Karl Sanchez – karlof1’s Geopolitical Gymnasium – 7 dicembre 2023
L’articolo di apertura del numero di questo mese di Razvedchik, la rivista interna dello SVR, è stato scritto dal direttore Sergey Naryshkin. Ecco la sua introduzione:
La turbolenza globale, provocata dalla feroce lotta dell’Occidente, che cerca di mantenere il suo dominio, contro nuovi centri di potere che difendono il diritto allo sviluppo sovrano, continuerà ovviamente a guadagnare slancio nel prossimo anno. Vi è inoltre motivo di credere che il processo di ristrutturazione del mondo, che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, sarà accompagnato dal risveglio geopolitico di un numero crescente di Paesi, popoli e interi continenti che cercano di liberarsi dal veleno liberal-totalitario (nel testo, molto appropriatamente, è utilizzato il termine “datura“, N.d.T.).
RT riporta una breve recensione dell’articolo, fin troppo breve, ma che almeno ci informa della sua esistenza. La parola tra virgolette, datura, si traduce nella parola gergale (inglese) “dope”, che significa droga; possiamo quindi dedurre che significhi dipendenza o oppio o abuso di sostanze o qualcos’altro del genere; mi è venuta in mente una chimera (l’Autore non ha approfondito gli effetti della pianta in questione, N.d.T.). Per la maggior parte dei lettori, Naryshkin sarà una voce nuova e distinta che non viene esposta troppo al pubblico, ma che ha un grande peso, come quella di Nikolai Patrushev. La parola a Naryshkin.
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Il conflitto fondamentale, o forse già esistenziale, tra il “vecchio” e il “nuovo” mondo, che è maturato segretamente per 30 anni, dalla fine della guerra fredda, e che con l’inizio di un’operazione militare speciale è passato a una fase aperta, ha acquisito nell’ultimo anno un carattere geograficamente onnicomprensivo. L’agenda globalista e apertamente anti-umanistica imposta con insistenza da Washington e dai suoi alleati sta provocando il rifiuto di un numero crescente di Stati non occidentali che condividono invece le idee del multipolarismo e aderiscono a visioni del mondo tradizionali. Tutto ciò moltiplica i rischi di instabilità e porta a un aumento della caoticità dei processi in atto nell’arena della politica estera, richiedendo ai leader mondiali una notevole moderazione e lungimiranza.
Il quadro attuale del mondo ricorda sempre più una situazione di rivoluzione di classe, in cui le “classi superiori”, di fronte all’indebolimento degli Stati Uniti, non possono più fornire la propria leadership, ma le “classi inferiori”, termine con cui l’élite anglosassone, senza esagerare, si riferisce a tutti gli altri Paesi, non vogliono più sottostare ai dettami occidentali. Per evitare un crollo cardinale dell’intera “sovrastruttura” globale che attualmente esiste ed è vantaggiosa esclusivamente per gli anglosassoni, l’élite euro-atlantica seguirà il sentiero battuto.
I modi per creare un caos controllato consistono nello stabilizzare la situazione in regioni chiave del pianeta contrapponendo alcuni Stati “recalcitranti” ad altri e, di conseguenza, formando attorno ad essi coalizioni operative e tattiche sotto il controllo dell’Occidente.
Tuttavia, la situazione attuale è caratterizzata dal fatto che Washington e i suoi satelliti sono sempre meno in grado di attuare pienamente i loro piani distruttivi. Gli attori mondiali responsabili, che naturalmente includono la Russia, così come la Cina, l’India e molti altri Stati, uniti, dimostrano di essere pronti a resistere con determinazione alle minacce esterne e ad attuare autonomamente una soluzione della crisi, come sta accadendo, ad esempio, in Siria. Inoltre, anche i più stretti alleati degli Stati Uniti stanno già cercando di diversificare i legami sullo sfondo della sempre più evidente incapacità dell’ex egemone di garantirli senza pericoli. A questo proposito, l’escalation senza precedenti del conflitto palestinese-israeliano nel XXI secolo è diventata un esempio preoccupante per molti politici occidentali, abituati a scommettere su relazioni speciali con Washington.
È ovvio che il prossimo anno sulla scena mondiale sarà caratterizzato da un’ulteriore intensificazione del confronto tra i due principi geopolitici sopra menzionati: Il “divide et impera” anglosassone, o insulare, che si contrappone direttamente al “coniunge et obduce” continentale. Le manifestazioni di questo feroce confronto nel prossimo anno si osserveranno in tutte le regioni più del mondo, anche le più remote: dallo spazio post-sovietico, per noi più significativo, al Sud America e all’Oceano Pacifico.
Per quanto riguarda la situazione in Ucraina, si può prevedere che i politici occidentali, data l’oggettiva impossibilità di ottenere una vittoria militare sul nostro Paese, cercheranno di mantenere la presenza degli Stati Uniti dal Mediterraneo al Mar Caspio. Cercheranno di prolungare i combattimenti e di trasformare il conflitto ucraino in un “secondo Afghanistan”, contando sul graduale esaurimento del nostro potenziale in una lotta estenuante. Come in passato, lo faranno a spese di un complesso di misure economiche e diplomatico-militari, tra cui sanzioni che violano le norme del diritto internazionale e l’incessante fornitura di armi ed equipaggiamenti militari a Kiev. Tuttavia, è molto probabile che un ulteriore sostegno alla giunta di Kiev, soprattutto in considerazione della crescente “tossicità” del tema ucraino per l’unità transatlantica e per la società occidentale nel suo complesso, accelererà il declino dell’autorità internazionale dell’Occidente. Più l’Ucraina andrà avanti, più si trasformerà in un “buco nero” che assorbe risorse materiali e umane. Alla fine, gli Stati Uniti cercheranno di organizzare per sé un “secondo Vietnam”, con cui ogni nuova amministrazione americana dovrà fare i conti fino a quel momento, fino a quando non salirà al potere a Washington una persona più o meno sana di mente, che avrà abbastanza coraggio e determinazione per chiudere questa “bocca”.
Il mondo arabo rimarrà l’arena chiave della lotta per un nuovo ordine mondiale nel 2024. Qui è più chiaramente visibile, quali sono le pretese delle élite globaliste disgregate per il ruolo di egemone, che immaginavano di essere dopo il crollo dell’URSS. L’invasione dell’Iraq, il famigerato “sogno arabo” che ha distrutto la pacifica Libia e lo Yemen, la prolungata guerra in Siria, l’emergere del mostruoso gruppo terroristico ISIS e, infine, i tentativi di spingere i “poli” sunniti e sciiti in Medio Oriente – questo non è un elenco completo delle manifestazioni criminali del pensiero strategico di Washington e di alcune altre capitali occidentali. Questo percorso concettuale è stato costantemente perseguito dalle successive amministrazioni repubblicane e democratiche alla Casa Bianca, mirando ad un unico obiettivo – senza dominazioni separate. Anche se, a quanto pare, in modo molto più completo, tenendo conto della massiccia presenza militare degli Stati Uniti dal Mediterraneo al Mar Arabico.
La ragione principale del crollo di una politica così unilaterale e miope da parte dell’Occidente è incredibilmente semplice: si tratta di un nuovo e questa volta vero risveglio dei popoli del Medio Oriente, a differenza di quello messo in scena da Washington dieci anni fa, la triste ma famosa “primavera araba”. Da un lato, questo risveglio si manifesta con l’avvento al potere di leader e sovrani forti in diversi Paesi arabi; dall’altro con la rapida crescita nella regione di sentimenti antiamericani e, più in generale, antioccidentali. Il mondo multipolare è già una realtà che non può essere “annullata” a livello globale. Ciò che ieri sembrava quasi impossibile, la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran, il loro ingresso insieme all’Egitto e agli Emirati Arabi Uniti nei BRICS, il ritorno della Siria nella “famiglia araba” sono oggi fatti indiscutibili.
La Russia accoglie in ogni modo possibile e, al meglio delle sue possibilità, continuerà a contribuire al successo di questi processi. Ma la cosa principale è che tutto questo dice che l’umore del mondo arabo è alla ricerca di una soluzione dei conflitti reciprocamente accettabile, di una ricerca congiunta di modi per risolvere i problemi di sicurezza e della formazione di relazioni costruttive prevedibili sostenute da interessi economici e umanitari comuni. In questo contesto, è impossibile non menzionare l’elevato ritmo di sviluppo delle relazioni reciprocamente vantaggiose tra i Paesi arabi e la Russia e la Cina, nonostante i disperati tentativi degli Stati Uniti e dell’UE di impedirle.
Anche l’anno prossimo l’Africa continuerà a seguire con fiducia il percorso per diventare uno dei centri di potere indipendenti sulla scena mondiale. I Paesi africani stanno dimostrando una crescente indipendenza nella politica estera e interna, e sulla piattaforma delle Nazioni Unite le loro voci stanno diventando più forti. In futuro, il ruolo dell’Unione africana sarà quello di un’istituzione globale in grado di risolvere le crisi in Africa senza aiuti esterni. Di fatto, stiamo assistendo a una vera e propria decolonizzazione del Continente Nero, che comincia a pensare a se stesso come a un soggetto separato delle relazioni internazionali e non solo come a un mercato di risorse a basso costo, come ancora vedono l’Africa gli anglosassoni.
La Repubblica Centrafricana e il Mali sono la prova evidente del crescente processo di ripensamento dell’identità geopolitica dell’Africa. Le nuove autorità di Bangui e Bamako hanno trovato il coraggio di imboccare la strada del deciso rifiuto del patrocinio della Francia e “dell’Occidente collettivo” a favore dell’instaurazione di stretti legami con il nostro Paese sia in ambito sia economico che politico-militare e nella pratica, sono convinti della correttezza delle proprie scelte. Sono certo che il loro esempio ispirerà altri Stati del Continente Nero interessati ad attuare un percorso politico sovrano, basato principalmente sugli interessi nazionali e indipendente dai capricci di élite straniere. Allo stesso tempo, è ovvio che gli ex partiti politici non abbandoneranno i tentativi di minare il desiderio di sviluppo sovrano degli africani, utilizzando per questo un collaudato “set gentile” di metodi coloniali classici: dalle infinite promesse di cooperazione finanziaria e politico-militare alla deliberata istigazione di conflitti interstatali, alla diffusione dell’ideologia islamista radicale e agli interventi militari diretti. Tuttavia, questo non farà altro che incoraggiare i leader regionali a cercare “fornitori” di sicurezza più affidabili, come ai loro occhi sono la Russia, la Cina, l’India e le monarchie arabe, che non hanno un oscuro passato coloniale e, soprattutto, sono pronte a offrire cooperazione ai Paesi e ai popoli dell’Africa su una base paritaria e non ideologica.
È da notare che processi simili si stanno sviluppando attivamente ovunque, anche in America Latina, che gli americani hanno sempre considerato il “cortile di casa loro “. Anche lì la richiesta di strutture di integrazione indipendenti e non soggette a controllo si fa sempre più insistente. Una di queste è la Società dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, o CELAC, alla quale, curiosamente, non è prevista la partecipazione di Stati Uniti e Canada.
Ora qualche parola sulla situazione all’interno del blocco euro-atlantico stesso. Nel prossimo anno assisteremo sicuramente a un aumento del livello di disunione sociale e politica negli Stati Uniti e in Europa su una serie di argomenti, a partire dal sostegno all’Ucraina fino alla promozione delle storie LGBT. In uno dei paesi precursori dell’inevitabile, la Slovacchia, si è scatenata una tempesta quando, alle ultime elezioni parlamentari, nonostante le colossali pressioni delle élite occidentali di sinistra, il partito di orientamento nazionale guidato da Robert Fico, “Per il governo – socialdemocrazia”, ha vinto.
Credo che nel 2024 la maggior parte delle campagne elettorali in Occidente – dalle elezioni per il Parlamento europeo alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti – si svolgerà in un’atmosfera di acceso confronto tra i globalisti da un lato e i sostenitori del realismo in politica estera e dei valori tradizionali nella vita sociale dall’altro. E anche se non ha senso prevedere ora i risultati specifici delle future campagne elettorali, è possibile prevedere con assoluta precisione che i politici occidentali cercheranno abitualmente di incolpare la Russia, così come la Cina e gli altri Stati che hanno il coraggio di presentare al mondo la propria alternativa allo Stato totalitario per l’inevitabile aumento delle tensioni interne nei loro Paesi – un “campo di concentramento” liberale – una visione del presente e del futuro.
Nel frattempo, nello spazio eurasiatico sta emergendo una realtà fondamentalmente nuova, i cui contorni hanno iniziato a delinearsi con il ritorno alla Russia della Crimea e la reintegrazione delle Repubbliche popolari di Luhansk e Donetsk, nonché delle regioni di Kherson e Zaporizhia. Sono certo che nel 2024 il ruolo unificante di Mosca come centro dei principali progetti di integrazione del continente non potrà che rafforzarsi. Ciò è indicato anche dalla formazione di un’ampia alleanza all’interno della Russia e dei suoi alleati e partner nella CSI, nella CSTO e nella SCO, oltre al nascente “Partenariato della Grande Eurasia” che è il più importante. La qualità di queste strutture, che le distingue fondamentalmente dai blocchi occidentali, è la loro attenzione ai Paesi terzi e il loro obiettivo di formare un ordine mondiale giusto, basato sul rispetto incondizionato della sovranità e sul rispetto del diritto internazionale.
Un’associazione rappresentativa come i BRICS, che nel prossimo anno avrà sei nuovi Stati come membri a pieno titolo, ha un enorme potenziale in termini di costruzione di un’architettura equa e realmente democratica delle relazioni internazionali. Nell’ambito della campagna per cercare di screditare questo forum, i media occidentali affermano spesso che Mosca e Pechino lo stanno promuovendo come alternativa ai Sette Grandi. Tuttavia, i “sette” sono gli Stati Uniti e i “sei” satelliti che li servono, e le regole che vigono all’interno del blocco non sono molto diverse da quelle della prigione, dove solo il direttore ha il diritto di voto, mentre gli altri sono costretti a eseguire obbedientemente la sua volontà.
A sua volta, il BRICS, soprattutto nella sua composizione allargata, è un’alleanza di potenze uguali, o meglio, di Stati di civiltà, secondo le parole del Presidente Putin, che si impegnano insieme per trovare risposte alle sfide più urgenti del nostro tempo. Sono certo che la presidenza russa dei BRICS nel 2024 darà un ulteriore impulso allo sviluppo di questo formato davvero promettente.
Naturalmente, gli Stati Uniti e i loro alleati continueranno ad esercitare pressioni dirette e indirette sul nostro Paese e su tutti gli altri dissidenti affinché “impegnino la loro anima” e “giurino fedeltà” ai valori neoliberali. Nel prossimo anno ci aspettiamo un’intensificazione degli attacchi da parte degli anglosassoni, anche sulle piattaforme internazionali, in primo luogo all’ONU, nonché nell’ambito di vari tipi di “vertici per la democrazia” revisionisti e formati multilaterali ad hoc. Il vero scopo di questi vermi è visibile a occhio nudo: con il pretesto della reazione collettiva alla “minaccia” russa, cinese o di qualsiasi altro tipo, si vuole continuare a smantellare le istituzioni di governo che si sono sviluppate dopo la Seconda guerra mondiale, eliminando così gli ultimi ostacoli all’odioso “ordine basato sulle regole” imposto dagli americani.
Vorrei citare ancora una volta il Presidente della Russia, che ha definito questo “ordine” “un nonsenso” e un tentativo di sostituire il diritto internazionale. Da parte mia aggiungo che, nell’emergente mondo multipolare, questa “merce marcia” è già poco venduta anche tra i politici occidentali che non vogliono difendere gli interessi ristretti delle élite anglosassoni e dei singoli gruppi di influenza. Che dire del resto? I leader e i popoli della stragrande maggioranza degli Stati del mondo hanno da tempo riconosciuto la doppia essenza dell’Occidente e non credono più alle sue dolci e false promesse; il risveglio globale è irreversibile.
Sono convinto che anche noi dobbiamo liberarci della “droga” liberale degli anni Novanta e degli ultimi anni e tornare alle basi. Abbiamo la nostra strada. La Russia è un Paese dalla civiltà originale, con una storia millenaria che non deve essere dimenticata, tanto meno tradita.
Per questo motivo abbiamo deciso, per ristabilire la giustizia storica, di installare sull’area della sede dello SVR della Russia a Yasenevo un monumento a Felix Edmundovich Dzerzhinsky, il fondatore dei servizi segreti russi per l’estero ed eccezionale statista – un simbolo di determinazione, altruismo e determinazione, un eroe che è rimasto devoto all’idea di costruire un mondo nuovo e giusto fino alla fine.
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Una guerra di classe globale è un modo per descrivere ciò che sta accadendo. Anche un conflitto volto alla liberazione “dall’Occidente totalitario” sembra un’altra descrizione corretta. Non vedo molti rischi nelle sue previsioni, dal momento che si tratta di manifestazioni già in corso.
Karl Sanchez, Accademico in pensione e Alchimista Culinario (non vuol far sapere altro di sé ma proveremo a convincerlo)
Link: https://karlof1.substack.com/p/svr-chief-sergey-naryshkin-2024-is
Scelto e tradotto (IMC) da CptHook per ComeDonChisciotte