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La Redazione

 

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Quando i comunisti non volevano la Comunità Europea

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A cura di Redazione CDC
Il 14 Settembre 2020
1921 Views

CDC STORIA: I DOCUMENTI

Con questa nuova rubrica CDC vuole sfuggire all’eterno presente imposto dalla propaganda mainstream e guardarsi indietro, senza filtri: troverete sempre documenti storici e studi indipendenti, nella loro interezza, senza elaborazioni o commenti redazionali.

Continua il nostro viaggio alla ricerca delle origini storiche, economiche, politiche e geopolitiche dell’Unione Europea (1a parte ; 2a parte; 3a parte). E non si fermerà qui.

Per non dimenticare, ma per ricordare che Oggi è figlio di Ieri, e che ciò influenzerà inevitabilmente il nostro Domani.

Buona lettura.

Il 25 marzo del 1957, con il Trattato di Roma, nasce la Comunità Economica Europea (CEE).

Sul quotidiano l’Unità, viene illustrata la posizione ufficiale del Partito Comunista Italiano (P.C.I.) in merito a questa tappa fondante del cammino comunitario che ha dato una impronta decisiva a ciò che oggi chiamiamo Unione Europea.

 

 L’Unità, domenica 24 marzo 1957

UN COMUNICATO DELLA DIREZIONE

L’opinione del P.C.I. sul Mercato comune

MEC ed Euratom sono espressione di politica tendente a dividere l’Europa in due blocchi militari

Gli accordi per il Mercato comune europeo e per l’Euratom, conclusi per ora tra i governi e che ora dovranno essere portati a conoscenza del Paese e sottoposti al giudizio del Parlamento, pongono al popolo italiano problemi che per la loro portata e gravità devono essere affrontati con grande chiarezza e senso di responsabilità. Può dipendere dalla approvazione e dal contenuto di questi accordi l’avvenire della nazione per parecchi anni.

Noi riconosciamo che esistono condizioni oggettive le quali rendono incerte e gravi le attuali prospettive delle economie nazionali dell’Europa Occidentale. Nella situazione creatasi in seguito alla seconda guerra mondiale, al crollo del sistema coloniale e alla creazione di un grande mercato socialista, gli Stati continentali dell’Europa Occidentale si sono venuti a trovare in condizioni di grave inferiorità in confronto agli Stati Uniti d’America e all’Unione Sovietica. Già ora non sono in grado di affrontare la concorrenza americana, e la inferiorità diventa anche più grande di fronte alle prospettive dell’attuale progresso tecnico, dell’introduzione su vasta scala di processi di produzione automatica, dello sfruttamento della energia atomica a scopi industriale. E’ quindi comprensibile e anche giusta la tendenza a superare la situazione attuale e preparare un migliore avvenire, mediante un allargamento dei ristretti mercati nazionali e nuove forme di collaborazione internazionale nel campo economico.

La classe operaia e le classi lavoratrici non possono essere per principio ostili a questa tendenza, anche se essa si manifesta, per ora, in un mondo che è ancora diviso in campi diversi e coesistendo oggi un sistema di Stati socialisti, i Paesi ancora dominati dal capitalismo e i nuovi Stati liberi, creati dai popoli che hanno spezzato il giogo del regime coloniale. Il progresso economico, politico e sociale è infatti in parte legato al fatto che le attuali ristrettezze e difficoltà delle economie nazionali vengano alleggerite e superate con nuove forme di avvicinamento e di collaborazione. Ma affinché questo possa avvenire sono necessarie, nella situazione odierna, alcune condizioni :

1) Partendo dall’attuale situazione dell’Europa e del mondo, è necessario tendere a creare una più ampia e meglio articolata collaborazione economica tra tutti i Paesi europei, senza esclusioni e senza discriminazioni. Deve essere superata l’attuale divisione in blocchi militari, deve essere inaugurata una politica nuova, di convivenza, di distensione e di pace.

2) Deve essere favorito e non ostacolato lo sviluppo economico e politico dei nuovi Stati sorti dal vecchio mondo coloniale, cioè si deve porre fine ad ogni forma di dominio e di sfruttamento coloniale.

3) I singoli Paesi dell’Europa occidentale devono essere lasciati liberi di assicurare il loro progresso politico e sociale attraverso una trasformazione delle loro strutture economiche, la fine dell’illimitata potenza dei grandi monopoli capitalistici e, quindi, l’adozione di misure efficaci per elevare il livello di esistenza delle masse lavoratrici dell’industria e dell’agricoltura.

4) I Paesi economicamente più deboli, quale è ancora per gran parte l’Italia, non devono subire gravissimi danni e rischi, né perdere, di fatto, la loro indipendenza, per il prevalere sui legittimi interessi nazionali, degli interessi dei grandi monopoli capitalistici dei Paesi industrialmente più sviluppati e più forti.

Inoltre nel momento in cui si inizia l’epoca della utilizzazione dell’energia atomica a scopi industriali, è interesse di tutti i Paesi, ma particolarmente del nostro, che non si istituisca in questo campo nè un monopolio privato della nuova fonte di energia, né un monopolio di un gruppo di Potenze più forti, il quale metta gli altri a razione e in modo più o meno palese sfrutti la nuova energia a scopi di ricatto, di intimidazione e di preparazione alla guerra.

Il contenuto dei trattati che in questi giorni verranno firmati, è per il momento ancora sconosciuto. Quello però che già se ne conosce attraverso le varie dichiarazioni governative consente fin d’ora di affermare che essi non tengono alcun conto di queste necessità e quindi non presentano una giusta soluzione del problema di giungere a più vaste collaborazioni e quindi a un più ampio sviluppo di tutta l’attività economica dei Paesi europei. Al contrario, sotto la apparenza del progresso verso una nuova, più estesa unita economica, essi celano gravi pericoli per tutti i popoli europei e in particolare per i Paesi di più debole struttura.

Prima di tutto si deve denunciare il fatto che i due trattati sono espressione e strumento di una politica che tende a dividere sempre più profondamente l’Europa in due blocchi militari contrapposti. I trattati sono infatti direttamente legati alla organizzazione del Patto Atlantico e della UEO, e hanno come premessa e condizione il riarmo della Germania Occidentale, cui tendono a dare la possibilità di uso dell’energia atomica per scopi militari. Essi non favoriscono un processo di distensione, non avviano alla coesistenza pacifica tra Paesi di diverso ordinamento sociale, non danno un contributo alla sicurezza europea e alla pace, tendono anzi ad approfondire non solo la divisione politica dell’Europa, ma la scissione stessa del Mercato europeo o mondiale. Gli Stati dell’Europa occidentale, le cui economie riceverebbero enormi possibilità di nuovo sviluppo da misure concrete di avvicinamento e collaborazione con i Paesi del mondo socialista, si troveranno ancora una volta alla mercè della concorrenza e del predominio del grande capitalismo americano.

Questo vizio fondamentale viene ancora aggravato per il fatto che i Paesi legati dai nuovi trattati, tra cui anche l’Italia, vengono di fatto impegnati nell’appoggio e nella difesa del regime coloniale a cui l’imperialismo francese si sforza di mantenere, soggetti una parte dei popoli dell’Africa settentrionale, conducendo contro di essi una guerra ingiusta e sanguinosa. I trattati sono quindi, per questa parte, in particolar modo contrari all’interesse nazionale, che deve spingere l’Italia non a ostacolare, ma ad appoggiare il grande movimento per l’indipendenza di tutti i popoli coloniali e in particolare di quelli arabi del Mediterraneo.

In secondo luogo, la cosiddetta comunità economica che si tende a creare nell’Europa Occidentale sarà dominata dalle forze del grande capitale monopolistico. I potenti monopoli capitalistici privati stringeranno accordi tra di loro per controllare il mercato più ampio posto a loro disposizione. Ciò accrescerà i loro profitti; ciò darà una posizione di privilegio ai gruppi più forti, e prima di tutto a quelli della Germania Occidentale; ciò porterà allo schiacciamento delle forze intermedie e soprattutto non consentirà che il progresso tecnico si traduca in un generale miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Le sperequazioni sociali saranno rese più gravi; più pesante il divario e il disagio tra i Paesi a economia più debole e quelli ad economia più sviluppata.

Certo è poi che la nuova organizzazione eserciterà una forte pressione per impedire che nei singoli Paesi si segua una politica economica contraria agli interessi del grande capitale. Questo vuol dire che verrà impedita, in Italia, l’attuazione di quelle riforme di struttura che la nostra Costituzione prevede e che dovrebbero assicurare una progressiva trasformazione della economia nell’interesse delle classi lavoratrici.

Infine, risulta sin d’ora, dalle poche notizie che si hanno, che nella redazione del trattato per il Mercato comune sono stati sacrificati, sotto la pressione del grande capitale straniero e nazionale, gli interessi tanto della nostra agricoltura, quanto nell’industria meno sviluppata, così come non è stato tenuto nella giusta considerazione il grave e reale pericolo che tutta l’economia italiana, fatta eccezione per alcuni grandi settori monopolistici, venga ad essere trasformata in una ampia zona depressa, con gravi conseguenze per una parte importante della nostra popolazione.

Ai comunisti spetta quindi di condurre fra tutti gli strati della popolazione, a proposito dei nuovi trattati, un’ampia campagna di chiarimento, di critica e di denuncia. Questa campagna deve tendere:

1) A contrapporre alla politica di falso europeismo espressa dai trattati una politica democratica e socialista, di distensione internazionale, di pace e di progresso economico e sociale. Il superamento delle attuali ristrettezze e difficoltà dei Paesi dell’Europa occidentale si deve ottenere con nuove forme di collaborazione economica che si estendano a tutti i Paesi, anche a quelli socialisti, in un nuovo clima di distensione, che deve avere come sua premessa la fine dei blocchi e delle occupazioni militari e la pacifica coesistenza.

Recenti proposte fatte dal governo dell’Unione Sovietica offrono, in questo campo, ampie possibilità di contatto, di discussione e di accordo: esse aprono inoltre all’Occidente europeo la via per il superamento del suo ritardo atomico, sfruttando gli enormi progressi compiuti in questo campo dal mondo socialista.

2) A denunciare la inserzione dell’Italia in un blocco politico ed economico imperialista e colonialista; a rivendicare la solidarietà e una stretta amicizia e collaborazione con i nuovi Stati arabi, africani e asiatici, e con tutti i popoli che lottano contro il colonialismo.

3) A denunciare l’asservimento economico del nostro Paese al grande capitale monopolistico internazionale e indigeno, contrapponendo a questo asservimento una politica democratica di riforme della struttura economica, di lotta contro i monopoli privati, di nazionalizzazione delle fonti di energia, di intervento dello Stato per garantire non soltanto il progresso tecnico, ma il progresso sociale, cioè il continuo elevamento delle condizioni di esistenza delle masse lavoratrici.

4) A criticare concretamente le singole parti del trattato e proporre ad esso, nella sede parlamentare e di fronte all’opinione pubblica, quelle modificazioni che siano atte a tutelare gli interessi di quelle parti dell’economia nazionale che sono minacciate dalla prepotenza del capitale monopolistico straniero e da una politica estera sbagliata.

I comunisti ritengono che il trattato per il Mercato comune, qualora venga approvato, porrà gravi e nuovi compiti a tutte le organizzazioni della classe operaia e dei contadini, e in particolare alle organizzazioni sindacali. Sarà infatti necessario difendere il salario dei lavoratori, il loro livello di vita, le condizioni di abitazione e di sicurezza sociale in nuove condizioni, di fronte a un padronato più organizzato e più aggressivo e alle difficoltà create dai preveduti spostamenti di mano d’opera da un Paese all’altro.

Così pure la difesa delle libertà sindacali e politiche dei lavoratori dovrà essere condotta con energia, attraverso contatti e movimento su scala internazionale. Risulta infatti sin d’ora la intenzione del grande padronato e dei governi di servirsi della mano d’opera di alcuni Paesi, e in particolare dell’Italia, ove esiste una disoccupazione di massa, per ridurre il livello dei salari, negare le misure di assistenza sociale, far indietreggiare tutto il movimento operaio, peggiorare in tutto l’Occidente europeo le condizioni di esistenza dei lavoratori.

Spetta alla classe operaia e alla sua avanguardia, consapevole della necessità del progresso tecnico ed economico, opporre a una politica che mentre parla di « europeismo » mantiene divisi l’Europa e il mondo e quindi impedisce le necessarie collaborazioni tra le economie e gli Stati, una politica diversa, di estensione reale degli spazi di intesa economica e politica, di progresso nella pace, di trasformazione delle strutture di ogni Paese nel senso della democrazia e del socialismo.

LA DIREZIONE DEL P.C.I.

Trascrizione dall’edizione originale, L’Unità, domenica 24 marzo 1957 p.1/p.2

FONTE: https://archivio.unita.news/assets/main/1957/03/24/page_001.pdf ; https://archivio.unita.news/assets/main/1957/03/24/page_002.pdf

Scelto e pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

 

 

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