Di Flavia Lepre, 07/04/2024
contropiano.org
É una fallacia, una conclusione falsa a seguito di un implicito ragionamento fallace, ingannevole: “se facciamo un po’ per uno, è più facile ottenerlo, perché è una soluzione più moderata ed equa”.
Innanzitutto, è una “soluzione equa”? Bisogna considerare le cause storiche del presente. Né vale l’esortazione ad attenersi solo all’oggi: secondo quale soppesato criterio generale dovremmo, in questo caso, lasciare alle spalle il passato e tener conto esclusivamente del presente, se invece per altro non si fa che insistere, anche ossessivamente, sull’obbligo morale della memoria?
Le cause storiche di questo tragico presente sono di matrice coloniale, come tra gli altri ci ricorda la professoressa Diana Carminati dell’Università di Torino [1].
Non possiamo più perderci dietro alla miriade di atti compiuti dallo Stato d’Israele in violazione dei diritti dei Palestinesi e del Diritto Umanitario Internazionale. Le cause, l’origine infatti informa di sé anche la natura odierna e la struttura dello Stato nato da quell’atto coloniale, che peraltro continua a perpetrarsi.
Per anni generosi attivisti hanno partecipato alle raccolte di olive o difeso pozzi o case palestinesi, anche lasciandoci la vita – come Rachel Corrie e Tom Horindal -, accompagnando i bambini palestinesi a scuola e facendo loro da scudo umano per arginare le violenze dei coloni e dei soldati israeliani.
Per anni, schiere di volontari internazionali hanno manifestato nelle mobilitazioni settimanali con gli abitanti di villaggi [2] minacciati dall’incombenza del “muro dell’apartheid” [3].
Abbiamo seguito con il fiato sospeso le infinite ed interminabili cause intentate presso Corti israeliane dalle comunità palestinesi danneggiate dal suo inesorabile procedere, benché condannato dalla Corte Internazionale di Giustizia come illegale già il 9 luglio 2004.
Allora in molti non avevamo chiaro il quadro in cui si inserivano i numerosi soprusi e le violenze reiterate a cui spesso andavamo ad assistere con viaggi che permettevano di diventarne testimoni. Né ci era chiaro il livello su cui sostenere adeguatamente le rivendicazioni palestinesi, che non potevano limitarsi a cercare di offrire una boccata in più di ossigeno, pur di non mettere in discussione lo Stato d’Israele.
L’anno successivo alla sentenza della CIG, poiché nessun séguito essa aveva avuto, il 9 luglio 2005 nacque la campagna a guida palestinese di Boicottaggio Disinvestimenti e Sanzioni contro Israele [4]. I suoi tre obiettivi fondamentali mostravano una comprensione del piano complessivo su cui muoversi: era necessario non accettare più la frammentazione del popolo palestinese sancita dagli Accordi di Oslo. Libertà, fine dell’occupazione delle terre arabe (anche il Golan siriano). Eguaglianza, fine dell’apartheid interna ad Israele con il riconoscimento di una piena cittadinanza per tutti i cittadini. Ritorno, attuazione della Risoluzione ONU 194/1948 [5] relativa a ciascun palestinese espulso con la Nakba (1948) e finito anche fuori della Palestina (si pensi anche solo alla tremenda situazione dei profughi palestinesi nei campi profughi in Libano).
Chi avesse avuto nel passato difficoltà ad identificare cause e natura delle violenze israeliane, dopo l’approvazione della “legge dello Stato nazione” del luglio 2018 [6] non può più sottovalutare quell’aggettivo “ebraico” con funzione restrittiva che anche in precedenza veniva associato a “Stato” quando si parlava di Israele, senza tuttavia coglierne le implicazioni politiche. Non è, quindi, legittimo ignorare del tutto la nascita storica di questo Stato perché vi è connesso il problema della sua natura.
Ormai da anni esperti autorevoli di diversa provenienza riconoscono il regime“di apartheid” che lo Stato d’Israele ha instaurato. Il Sud Africa lo denunciò per primo, nel lontano 2009 [7]. L’evidenza dei fatti ed il confronto con la normativa internazionale e con la definizione di apartheid [8], oltre che con i diritti considerati universali anche dal senso comune, hanno imposto il superamento dei tabù assimilati come sentinella a guardia da pericoli razzisti (e disseminati per impedire la visione chiara della realtà coloniale). Così, possiamo finalmente comprendere quanto anche Miko Peled afferma in una video di pochi minuti, registrato dopo lo scorso 7 ottobre: Israele è uno Stato di apartheid che ha portato avanti politiche di pulizia etnica ed occupa terra palestinese, concludendo che non si deve condannare chi resiste all’oppressione, ma l’oppressore [9].
L’apartheid se si limita ad essere interna allo Stato d’Israele è accettabile, diversamente da come fu deciso per il Sud Africa? Equità è ottenere uguaglianza di diritti anche all’interno dell’attuale Stato d’Israele per tutti i suoi cittadini, anche quelli palestinesi, chiamati “arabi” per non ricordare che sono loro i nativi.
Ignorare la natura ed il contesto significante delle violenze israeliane, non è neanche efficace: non basta soccorrere i Palestinesi che ne sono vittime, poiché la loro causa continua a generarle senza un termine. La “soluzione” dei 2 Stati può porvi fine?
Dal 1948 ad oggi, Israele ha continuato a procedere inglobando nuove terre che sottraeva e sottrae ai Palestinesi. La ricorrenza palestinese della “Giornata della terra” nasce proprio da questa pratica israeliana di accaparramento continuo di terre palestinesi, avvenuta, ancora una volta, all’interno dello stesso Stato d’Israele. Era il 1976 e lo Stato decise di requisire 21.000 dunum (acri 5.189) in Galilea, alle manifestazioni di protesta nei paesi di Shacnin, Araba e Deir Hanna rispose la polizia uccidendo 6 giovani e ferendo altre persone. Quindi, fuori o dentro Israele, la proprietà palestinese non è stata e non è garantita a causa della natura di colonia d’insediamento di questo Stato. Anche oggi, mentre conduce a Gaza un terribile genocidio sotto gli occhi di tutti, il Governo israeliano annuncia la costruzione di altre abitazioni in colonie [10]. Dalla fine della guerra del 1967, Israele ha proceduto, con ritmo crescente e divenuto vorticoso, nella colonizzazione dei Territori che aveva occupato, benché questo sia vietato dal Diritto Internazionale [11]. Nessuno, nessuno glielo ha impedito!
E pure, gli insediamenti israeliani sono stati considerati uno dei principali ostacoli al buon esito degli Accordi di Oslo, che prevedevano un percorso di cinque anni per giungere all’istituzione di uno Stato Palestinese accanto a quello israeliano [12].
“I coloni in Palestina sono 464.400, ovvero il 14% della popolazione che vive in territorio palestinese (escluse Gaza e Gerusalemme Est) Inoltre, a Gerusalemme Est, occupata da Israele dopo il 1967, i quartieri interamente israeliani sono 14, per un totale di 230 mila abitanti” [13].
Quali Stati avrebbero volontà politica e forza oggi di imporre a Israele lo smantellamento delle colonie per permettere la nascita dello Stato di Palestina?
La “soluzione” moderata ha ottenuto risultati? La colonizzazione è andata progressivamente crescendo e sempre più incalzante ed ha interessato anche quella che dovrebbe essere la capitale dello Stato da far nascere: Gerusalemme Est. Quindi, due questioni fondamentali lasciate irrisolte dagli Accordi, si sono anche aggravate. Ciò vale anche per i confini, ancora più arduo definirli, visti gli illegittimi inglobamenti nel “muro” illegale e la continua estensione delle colonie illegali.
Sulla sovranità sulle risorse, è caduta anche l’UE [14], richiamata dai Palestinesi per accordi energetici con Israele che non garantivano che non fosse predato gas dalla parte di giacimenti sottomarini in acque palestinesi. E pure l’Unione Europea si è impegnata per anni, ma con poco coraggio, nel tentare di distinguere in ambito commerciale le colonie dai territori israeliani, non permettendo più ai prodotti degli insediamenti di usufruire delle condizioni doganali favorevoli concesse ai prodotti israeliani, per non essere ufficialmente complice dell’illegale colonizzazione [15].
Sulla questione della difesa, che qualsiasi Stato dev’essere in grado di garantirsi, non ci furono convergenze, se non nella provvisoria “collaborazione di sicurezza” tra l’ANP (l’Autorità Palestinese provvisoria nata con gli Accordi di Oslo sul percorso dello Stato istituendo) e lo Stato israeliano. Di questo vincolo i risultati sono stati più volte denunciati dai Palestinesi, che nelle loro manifestazioni di lotta politica si sono trovate contro le stesse Forze palestinesi [16] oltre a quelle dell’occupante, che nel frattempo ha ripreso il controllo sull’intero territorio né ha mai rispettato l’esclusività della vigilanza affidata alle forze palestinesi nelle poche aree dichiarate sotto l’intero controllo palestinese (zone A).
Da diversi anni si afferma esplicitamente quello che è sotto gli occhi di tutti e sulla pelle dei Palestinesi: gli Accordi di Oslo sono decisamente falliti. Stipulati nel 1993 per realizzare la “soluzione” di due Stati, non riuscirono a raggiungere entro i cinque anni previsti il conseguimento dell’obiettivo, né lo raggiunsero gli Accordi di Oslo II del 1995 che attribuiva all’OLP il governo di diversi città e villaggi a Gaza e in Cisgiordania, con la parziale ritirata dell’esercito israeliano. Restavano irrisolti alcuni punti centrali: confini dei due Stati, il diritto al ritorno dei profughi palestinesi sancito dalla Risoluzione ONU 194 del 1948, Gerusalemme, difesa dello Stato palestinese e gestione delle risorse. Tutti punti che oggi appaiono assai più problematici che in passato.
Tra le cause del fallimento degli Accordi di Oslo è stato considerato che i mediatori di un tempo, in particolare gli Stati Uniti, fossero poco attendibili nel ruolo [17] per le loro forti implicazioni con Israele. Neanche questo aspetto sembra minimamente migliorato, anzi, gli USA hanno ancora ripetutamente opposto il loro veto all’ONU persino di fronte al genocidio in corso a Gaza. La loro recentissima astensione [18] ha permesso che fosse approvata, dopo quattro tentativi andati a vuoto e sei mesi di bombardamenti, la Risoluzione del 25 marzo 2024 per un cessate il fuoco immediato ed il rilascio degli ostaggi israeliani, ma non incide nella realtà della situazione a Gaza più di tanto [19], poiché gli Stati Uniti continuano ad inviare armi a Israele, consentendo il loro utilizzo per massacrare la popolazione di Gaza. La popolazione a cui Israele sta impedendo di ottenere gli aiuti umanitari che le sono inviati e che per questo sta morendo DI FAME nel Nord della Striscia. Né sono previste sanzioni nella Risoluzione approvata.
La “moderazione”, o supposta tale, non ha pagato, non ha permesso di raggiungere l’obiettivo, benché avesse il pregio di lasciare lo Stato israeliano come è, limite aprioristicamente incorporato nella soluzione stessa.
Perché riproporre oggi ciò che non ha funzionato ieri e per trent’anni? C’è qualcosa da imparare dai fallimenti passati?
Molto probabilmente quel percorso non ha funzionato proprio perché la “soluzione” ricercata non centrava il cuore del problema: la natura dello Stato d’Israele. Se allora questa natura non era chiara, oggi è evidentissima e non può più essere elusa. Aveva ed ha ragione il movimento BDS: il cuore è l’unità del popolo palestinese.
Oggi i soggetti che continuano a sostenere la “soluzione” a due Stati sono soprattutto Stati ed istituzioni sovranazionali: Guterres [20], l’UE [21], gli USA [22], la Russia [23], il Brasile [24], ma anche alcune organizzazioni della società civile italiana come la Rete italiana Pace e Disarmo [25] e l’associazione Schierarsi [26].
Un membro di spicco del Programma per il Medio Oriente e l’Africa settentrionale al Consiglio europeo delle relazioni estere, Hugh Lovatt, ha sollecitato ad “azzerare il paradigma ‘post- Oslo’ per mettere al centro la liberazione dei territori e la parità dei diritti. Questo non significa scartare a priori qualsiasi possibilità di una soluzione a due Stati, ma l’Europa deve essere chiara sul fatto che, se Israele continua a bloccare tale opzione, allora dovrà garantire la parità di diritti in un unico Stato democratico. In ogni caso, i leader europei devono affermare inequivocabilmente che l’attuale situazione di crescente apartheid non può essere la soluzione. (…) l’Europa ha preferito spostare il suo peso politico a sostegno della difesa del quadro provvisorio stabilito dagli accordi di Oslo del 1993, che avrebbe dovuto fungere solo da trampolino verso un accordo politico diverso” [27].
Qualora pure ci si riuscisse in parte, in Palestina la nascita di due Stati sarebbe forse funzionale al rendervi necessaria in permanenza pluridecennale una forza internazionale d’interposizione?
Haneen Zoabi, ex parlamentare palestinese di Nazaret alla Knesset, in un’intervista rilasciata a Mike Peled lo scorso febbraio afferma che quando furono firmati gli Accordi di Oslo i Palestinesi cittadini d’Israele si sentirono abbandonati [28]. Come lei, anche l’altra famosa politica palestinese, Hanan Ashrawi asserisce: «I palestinesi vogliono unità nazionale» [29]. A Gaza, come in Cisgiordania già da qualche anno, la resistenza armata è condotta nell’unità delle diverse formazioni palestinesi.
Una parte, forse significativa, dei Palestinesi è per l’unità del proprio popolo e questo converge con il del cuore del problema a suo tempo indicato dal rapporto del 2017 dell’ESCWA: “Israele ha imposto un regime di apartheid al popolo Palestinese nel suo complesso” [30], “la frammentazione strategica del popolo palestinese è il metodo principale con cui Israele impone un regime di apartheid” [31]. Quindi, l’intenzione palestinese di ricreare condizioni di unità coglie proprio l’essenza del problema.
Pericolosa
La conseguenza dell’errore individuato da Hugh Lovatt nelle politiche europee: l’essersi arroccarti in difesa di formule che dovevano invece essere oggetto di evoluzione nel vivo processo di confronto e scontro, così di fatto impedendo la trasformazione stessa e favorendo la degenerazione dell’esistente, è proprio uno dei più seri pericoli che si corrono e si fanno correre nell’insistere sulla formula magica dei “2 popoli 2 Stati”.
Incanalare nella direzione sbagliata ciò che potrebbe produrre cambiamento, lo distoglie da obiettivi più validi, sterilizza e rende inerme lo sforzo e può avere come esito persino un’implosione. Inoltre, insistere su un obiettivo impossibile crea un blocco mentale, coazione a ripetere e fa girare a vuoto alla ricerca di dettagli irrilevanti su cui accanirsi.
Poiché permangono e si sono persino rafforzate le cause che hanno impedito la realizzazione di uno Stato Palestinese su una piccola parte della Palestina, è pressoché certo che l’obiettivo non sarebbe raggiunto per altri decenni. Si rischia di sprecare energie ideative, organizzative, emotive, risorse economiche e capacità di mobilitazione e tempo, in uno sfibrante tendere verso l’irraggiungibile. Ma il danno sarebbe accresciuto dalle prevedibili conseguenze di delusione, demotivazione e riflusso per l’inutilità di tanto sforzo, nonostante che fosse “moderato” e poco soddisfacente.
Non può essere irrilevante, inoltre, che “soluzione” della presunta omogeneità etnica è teoricamente contraddittoria con la prospettiva democratica, che si è andata orientando solidamente da molti decenni verso un’idea di Stato multietnico. Un’improbabile ed insostenibile unicità etnica, appare invece un cedimento culturale e morale verso inclinazioni nazionalistiche chiuse a possibilità di pluralismo, dialogo, confronto, scambio ed unità su basi paritarie ed aperte a derive razziste e naziste.
Perché incanalare azioni, richieste, energie, idee, attese nella direzione sbagliata perché infruttuosa e/o in contrasto con principi e valori condivisi, verso un muro contro cui s’infrangeranno?
Lavorare per questa “soluzione” crea nuovamente quelle separazioni interne al popolo palestinese che lo hanno devitalizzato per decenni, affidando ciascuna componente per intero e senza speranze a quella specifica condizione a cui l’aveva legata l’Accordo stipulato. Quelle separazioni che a fatica e con tanto costo di sangue il popolo palestinese ha saputo lentamente ricucire. Disperde e frantuma nuovamente ciò che ora è unito.
Di Flavia Lepre
NOTE:
[1] Diana Carminati, Il progetto sionista d’insediamento coloniale in Palestina. Il contributo degli studi di settler colonialism, 2021: https://ojs.unica.it/index.php/cisap/article/view/5073
[2] https://www.infopal.it/manifestazione-nonviolenta-a-nilin-21-persone-ferite-dallesercito-israeliano/
[3] https://www.antennedipace.org/2004/05/25/il-muro-israeliano-dellapartheid/
[4] https://bdsmovement.net/call
[5] https://www.unrwa.org/content/resolution-194
[6] https://www.limesonline.com/rivista/la-fondamentale-legge-di-israele-14631880/ approvata dalla Knesset il 18 luglio 2018, vi si chiarisce e sancisce la differenza tra “cittadinanza” e “nazionalità”, quest’ultima è più ridotta per numero di appartenenti e molto più ampia per diritti esclusivi.
[7] Sud Africa 2009, OCCUPAZIONE, COLONIALISMO, APARTHEID?UNA RICONSIDERAZIONE DELLE PRATICHE ISRAELIANE NEI TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI AI SENSI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, in PRATICHE ISRAELIANE NEI CONFRONTI DEL POPOLO PALESTINESE E QUESTIONE DELL’APATRTHEID, Progetto Palestina (a cura di), Universal Book Srl, Rende (Cs), pp. 99, ss.
[8] ESCWA (ONU), PRATICHE ISRAELIANE NEI CONFRONTI DEL POPOLO PALESTINESE E QUESTIONE DELL’APARTHEID, 2017, a cura di Progetto Palestina e BDS Italia, giugno 2018, Universal Book Srl-Rende (Cs). Si vedano in particolare le pagine 23 e 25; B’Tselem, gennaio 2021 A regime of Jewish supremacy from the Jordan River to the Mediterranean Sea: This is apartheid https://www.btselem.org/publications/fulltext/202101_this_is_apartheid ; Human Right Watch aprile 2021, A Threshold Crossed, https://www.hrw.org/report/2021/04/27/threshold-crossed/israeli-authorities-and-crimes-apartheid-and-persecution ; Amnesty International febbraio 2022, Apartheid israeliano contro i palestinesi. Un crudele sistema di dominazione e un crimine contro l’umanità, https://www.amnesty.it/apartheid-israeliano-contro-i-palestinesi-un-crudele-sistema-di-dominazione-e-un-crimine-contro-lumanita/
[9] https://www.youtube.com/watch?v=yISGty8aLRE
[10] Approvati dalla Commissione suprema per la progettazione. 3500 alloggi verranno costruiti nella citt-colonia di Maaleh Adumim (fra Gerusalemme e Gerico) nel villaggio di Keidar e ad Efrat, a Betlemme https://www.today.it/mondo/israele-costruira-altri-3500-alloggi-in-cisgiordania.html
“Articolo 8. Crimini di guerra (…) 2. Agli effetti dello Statuto, per “crimini di guerra” si intendono: (…) “b) Altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all’interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali vale a dire uno dei seguenti atti: (…) viii) trasferimento, diretto o indiretto, ad opera della potenza occupante, di parte della propria popolazione civile nei territori occupati, o deportazione o trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o al di fuori di tale territorio;”
[12] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cosa-sono-le-colonie-israeliane-in-cisgiordania-151093
[13] https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2023-11/storia-insediamenti-israeliani-palestina-guerra-israele.html 15/11/2023
[14] https://bdsitalia.org/index.php/la-campagna-bds/ultime-notizie-bds/2741-violazione-obblighi-ue 8/9/2022 l’ ENI ci ricasca https://altreconomia.it/sui-giacimenti-di-eni-nelle-acque-palestinesi/ 21/2/2024
[15] 2015 https://www.google.com/amp/s/www.ilpost.it/2015/11/11/etichette-territori-occupati-israele-palestina/%3famp=1 e 2019 https://www.google.com/amp/s/www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/amp/ContentItem-2f3d23ed-4fd7-4f2a-87d8-3dd57fb594f7.html
[16] 2014 https://nena-news.it/palestina-una-crisi-figlia-di-tre-fallimenti/ Chiara Cruciati: “La brutale offensiva contro Gaza, la repressione nei Territori, le politiche serviliste dell’ANP. E una rabbia sommessa che monta lentamente. Questo il contesto in cui si muove il popolo palestinese, non ancora pronto ad una nuova Intifada ma vicino all’esplosione”. 2023 29 ottobre: https://ilmanifesto.it/anp-solo-una-riconfigurazione-totale-potra-riconquistare-i-palestinesi “Non è chiaro quanto fosse concreta dieci giorni fa la minaccia di una sollevazione in Cisgiordania contro l’Autorità nazionale palestinese (Anp)
[17] https://orientxxi.info/magazine/palestina-israele-l-inevitabile-fallimento-degli-accordi-di-oslo,6746 2/10/2023
[19] https://www.micromega.net/risoluzione-cessate-il-fuoco-gaza/ La Risoluzione “non richiama espressamente il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che demanda al Consiglio il potere sanzionatorio e coercitivo per l’imposizione della pace” 29/3/2024
[21] Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza / Vicepresidente della Commissione https://www.eeas.europa.eu/eeas/cosa-difende-l%E2%80%99unione-europea-gaza-e-nel-conflitto-israelo-palestinese_it 15.11.2023
[23] https://www.open.online/2023/10/16/russia-putin-israele-telefonate-proposta-stato-palestina/
[26] https://www.laluce.news/2023/12/21/di-battista-presenta-la-proposta-di-legge-popolare-per-il-riconoscimento-della-palestina/ https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/12/di-battista-sul-nove-lesistenza-dello-stato-di-israele-non-e-in-pericolo-qui-laggredito-e-il-popolo-palestinese-che-non-ha-diritto-a-una-patria/7350764/
[27] 2021 La fine di Oslo: una nuova strategia europea per Israele e Palestina Hugh Lovatt 5 Febbraio 2021: https://ecfr.eu/rome/publication/la-fine-di-oslo-una-nuova-strategia-europea-per-israele-e-palestina/
[28] https://www.patreon.com/posts/israel-imposed-99350001?
[30] PRATICHE ISRAELIANE NEI CONFRONTI DEL POPOLO PALESTINESE E QUESTIONE DELL’APARTHEID cit, pag. 93
31 op. cit. p. 24