Ricostruire Gush Katif: il progetto per il ritorno dei coloni ebrei a Gaza

Un tempo considerato un gruppo marginale, il movimento messianico dei coloni di Israele detiene oggi le redini del potere. I loro piani per la pulizia etnica e il reinsediamento di Gaza necessitavano solo di due cose: una grande guerra e un governo estremista.

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William Van Wagenen
new.thecradle.co

Dopo quasi tre settimane dalla sanguinosa invasione di terra di Gaza da parte di Israele, un soldato israeliano aveva girato un video dall’interno dell’enclave bombardata e assediata in cui esclamava:Porteremo a termine la missione che ci è stata assegnata. Conquistare, espellere e insediare. Hai sentito, Bibi?“.

Sono passati due mesi dall’inizio dei bombardamenti di Tel Aviv su Gaza e gli obiettivi finali non sono ancora chiari. La CNN ha rivelato che il “piano originale” di Israele per la guerra era di “radere al suolo Gaza“. Il ministro israeliano Ron Dermer aveva proposto un piano per “sfoltire” la popolazione di Gaza, costringendo i civili a fuggire in Egitto via terra o in altre parti dell’Africa e dell’Europa via mare, perché il “mare è aperto per loro“.

L’unica cosa certa è che questa è una campagna di bombardamenti israeliani su Gaza mai vista prima. Nelle campagne passate, gli israeliani avevano cercato mediatori internazionali “fin dal primo giorno” per arrivare ad un cessate il fuoco nel giro di giorni o settimane.

Questa volta invece, gli israeliani e i loro sostenitori americani non vogliono assolutamente un cessate il fuoco. Sebbene in questo conflitto i loro obiettivi finali per Gaza siano cambiati, è altrettanto importante notare che i piani futuri di Tel Aviv potrebbero essere completamente diversi da quelli di Washington. Semplicemente, Israele non ha mai avuto un governo così di destra come quello attuale messo insieme dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu; un gabinetto pieno di fondamentalisti religiosi e di fervore messianico.

I piani per “reclamare” Gaza

Le radici dell’attuale campagna israeliana per la conquista di Gaza e la pulizia etnica dei suoi 2,3 milioni di abitanti palestinesi risalgono a quasi vent’anni fa, con l’evacuazione del blocco di insediamenti di Gush Katif, nel 2005.

Questa mossa, orchestrata dall’allora primo ministro Ariel Sharon, mirava a continuare l’insediamento ebraico e l’occupazione militare nella Cisgiordania occupata, ma era stata ritenuta infida dal movimento religioso dei coloni di Israele, di estrema destra.

Era stato Ariel Sharon, “il padre degli insediamenti”, a progettare il disimpegno da Gaza per garantire la continuazione degli insediamenti ebraici e dell’occupazione militare della Cisgiordania, ma il movimento religioso dei coloni lo considerava un traditore per aver rinunciato alla “terra ebraica”, proprio come considerava un traditore l’ex primo ministro Yitzhak Rabin, reo di aver firmato gli accordi di Oslo per la creazione di uno Stato palestinese.

Rabin era stato assassinato nel 1995 dall’estremista ebreo Yigal Amir, in un atto pubblicamente incoraggiato da un giovane ma importante attivista religioso dei coloni, Itamar Ben Gvir.

Un altro giovane colono religioso, Bezalel Smotrich, era stato arrestato per essersi opposto alla politica di disimpegno di Sharon. Per contrastare il disimpegno di Gaza, Smotrich avrebbe voluto far esplodere le auto sull’autostrada di Ayalon, all’ora di punta, usando 700 litri di benzina.

Entrambi sono oggi alleati e ideologi di spicco della coalizione di governo estremista di Netanyahu.

Nei 18 anni successivi, il partito Likud e il movimento religioso dei coloni, guidato da personaggi come Ben Gvir e Smotrich, avevano sognato di riconquistare Gaza per ricostruire Gush Katif. Questa impresa avrebbe comportato il completamento dell’espulsione [dei palestinesi] iniziata dalle milizie sioniste nel 1948, come aveva osservato lo storico israeliano Benny Morris, costringendo i gazesi all’esilio e impedendone il ritorno.

Nel 2010, l’allora primo ministro Netanyahu e il membro della Knesset (MK) Gila Gamliel, entrambi membri del Likud, avevano proposto al defunto presidente egiziano Hosni Mubarak l’insediamento dei palestinesi nella penisola del Sinai come parte di uno scambio di terre legato all’accordo di pace.

Mubarak, che aveva risposto dicendo “non sono minimamente disposto ad ascoltare questo tipo di proposte“, era stato poi stato rovesciato in una rivoluzione colorata orchestrata dagli Stati Uniti, facente parte della cosiddetta “Primavera Araba”, come era stata chiamata in tutta la regione.

Netanyahu aveva proposto un accordo simile al successore di Mubarak, Mohammad Morsi, nel 2012, e al successore di Morsi, Abdel Fatah al-Sisi, nel 2014, ma i risultati erano stati gli stessi.

Nel 2014, durante il brutale assalto di 51 giorni di Israele a Gaza, Netanyahu aveva cercato di coinvolgere gli Stati Uniti affinché proponessero a Sisi il trasferimento dei palestinesi nel Sinai, ma non aveva ottenuto nulla. Più di 2.300 civili erano stati uccisi in quell’operazione militare – un’altra delle campagne israeliane di “sfalcio dell’erba” per cercare di bloccare la resistenza palestinese, senza però ottenere alcun guadagno significativo contro Hamas.

Il piano prende forma

Nel giugno 2018, erano emerse notizie di un nuovo piano dell’esercito israeliano per “creare un cambiamento considerevole nella situazione e, se fosse necessario, lanciare una grande campagna contro Gaza“. Questo avrebbe comportato il passaggio da un bombardamento temporaneo a missioni offensive che avrebbero coinvolto unità d’élite che “entreranno a Gaza e la sezioneranno in due, e ne occuperanno persino parti significative“.

Nel frattempo, nel 2019, i coloni fondamentalisti, come Ben Gvir, avevano continuato ad esprimere il fervente desiderio di radere al suolo Gaza e tornare a ricostruire Gush Katif.

In vista delle elezioni della Knesset del 2022, tre partiti politici di estrema destra si erano alleati per formare la Coalizione del Sionismo Religioso. Si tratta del Partito del Sionismo Religioso, guidato da Smotrich, del partito Otzma Yehudit (Potere Ebraico), guidato da Ben Gvir, e di Noam, un piccolo partito ultraortodosso.

Nel luglio 2022, il candidato sionista religioso Arnon Segal aveva scritto durante l’annuncio della sua campagna: “È tempo di iniziare a pianificare un ritorno a Gush Katif“.

“, aveva scritto, “per tornare fisicamente e ricostruirlo“.

A settembre, con l’avvicinarsi delle elezioni, i24 News, un’emittente vicina a Netanyahu, aveva affrontato la questione di Gush Katif, definendola una “ferita persistente“, ancora aperta e fresca per gli israeliani.

È un trauma“, aveva detto un israeliano di nome Hillel citato da i24 News. “L’intero Paese ha sofferto“.

La “legalità” del ritorno dei coloni

Quando Netanyahu era diventato primo ministro per la sesta volta, dopo le elezioni del dicembre 2022, lo sforzo per la ricostruzione di Gush Katif aveva coinciso con un cambiamento significativo della situazione a Gaza. Dopo un anno di assenza dal potere, Netanyahu aveva formato una coalizione tra il suo partito Likud e la Coalizione del Sionismo Religioso.

L’accordo con Netanyahu aveva permesso a Ben Gvir di diventare ministro della Sicurezza nazionale, mentre Smotrich era stato nominato sia ministro delle Finanze che ministro della Difesa di Israele, responsabile dell’amministrazione civile nella Cisgiordania occupata.

Sotto la loro direzione, lo Stato di occupazione aveva rapidamente intensificato i raid militari contro i gruppi di resistenza palestinesi, accelerato la costruzione di insediamenti ebraici e lanciato appelli per l’annessione della Cisgiordania.

Nel marzo 2023, con l’intensificarsi delle violenze, la coalizione Likud-Sionismo religioso aveva silenziosamente vanificato un aspetto cruciale del disimpegno da Gaza del 2005. Il piano di ritiro originale di Sharon prevedeva l’abbandono di quattro piccoli insediamenti nel nord della Cisgiordania a causa di problemi di sicurezza.

Tuttavia, il 21 marzo la Knesset aveva approvato un emendamento alla legislazione sul disimpegno, consentendo ai coloni ebrei di tornare in questi insediamenti evacuati e aprendo la strada alla loro ricostruzione.

Dopo il voto, il deputato Limor Son Har-Melech del partito Potere Ebraico aveva dichiarato: “Non dobbiamo riposare sugli allori o sull’euforia del momento”. Dobbiamo anche galvanizzarci per “tornare a casa nella regione di Gush Katif, che era stata abbandonata [nel 2005] in un atto di terribile follia“.

Il ministro delle Missioni nazionali Orit Strock, del partito del Sionismo religioso, aveva lanciato un appello simile, dichiarando a Canale 7:

Credo che, alla fine, il peccato del disimpegno sarà annullato“.

Aveva suggerito che, per questo, sarebbe stato necessario andare in guerra, aggiungendo che “purtroppo, un ritorno nella Striscia di Gaza comporterà molte vittime”. In risposta, l’ONG di sinistra Peace Now aveva avvertito che:

È in atto una rivoluzione messianica. Questo governo distruggerà inevitabilmente il nostro Paese. Inoltre, approfondirà l’occupazione, incendierà la regione e stabilirà un regime suprematista ebraico dal fiume al mare”.

La Nakba di Gaza

All’indomani dell’operazione di resistenza palestinese Al-Aqsa Flood del 7 ottobre, propaganda e fake news avevano creato l’indignazione pubblica necessaria per giustificare l’uso di una violenza schiacciante non solo contro Hamas, ma contro tutti i gazesi, per attuare i piani di ritorno a Gush Katif.

Gli appelli pubblici al genocidio contro i gazesi si erano diffusi tra i politici, i giornalisti e le celebrità israeliane.

Israele aveva colto l’occasione e aveva avviato una massiccia campagna di bombardamenti su Gaza, accompagnata dalla richiesta ai palestinesi di evacuare la metà settentrionale dell’enclave assediata, una regione che ospita 1,1 milioni di persone – circa la metà della popolazione del territorio – entro 24 ore.

L’ex viceministro degli Esteri israeliano e diplomatico di alto livello Danny Ayalon aveva scritto sui social media che i gazesi non avrebbero dovuto solo andare nel sud di Gaza, ma fuggire in Egitto:

“Non diciamo ai gazesi di andare sulle spiagge o di annegarsi… No, Dio non voglia… Andate nel deserto del Sinai… La comunità internazionale costruirà loro città e darà loro cibo… L’Egitto dovrebbe stare al gioco”.

Le richieste israeliane di far fuggire i palestinesi in Egitto erano state accompagnate dalla pubblicazione, il 13 ottobre, di un rapporto del Ministero dell’Intelligence israeliano, guidato dal deputato del Likud Gamliel.

Chiaramente preparato prima degli eventi del 7 ottobre, il rapporto raccomandava l’occupazione di Gaza e il trasferimento totale dei suoi 2,3 milioni di abitanti nella penisola egiziana del Sinai, insistendo sul fatto che non sarebbe mai stato permesso loro di tornare.

Inoltre, il piano prevedeva che il governo lanciasse una campagna di pubbliche relazioni diretta all’Occidente per promuovere la pulizia etnica in modo da non alimentare l’ostilità internazionale nei confronti di Israele o danneggiare la sua reputazione già compromessa.

La deportazione di massa della popolazione da Gaza deve essere presentata come una misura umanitaria necessaria per ricevere il sostegno internazionale”, si legge nel rapporto. “Tale deportazione potrebbe essere giustificata se porterà ad un minor numero di vittime tra la popolazione civile rispetto al numero di vittime previste nel caso in cui [la popolazione] decidesse di rimanere“.

La terribile campagna di bombardamenti di Israele era continuata, assicurando che il numero di vittime sarebbe stato davvero enorme.

Il 27 ottobre, dopo che 7.028 palestinesi – tra cui 2.913 bambini – erano stati uccisi, Israele aveva lanciato la tanto attesa invasione di terra di Gaza.

Una settimana dopo, il rabbino di un’unità dell’esercito israeliano aveva tenuto un entusiasmante discorso alle truppe dichiarando: “Questa terra è nostra… l’intera terra, compresa Gaza, compreso il Libano, compresa tutta la terra promessa! … Gush Katif è una piccola cosa rispetto a ciò che otterremo con l’aiuto di Dio!”.

Come delineato nel piano del 2018 dai vertici militari, le truppe israeliane di invasione avevano rapidamente tagliato in due la Striscia di Gaza, invadendo anche da nord, lungo la costa.

Dopo aver piantato una bandiera israeliana nella sabbia della spiaggia di Gaza, un comandante israeliano aveva detto alle sue truppe: “Siamo tornati, siamo stati espulsi da qui quasi 20 anni fa… Questa è la nostra terra! E questa è la vittoria, tornare nelle nostre terre”.

L’8 novembre, mentre i soldati israeliani festeggiavano a Gaza, i deputati del partito Likud avevano presentato una proposta di legge per modificare nuovamente la legge sul disimpegno del 2005, questa volta per “abrogare la legge che impedisce agli Ebrei di entrare nella Striscia di Gaza“.

Tre giorni dopo, Danny Danon, ex ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite, e Ram Ben Barak, ex vicedirettore del Mossad, il servizio segreto israeliano, avevano pubblicato un articolo sul Wall Street Journal in cui sostenevano l’espulsione dei palestinesi da Gaza, fingendo motivazioni umanitarie, come indicato nel piano del ministero dell’Intelligence.

Resosi conto che il suo sogno di ripulire etnicamente Gaza e di ricostruire Gush Katif sui cadaveri dei bambini palestinesi stava per essere realizzato, Bezalel Smotrich aveva accolto con favore la proposta, affermando che “questa è la soluzione umanitaria“.

Anche l’ex ministro della Giustizia Ayelet Shaked aveva accolto con favore la mossa, ma era stata meno diplomatica, dichiarando alla TV israeliana:

Dopo aver trasformato Khan Yunis in un campo di calcio… dobbiamo approfittare della distruzione [per dire] ai Paesi che ognuno di loro deve prendere una quota, può essere di 20.000 o 50.000… Abbiamo bisogno che se ne vadano 2 milioni di persone. Questa è la soluzione per Gaza”.

Di fronte al compito monumentale della resistenza contro le forze di occupazione sostenute dagli Stati Uniti, l’onere di Hamas e delle altre fazioni della resistenza palestinese è di ostacolare qualsiasi progresso nella “rivoluzione messianica” di Israele a Gaza.

William Van Wagenen

Fonte: new.thecradle.co
Link: https://new.thecradle.co/articles/rebuilding-gush-katif-the-scheme-to-return-jewish-settlers-to-gaza
13.12.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

William Van Wagenen pubblica articoli per il Libertarian Institute. Ha scritto molto sulla guerra siriana, con particolare attenzione al ruolo dei pianificatori statunitensi nell’innescare e inasprire il conflitto. William ha conseguito un master in studi teologici presso l’Università di Harvard ed è sopravvissuto a un rapimento nella regione di Sinjar, in Iraq, nel 2007.

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