto di poesia, di preparazione della storia letteraria e della cultura umanitaria in contrapposizione con quella scientifica furono più che evidenti. La cultura umanistica e la cultura letteraria erano stati gli strumenti di selezione della massa che rappresentavano, come filosofia platonica, il ventre della società. Ma né popolo, né poesia erano presenti nella storia popolare della letteratura in Italia. L’intellettuale, con rare eccezioni tra cui l’immenso Pier Paolo Pasolini, si separò dalla cultura popolare e dalla massa.

 

Vediamo dunque alcuni autori e le loro opere.

Il Collodi con Pinocchio, consegnò la morale del tempo. Un ragazzo doveva essere obbediente, studiare, realizzarsi. Tesi=etica, educazione domestica, pedagogia di quel tempo, vita italiana di fine secolo, una società in cui chiesa e famiglia facevano allora da collante. L’autore attraverso il suo famosissimo burattino cerca di evadere verso il sogno di un’avventura. Il narratore trova la motivazione in strade terrene, egli coglie in quel momento la funzione dell’ideologia borghese. Il lavoro, il dovere e la difesa della proprietà sono concetti dominanti nell’opera. Nel romanzo sono presenti: assassini, la prigione, il Paese dei balocchi, la metamorfosi. Ogni volta però dopo qualsiasi esperienza Pinocchio torna sempre alla famiglia.
Il libro può dunque nella sua genesi essere collocato come prodotto della cultura borghese. L’ autore mette inoltre in rilievo il contrasto fra: predatori, rapaci e scaltri, vinti , vincitori e reietti. L’alternativa di Pinocchio a non inserirsi nel sistema, non è che il vivere d’espedienti, dunque meglio formattarsi a ciò che è richiesto dalla società.

A fine dell’Ottocento differentemente dagli autori precedenti Emilio Salgari con le sue opere: Le tigri di Mompracen, Il corsaro nero ed I pirati della Malesia propone una novità in Italia ovvero il romanzo storico- epico. Sull’onda del romanzo epico francese del secondo Ottocento, egli crea una narrazione di viaggi ed i suoi personaggi sono spinti dalla sete e fame di giustizia, individuale e collettiva. I procedimenti della narrativa di Salgari sono quelli della letteratura alta anch’essa ambientata in altre epoche. Quello fu il periodo dell’imperialismo e colonialismo; si cercò di raggiungere le masse con un sentimento anti – coloniale. Salgari è perfettamente consapevole che la borghesia dirompe nella conquista dell’egemonia della società. Una borghesia le cui speranze di rinnovamento sono fallite, ed emergono ora i ceti popolari. Iniziano i primi meccanismi nazionali, d’istruzione civile e politica. Si pensi che gli analfabeti venivano espulsi dalla vita quotidiana della nazione, ed erano costretti ad emigrare, cercando la realizzazione personale in lavori di fatica altrove, non potendo accedere all’istruzione, e non avendo futuro in patria.

Gli eroi di Salgari sono personaggi che riscattano sè stessi, e vincono. Eroi primitivi e semplici come Sandokan , che altri non è che un Orlando moderno, colui che può rivendicare diritto ed umanità. Le masse vi si riconoscono, e vogliono leggere l’opera o ascoltare chi può leggerle per loro. Inoltre il romanzo è ora acquistabile da chiunque a differenza di prima. Non è più un oggetto accessibile solo alla borghesia ed ai soli ceti abbienti.(3) Nemmeno l’edizione è ormai solo di nicchia ma è accessibile ed il prezzo è di molto inferiore a quello di un tempo. Lo scrittore ha ora questo compito, una narrazione più semplice e questo non era mai avvenuto nella nostra letteratura. Un panorama esotico, una varietà di razze, l’immagine idealistica dell’unità del genere umano, almeno nei romanzi.

Anche il pubblico era cambiato. I lettori apprendevano del colonialismo in Africa , in Asia ed in centro e sud America. L’impero inglese dominava, il più grande impero coloniale mai esistito, comandava su popolazioni del futuro terzo mondo e generalmente non di pelle bianca. E saranno proprio i colonizzati i protagonisti delle vicende narrate, non inferiori ma alla pari stavolta, per lo meno nella storia narrata. I lettori conoscevano così: l’Inghilterra, la Francia, l’Olanda , la Spagna e gli altri continenti. Per Salgari il Risorgimento è ormai passato ed alle spalle ed egli esalta il comportamento dei colonizzati. L’irrazionale e l’esotico vinsero lo stereotipo in Italia, più o meno. Per Salgari l’avventura era un aspetto della visione del mondo guardato non dal lato borghese, ma dall’interno del rapporto fra filosofia della natura ed ideologia del mondo coloniale.

L’Italia borghese aveva una mentalità provinciale e soffriva di “nevrosi” di classe. Nei romanzi epici la narrazione era nell’azione e non più nell’intimismo o nel testo descrittivo. La pace fra i due capi della lotta, e l’abbandono delle armi, il dedicarsi al bene dei popoli è il finale idealista e sperato. Andando un po’ più in là nel tempo, la ripresa culturale in Italia dopo la caduta del fascismo ed il ristoro della libera espressione non fu facile. Della libertà è condizione la cultura, la libertà è a sua volta generatrice di cultura. Le università ripresero intorno al 1945. Venne posto come obiettivo del sistema educativo lo sviluppo della nostra civiltà democratica.

Antonio Gramsci : ” Si può dire che finora il folklore sia stato studiato come elemento pittoresco, solo per classificarlo”.

Capitalismo, tecnologia, industrializzazione si espansero. I valori dell’Illuminismo divennero i capisaldi di una nuova visione del mondo, sebbene ci fossero ancora dislivelli di cultura molto ampi. In generale gli intellettuali pensavano a sè stessi come moderni, ovvero si definivano l’avanguardia. Il popolo al contrario invece viveva in isolamento, in una condizione di vita arcaica, d’analfabetismo e mancanza d’ istruzione e non partecipava al progresso. Era una cultura fatta di costumi antichi, di tradizioni e credenze, riti magici, superstizione ed un linguaggio vernacolare. Arte e letteratura erano tramandate oralmente. Folk-lore= popoli-tradizioni. Lo studio della cultura popolare avvenne dopo nel Romanticismo.

Antonio Gramsci dichiarò :“ Ogni stato sociale ha il suo senso comune e buon senso. La concezione della vita e dell’uomo è più diffusa. Il senso comune non è qualcosa di rigido, è una sorta di filosofia dei non filosofi”.

Per Gramsci è necessaria però un’analisi critica del senso comune.(4) Pasolini negli Scritti corsari, analizzava invece una rivoluzione antropologica del consumismo, ed una piccola borghesia conservatrice e conformista che cercava di resistere con le unghie e con i denti per restare al centro. La vecchia cultura di classe è stata sostituita da una cultura interclassista, un nuovo modo di essere “italiani” avvenne attraverso la qualità della vita e le prime comodità. Più un popolo ne è investito, più subisce una mostruosa trasformazione che lo allontana dalla bellezza e dalla purezza. Pasolini era interessato al “popolare” nel senso antropologico del termine. Quel popolo di cui scriveva però non esisteva già più, attraverso il consumismo si stava infatti estinguendo. Pasolini apprezzava la “vera “anima popolare che ambiva a diventare una cultura diversa.

Pasolini dirà: “A Valle Giulia ieri, si è così avuto uno scontro di lotta di classe e voi amici (poichè dalla parte della ragione) eravate ricchi, mentre i poliziotti ( che erano dalla parte del torto) erano i poveri”.

La borghesia con il suo etnocentrismo definiva il “diverso” come anormale ed irrazionale. Tutto ciò che era “altro”, era negato. Dunque la borghesia era esclusiva. “Popolare” nacque come contrapposizione a ciò che era elitario come ad esempio: la cultura operaia, la cultura di massa. La cultura era infatti esclusa alle classi subalterne poiché ritenute incapaci di produrre cultura. Ciò era inesatto, ricordando infatti nella storia dell’arte l’infinita lista di nomi di umili origini dotati di un talento enorme, specialmente in Italia, terra d’arte. Ma per molti a quel tempo era impensabile che non si osservasse una separazione fra lavoro materiale e lavoro intellettuale, fra coscienza ed approvazione sociale. Con la tecnologia e la diffusione dei mass media si è sviluppata la subordinazione del sistema scolastico alle esigenze del mercato del lavoro. La scolarizzazione prolungata venne così ad assolvere la funzione incrociata di parcheggio della forza lavoro ed aiutò anche a minimizzare le tensioni sociali. La diffusione della cultura di massa non colpirà il monopolio culturale delle classi agiate e non si affronterà la questione della democratizzazione della creatività.

Possiamo considerare Balzac il primo scrittore di una moderna metropoli, egli si compiaceva infatti degli impianti industriali, e del progresso di cui ne colse solo gli aspetti positivi. Anche in pittura nell’impressionismo ad esempio si esprime la visione dell’uomo moderno per il quale ogni forma di vita si traduce in “esponente” del mondo e del tempo. Breton tramite il Surrealismo o il Dadaismo espresse la certezza di trovare la bellezza con un tuffo nell’inconscio. La rivoluzione culturale degli anni sessanta rivelò come l’immaginario collettivo non fosse proprietà solo degli intellettuali. Il benessere porterà con sé la sensazione ingannevole di avere potuto usufruire di un prestigio più forte. Negli anni a venire si operò nella società italiana un profondo processo di trasformazione e sgretolamento della cultura popolare, ma anche della tradizione operaia di matrice cattolica soprattutto socialista.
A causa delle forme d’antagonismo crescente, si è sviluppato un vero saccheggio delle espressioni tipiche della classe operaia. Le radici della cultura operaia stavano in una coralità collettiva, nella coesione, non nel profitto personale! Perché la storia vissuta in maniera collettiva è la memoria collettiva.

La predominanza dell’organizzazione economica nel nostro sistema sociale e la stratificazione in classi e ceti, finalizzata ancor oggi purtroppo a valori principalmente maschili, garantisce la capillarità del controllo sociale. Inoltre viene creato un condizionamento istituzionale e giuridico, una comunicazione di massa per l’indottrinamento, condizionando di continuo la cultura popolare. Ma quali sono i bisogni radicali? A. Heller nella sua ricerca elenca alcune forme essenziali: un sempre maggior tempo libero, il bisogno di universalità, il bisogno di superare l’estraneità. La conquista delle otto ore di lavoro è voluta, esse sono in parte compatibili con le esigenze della produzione capitalistica delle merci, dunque il tempo libero è subordinato alle esigenze di produzione. La scuola dell’obbligo, la scuola prolungata, la formazione, l’informazione, sono processi societari voluti. Ma i bisogni radicali, richiedono una trasformazione radicale endogena ed autentica! La sovrapposizione tra funzioni politiche ed economiche, quella del settore pubblico e privato, le protezioni reciproche, l’omertà e la dialettica, sono alcune delle contraddizioni più forti nel sistema tardo capitalistico.

Nel 1975 in Francia i giovani non ponevano più in discussione la struttura complessa della società, ma vi fu anzi una tendenza di tipo egoistico e privatistico. In Italia dal 1967 al 1970 la rivolta giovanile contro i valori tradizionali è andata verso valori post-borghesi fondati sulla creatività e contro ogni forma di sfruttamento; ciò è stato possibile grazie all’allargamento del benessere economico. A cui si aggiunse l’Insicurezza economica dei diplomati e laureati, con un tasso di disoccupazione che raggiunse l’80%. Karl Mannheim nella sua tesi indica un ruolo speciale degli intellettuali come una categoria immunizzata a suo dire da condizionamenti sociali, capaci di formulare la sintesi delle diverse visioni del mondo e dei suoi contrapposti interessi. (5)

 

Si dovrebbe recuperare un livello di coscienza dei pensieri e dei sentimenti che la società attuale vuole che rimangano repressi in forza di una determinata struttura di potere, del lavoro e dei bisogni. Si dovrebbe recuperare una vera educazione sentimentale fin da fanciulli, sarebbe estremamente importante per avere società più umane e solidali.

 

Fonti e note:

(1) http://www.francescobianco.net/linguistica/lettitaolomouc/01/06.htm
(2) La cultura popolare, notiziario dell’unione italiana della cultura popolare. Società Umanitaria 1911-1977
(3) Cultura popolari ed intellettuali. Fabrizio Franceschini. Giardini Editori e stampatori. 1989
(4) Letteratura e cultura popolare Elide Casali. Zanichelli 1982
(5) Movimento popolare e rivoluzione borghese. Albert Soboul La Terza 1959

 

Articolo di Patrizia Ligabo’, revisione e pubblicazione a cura di Giulio Bona per ComeDonChisciotte.org

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