DOUG BANDOW
theamericanconservative.com
Il presidente Donald Trump vuole acquistare la Groenlandia, un territorio autonomo della Danimarca. “Strategicamente è interessante,” ha osservato, anche se “non è il numero uno della lista.”
Ahimè, i Danesi non si sono fatti impressionare. “La Groenlandia non è in vendita. La Groenlandia non è danese. La Groenlandia appartiene alla Groenlandia,” ha dichiarato il Primo Ministro danese Mette Frederiksen.
I Groenlandesi sono stati un po’ più schietti. L’Inuit Maya Sialuk ha dichiarato al Wall Street Journal: “Stiamo ancora cercando di riprenderci da un periodo di colonizzazione durato quasi 300 anni. Poi c’è questo tizio bianco negli Stati Uniti che sta parlando di acquistarci.”
Trump, sempre nel personaggio, mercoledi scorso ha definito la risposta del Primo Ministro “orribile” e ha improvvisamente annullato un incontro bilaterale con il suo governo previsto per il prossimo mese.
Nel 1867, il Segretario di Stato William Seward, che aveva pianificato l’acquisizione dell’Alaska, aveva proposto di acquistare la Groenlandia. Nel 1946, l’amministrazione Truman aveva fatto la stessa cosa. Entrambe le volte, i Danesi avevano detto di no.
La Groenlandia non è solo una località geografica, è un territorio abitato da 56.000 persone che in gran parte si autogovernano, con un parlamento e un primo ministro, eccetto che negli affari internazionali, che vengono gestiti da Copenaghen tramite consultazioni con la popolazione locale. Di fatto, i Groenlandesi a livello internazionale sono considerati un popolo indipendente. I residenti originali erano Inuit. I Vichinghi si erano fatti vivi nel X secolo e, alla fine, il territorio era entrato a far parte prima della Norvegia e poi della Danimarca.
La Groenlandia è, ovviamente, strategica: è vicina all’America ed ospita la base aerea di Thule. Tuttavia, non si dovrebbe sopravvalutare la sua importanza per gli interessi americani. Il Washington Examiner aveva grandiosamente dichiarato che Thule “offre ai militari statunitensi i mezzi per scoraggiare e sconfiggere ogni potenziale aggressione.” Aggressione da parte di chi? Un attacco furtivo da parte dei Russi o dei Cinesi lanciato dall’Artico sembra, beh, improbabile.
Ad ogni modo, nessuno si aspetta che la Danimarca, membro della NATO, consegni l’isola ad una potenza ostile. L’anno scorso Washington si era opposta al finanziamento cinese di tre aeroporti e il governo danese aveva trovato altri sponsor. Canada e Messico sono ancora più strategici e gli Stati Uniti non stanno cercando di acquistarli. (Anche se una volta gli Americani avevano tentato, senza successo, di conquistare il Canada e avevano preso in considerazione l’annessione di tutto il Messico, invece della metà che Washington aveva occupato dopo aver vinto la guerra messicano-americana).
Quasi tutti, nell’analizzare il problema, lo fanno dal punto di vista dell’America; almeno l’Examiner ricordava che gli Stati Uniti avrebbero acquistato, beh, delle persone. Ma, spiegava, non preoccupatevi, “non si tratta esclusivamente di interessi americani. La minuscola popolazione della Groenlandia ha anche tutto da guadagnare da un massiccio afflusso di investimenti americani. Il solo aumento del turismo offrirebbe sicuramente enormi opportunità, ancora tutte da sfruttare.”
Non è chiaro il motivo per cui le aziende statunitensi dovrebbero di colpo investire in un territorio in gran parte ghiacciato che si trova quasi tutto a nord del circolo polare artico. E cosa impedisce oggi ai turisti di andarci? Forse i Groenlandesi non vogliono essere sopraffatti dai loro molto più grandi vicini.
Mentre decanta i potenziali benefici finanziari per la Danimarca, l’editorialista Quin Hillyer scrive: “I desideri dell’attuale popolazione della Groenlandia dovrebbero essere presi in considerazione.” Solo “presi in considerazione“? Si autogovernano. Gli Stati Uniti penserebbero seriamente di assumere il controllo [dell’isola] se [i Groenlandesi] non volessero unirsi al colosso americano? E’ certo che migliaia di persone non dovrebbero essere barattate come se fossero un giacimento petrolifero o una miniera di carbone.
Mentre l’Examiner plaude alla possibilità che gli “abitanti della Groenlandia si uniscano alla nostra famiglia nazionale,” questi ultimi potrebbero non avere lo stesso desiderio di essere governati dalla città imperiale di Washington, DC. Non posso certo dire di biasimarli. L’America rimane per molti versi eccezionale, ma è governata da un’élite abusiva, ipocrita, irresponsabile, bigotta e incompetente, nella migliore delle ipotesi un tutore legale, non un genitore, che vive molto lontano e con solo un minimo di preoccupazione per il benessere della “famiglia.”
Il potere è sempre più concentrato a Washington. Il governo federale ha sempre più autorità su sempre più aspetti della vita degli Americani. La politica dei gruppi di interesse è diventata più febbrile e perversa. Negli ultimi anni, gli Stati Uniti si sono persino mossi nella direzione sbagliata sulle problematiche della libertà economica. Sebbene rimanga davanti alla Danimarca nelle valutazioni della Economic Freedom of the World, per quanto riguarda l’indice di libertà economica, la Danimarca è solo una posizione e una frazione di punto dietro l’America. La maggior parte dei paesi scandinavi sono redistribuzionisti piuttosto che socialisti e hanno normative meno invadenti rispetto agli Stati Uniti.
La gente ha sempre inventato nuovi schemi per espandere l’Impero Americano. All’inizio Washington aveva conquistato i territori vicini, poi aveva acquisito i possedimenti più distanti. Al giorno d’oggi, l’aggressione diretta è disapprovata, quindi gli espansionisti devono essere più cauti. Ad esempio, quando era stata ventilata la possibilità della dissoluzione del Canada, persino Patrick Buchanan, che aveva a lungo tuonato contro il perenne stato di guerra dell’America, aveva elencato le regioni secessioniste che Washington non avrebbe dovuto lasciarsi scappare.
In ogni caso, gli Stati Uniti sono già troppo grandi. Con quasi 330 milioni di persone, non esiste una “famiglia nazionale.” La California è un posto favoloso, ma la maggioranza dei suoi cittadini vuole basare la propria politica sull’economia dirigista e sulla politica dell’identità. Perché non lasciarli andare per la propria strada, piuttosto che sentirli lamentare che la struttura dei collegi elettorali non consente di imporre le loro egoistiche fantasie su tutti gli altri?
Giudizi altrettanto caustici potrebbero essere espressi contro altre parti dell’America, come il Sud, la Rust Belt e il New England. Sono stati scritti libri su come frazionare gli Stati Uniti. In questo caso, la secessione o “separazione” non avrebbe nulla a che fare con la razza e la schiavitù. Si tratterebbe piuttosto di comunità, impegno, famiglia, comunicazione, unità, compassione, responsabilità, umanità e proporzionalità. Gli Americani provenienti da tutte le parti del mondo dovrebbero vivere in pace. Ma non c’è motivo per cui tutti debbano essere costretti alla stessa massiccia aggregazione politica, con una fazione o un’altra che tenta costantemente di prendere il controllo su tutto.
Pensare in modo creativo potrebbe portare ulteriori vantaggi. Perché non vendere la California al miglior offerente? Con una cosa del genere si potrebbero raccogliere un bel po’ di soldi per ripagare il debito nazionale. Mettete le Hawaii sul mercato. Mark Zuckerberg, Bill Gates o forse qualche miliardario russo o mediorientale potrebbero fare una buona offerta agli Americani per poter acquistare il paradiso del Pacifico. Se non le Hawaii, allora forse le Samoa Americane o il Commonwealth delle Isole Marianne Settentrionali.
Il Midwest, con la sua forte produzione agricola, sarebbe molto richiesto. La Cina potrebbe pagare un prezzo elevato, dopo tutto, ha molte persone da sfamare! Potrebbe esserci persino un mercato per le enclavi progressiste: San Francisco, Austin, Madison, New York City, Atlanta ed altre ancora. Mettetele insieme e vedete cosa offrirà il mercato. Forse un governo britannico con Jeremy Corbyn come Primo Ministro potrebbe fare un’offerta. Sarebbe l’occasione di una vita per acquisire le più alte vette americane del progressismo di sinistra.
Un’altra alternativa potrebbe essere quella di far sì che le comunità statunitensi seguano la strada della Groenlandia, ovvero diventino territori autonomi sotto il controllo danese. Ad esempio, Springfield, in Virginia, dove vivo, potrebbe offrirsi in vendita alla Danimarca. Non essere così più costretta a sostenere l’Impero Americano.
Cosa c’è che non va nella condizione della Groenlandia? Un tempo potenza attiva, militaristica e coloniale, la Danimarca si è lasciata quei giorni alle spalle. Ora è una piccola monarchia costituzionale e inoffensiva. È sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale e ha protetto la sua popolazione ebraica. È un piccolo paese a misura d’uomo, con meno di sei milioni di persone; è ricca, democratica e, secondo un sondaggio delle Nazioni Unite (per quello che vale), il posto più felice della Terra.
Forse la cosa più importante, l’esercito danese ha solo circa 27.000 persone in uniforme. La sola New York City ha 36.000 agenti di polizia. Questo significa che la Danimarca non può davvero andare in giro per il mondo a bombardare, invadere e occupare altre nazioni, a differenza di Washington, che sembra credere che gli Americani possono essere felici solo in guerra.
La Danimarca aveva mostrato un eccezionale buonsenso rimanendo neutrale nella Prima Guerra Mondiale, forse la più stupida guerra moderna, quella con le maggiori conseguenze a lungo termine. Al contrario, l’America, guidata da quell’ipocrita megalomane di Woodrow Wilson, era entrata in quel conflitto, volontariamente, anzi entusiasticamente. La Prima Guerra Mondiale ha prodotto il comunismo, il fascismo, il nazismo e la Seconda Guerra Mondiale. Se Washington ne fosse rimasta fuori, molto probabilmente si sarebbe arrivati ad una pace di compromesso, il risultato sarebbe stato insoddisfacente, ma di certo migliore per l’umanità. Il punto di vista della Danimarca era quello giusto e i politici americani avevano torto.
Il presidente Trump dovrebbe lasciare in pace la Groenlandia. Non è la Danimarca che vende e non è nell’interesse degli Stati Uniti comprare. I problemi dell’America non derivano da una mancanza di territorio, ma dalla sua trasformazione da repubblica democratica ad impero globale. Non c’è da stupirsi che Mùte Bourup Egede, che è a capo di un partito per l’indipendenza della Groenlandia, abbia osservato: “L’America avrà sempre interesse per la Groenlandia. Il nostro paese sarà sempre nostro.” Così come dovrebbe essere.
Doug Bandow
Fonte: theamericanconservative.com
Link: https://www.theamericanconservative.com/articles/forget-annexing-greenland-start-breaking-up-america/
22.08.2019
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org