Dmitry Trenin
rt.com
La stabilità strategica, per una potenza dotata di armi nucleari, è solitamente intesa come l’assenza di incentivi a lanciare un primo attacco devastante. In genere, è vista principalmente in termini tecnico-militari. Le ragioni per cui un attacco può essere contemplato non sono di solito prese in considerazione.
Questa idea era emersa a metà del secolo scorso, quando l’URSS aveva raggiunto la parità strategico-militare con gli Stati Uniti e la Guerra Fredda tra i due Paesi era entrata in una fase “matura”, caratterizzata da un confronto limitato e da una certa prevedibilità. All’epoca, la soluzione al problema della stabilità strategica era stata trovata nel costante mantenimento dei contatti tra le leadership politiche delle due superpotenze, cosa che aveva portato al controllo degli armamenti e alla trasparenza nell’organizzazione dei rispettivi arsenali.
Tuttavia, il primo quarto del XXI secolo si sta concludendo in condizioni molto diverse dalla relativa stabilità politica internazionale degli anni Settanta. L’ordine mondiale USA-centrico stabilito dopo la fine della Guerra Fredda è seriamente messo in discussione e le sue fondamenta sono visibilmente scosse. L’egemonia globale di Washington e la posizione dell’Occidente collettivo nel suo complesso si stanno indebolendo, mentre la potenza economica, militare, scientifica e tecnologica e l’importanza politica dei Paesi non occidentali – in primis la Cina, ma anche l’India – stanno crescendo. Ciò sta portando ad un deterioramento delle relazioni tra gli Stati Uniti e gli altri centri di potere.
Le due maggiori potenze nucleari, Russia e Stati Uniti, sono in uno stato di conflitto armato semi-diretto. In Russia questo confronto è ufficialmente considerato una minaccia esistenziale. Questa situazione è stata resa possibile dal fallimento della deterrenza strategica (nella sua dimensione geopolitica) in un’area in cui sono presenti gli interessi vitali della Russia. Va notato che la causa principale del conflitto è il consapevole disinteresse di Washington – da trent’anni a questa parte – per gli interessi relativi alla sicurezza chiaramente ed esplicitamente espressi da Mosca.
Inoltre, nel conflitto ucraino, la leadership militare e politica degli Stati Uniti non solo ha articolato, ma ha pubblicamente ammesso l’intento di utilizzare il suo proxy per infliggere una sconfitta militare strategica alla Russia, nonostante il suo status nucleare.
Si tratta di un’impresa complessa in cui la capacità collettiva economica, politica, militare, tecnico-militare, di intelligence e informativa dell’Occidente si integra con le azioni delle forze armate ucraine in una lotta diretta contro l’esercito russo. In altre parole, gli Stati Uniti stanno cercando di sconfiggere la Russia non solo senza usare armi nucleari, ma anche senza impegnarsi formalmente nelle ostilità.
In questo contesto, la dichiarazione delle cinque potenze nucleari del 3 gennaio 2022, secondo cui “la guerra nucleare non dovrebbe essere combattuta” e che “non ci possono essere vincitori“, sembra una reliquia del passato. Una guerra per procura tra le potenze nucleari è già in corso; inoltre, nel corso di questo conflitto, vengono eliminate sempre più restrizioni, sia per quanto riguarda i sistemi d’arma utilizzati e la partecipazione di truppe occidentali, sia per quanto riguarda i limiti geografici del teatro di guerra. È possibile fingere di mantenere una certa “stabilità strategica”, ma solo se, come gli Stati Uniti, un attore si pone il compito di infliggere una sconfitta strategica al nemico per mano del suo Stato cliente e si aspetta che il nemico non osi usare le armi nucleari.
Pertanto, nelle condizioni attuali, il concetto di stabilità strategica nella sua forma originaria – la creazione e il mantenimento delle condizioni tecnico-militari per prevenire un improvviso e massiccio attacco nucleare – conserva solo parzialmente il suo significato.
Il rafforzamento della deterrenza nucleare potrebbe essere la soluzione al vero problema del ripristino della stabilità strategica, gravemente compromessa dal conflitto in corso e in escalation. Per cominciare, vale la pena di ripensare il concetto di deterrenza e, nel contempo, di cambiarne il nome.
Ad esempio, invece di parlarne in forma passiva, dovremmo parlare in forma attiva. L’avversario non deve rimanere in uno stato di benessere, credendo che la guerra che sta conducendo con l’aiuto di un altro Paese non lo riguarderà in alcun modo. In altre parole, è necessario riportare la paura nella mente e nel cuore dei leader del nemico. Una paura benefica, è bene sottolinearlo.
Bisogna anche riconoscere che in questa fase del conflitto ucraino i limiti di un intervento puramente verbale sono stati esauriti. I canali di comunicazione fino ai vertici devono rimanere aperti 24 ore su 24, ma, in questa fase, i messaggi più importanti devono essere inviati tramite passi concreti: cambiamenti dottrinali, esercitazioni militari per testarli, pattugliamenti subacquei e aerei lungo le coste del probabile nemico, avvertimenti sui preparativi per esperimenti nucleari e sugli esperimenti stessi, imposizione di no-fly zone su parte del Mar Nero e così via. Lo scopo di queste azioni non è solo quello di dimostrare la determinazione e la prontezza nell’uso delle capacità disponibili per proteggere gli interessi vitali della Russia, ma – cosa più importante – far desistere il nemico e incoraggiarlo ad impegnarsi in un dialogo serio.
La possibilità di escalation non finisce qui. Le fasi tecnico-militari possono essere seguite da atti concreti, di cui siano già stati dati avvertimenti: ad esempio, attacchi a basi aeree e centri di rifornimento sul territorio dei Paesi della NATO, e così via. Non c’è bisogno di andare oltre. Dobbiamo semplicemente capire, e aiutare il nemico a capire, che la stabilità strategica nel vero senso tecnico (e non ristretto) del termine non è compatibile con un conflitto armato tra potenze nucleari, anche se (per il momento) questo conflitto si svolge indirettamente.
È improbabile che il nemico accetti facilmente e immediatamente questo stato di cose. Come minimo, dovrà rendersi conto che questa è la nostra posizione e trarre le dovute conclusioni.
È ora di iniziare a rivedere l’apparato concettuale che utilizziamo in materia di strategia di sicurezza. Parliamo di sicurezza internazionale, stabilità strategica, deterrenza, controllo degli armamenti, non proliferazione nucleare e così via. Questi concetti sono emersi nel corso dello sviluppo del pensiero politico occidentale – soprattutto americano – e hanno trovato immediata applicazione pratica nella politica estera degli Stati Uniti. Sono basati su realtà esistenti, ma adattati agli obiettivi della politica estera americana. Noi abbiamo cercato di adattarli alle nostre esigenze, ma con alterni successi.
È tempo di andare avanti e di sviluppare concetti propri che riflettano la posizione della Russia nel mondo e le sue esigenze.
Dmitry Trenin
Fonte: rt.com
Link: https://www.rt.com/russia/594811-dmitry-trenin-nuclear-arsenal/
23.03.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Dmitry Trenin è professore di ricerca presso la Scuola superiore di economia e ricercatore capo presso l’Istituto di economia mondiale e relazioni internazionali. È anche membro del Consiglio russo per gli affari internazionali.