Il mondo che lascerà Joe Biden al termine del suo mandato è una bomba a orologeria, un pianeta ulcerato ed esplosivo, a sud come a est, tra scenari di guerra e tensioni internazionali, dall’Ucraina alla Palestina, a tutto il Medio Oriente, alla Corea, alla Cina. E dall’Onu alla Corte dell’Aia. L’odio verso l’Occidente è cresciuto nel mondo, i desideri di vendetta e di rivalsa covano in molti focolai e la pace mondiale è oggi come in pochissime altre fasi precedenti negli ultimi 80 anni messa davvero a rischio.
Il mondo che aveva lasciato Donald Trump nel 2020, pur assediato dalla pandemia, era meno compromesso, non c’erano conflitti e tensioni, guerre virali in corso, col rischio di propagarsi anche da noi. Trump lo spaccone, Trump lo sbruffone non aveva fatto guerre da nessuna parte, ed era riuscito pure a sedare alcune situazioni di pericolo, come quella con la Corea di Kim. Non c’erano rischi speciali, con l’Islam, la Russia e la Cina.
Ma la menzogna mediatica dell’Occidente fa passare Biden (col suo mondo dem) per un pacifista umanitario e Trump per un guerrafondaio pazzo. E ci dicono di temere il futuro in mano a Trump, che abbiamo già peraltro testato nel precedente mandato, quando dovremmo piuttosto temere il presente ancora in mano a Biden (o alla sua cerchia). Al di là di quel che succederà alla Casa Bianca, occorre una riflessione realistica sullo stato delle cose presenti e sui rischi che stiamo correndo in base ad alcuni pregiudizi, alcune preclusioni che non vogliamo superare.
Per risvegliarci dal nostro sonno occidentale, è necessario innanzitutto partire da una considerazione: l’Occidente non è il mondo, ma una porzione sempre più ristretta del pianeta e sempre più divergente.
Anzi l’Occidente patisce oggi una paradossale, doppia incongruenza, per eccesso e per difetto: è una realtà troppo ristretta per coincidere con la società planetaria e i suoi parametri globali; ma al contempo l’Occidente è un’entità troppo vasta che assembla mondi distinti e spesso divergenti. Dire Occidente, infatti, significa accorpare in una sola dimensione il mondo statunitense e canadese, il subcontinente latino-americano e l’Europa intera, dall’Atlantico agli Urali. Non sono la stessa cosa, non hanno comuni interessi vitali, strategici, economici e geopolitici. La reductio occidentale presuppone in realtà l’egemonia americana, la subalternità europea e la sudditanza sudamericana.
Aveva una residua validità il rifermento all’Occidente quando indicava la civiltà cristiana, pur nelle sue diverse accezioni e derivazioni secolari, ben sapendo che esisteva anche un cristianesimo orientale, russo-bizantino; il cristianesimo era il filo d’Arianna che accomunava i tre Occidenti e alcuni paesi sparsi nel mondo. Ma oggi che il riferimento religioso appare assai meno pregnante e influente, anzi si è fatto marginale e viene sempre più emarginato, cos’è l’Occidente? Individuo, libertà e democrazia, si potrebbe forse rispondere, o tecnologia, capitale privato e mercato; ma non sono più tratti specifici ed esclusivi dell’Occidente e non appaiono più vincenti nella forma occidentale.
A lungo l’Occidente è stato un tempo più che un luogo: il tempo della modernità rispetto al resto del mondo che pareva arretrato, ma oggi non è più così. A ciò si aggiunge il calo demografico che investe l’Europa e il nord America. Anche dal punto di vista demografico, la Cina, l’India o l’Islam sono universi più popolosi dell’occidente euro-atlantico o riferito ai paesi del G7, che includono pure il Giappone.
Al tempo stesso, come hanno dimostrato anche le più recenti situazioni conflittuali, da quella russo-ucraina a quella israeliano-palestinese, la posizione dell’Occidente è minoritaria rispetto al resto del mondo, alla divergente valutazione di quegli eventi che ne danno Cina, Russia, India, Brasile, Africa e Sudafrica, paesi islamici e paesi non allineati. La distinzione tra il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, secondo il metro occidentale, non risponde affatto all’unità di misura del resto del mondo. Bisogna prenderne atto. Nè possiamo imporre la nostra intermittenza etica nel giudicare le catastrofi umanitarie, i genocidi, i massacri delle popolazioni civili e i crimini contro l’umanità. Il resto del mondo non condivide, non comprende i nostri criteri e i nostri manicheismi. Il caso palestinese come il caso ucraino lo dimostrano.
Che senso ha persistere in questa cecità e auto-sopravvalutazione e considerare ancora gli Usa i gendarmi del mondo e l’Occidente il paradigma del pianeta? Perché non accettare realisticamente la situazione effettiva e trarne coerentemente le conseguenze? E’ tempo di lavorare per un mondo multipolare, smobilitando le pretese egemoniche dell’Occidente; anzi rimettendo in discussione l’idea stessa di Occidente. Un conto è difendere la nostra civiltà, un altro è illudersi di essere alla guida del mondo; ed invece, da quel punto di vista, il peggior nemico della civiltà occidentale è l’Occidente stesso, in preda al delirio woke, alla cancel culture, al politically correct, al processo permanente contro la sua stessa civiltà, le sue derivazioni e le sue matrici.
Anche l’Oriente assomma in realtà mondi assai diversi, irriducibili tra loro per storia, caratteri, religione, cultura. Si può davvero mettere sotto una stessa categoria spaziale, storica e geopolitica l’Islam, la Russia, la Cina, l’India, il Giappone e via dicendo? E l’Africa a quale emisfero apparterrebbe? La diade Oriente-Occidente non è un indicativo spartiacque più di quello tra Nord e Sud del pianeta.
Insomma, da qualunque parte lo si osservi, non resta che oltrepassare l’Occidente. Era il futuro per il resto del mondo ma oggi è stato scavalcato da più ardite tigri della tecnologia e del commercio globale. L’Occidente oggi è il vecchio, senza essere l’antico; è il passato, senza essere l’origine. Indica il luogo e soprattutto il tempo del tramonto. A ovest si fa sera, e si teme la notte. Non resta che andare oltre l’Occidente, pur restando italiani, mediterranei, europei.
Marcello Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. Proviene da studi filosofici. Ha fondato e diretto riviste tra cui L’Italia Settimanale e Lo Stato. Ha scritto su vari quotidiani e settimanali: dal Corriere della Sera a La Repubblica, La Stampa, Libero, Il Messaggero, Panorama. Ha scritto a lungo su Il Giornale, chiamato da Montanelli e poi da Feltri, dove ha tenuto per anni la rubrica in prima pagina Cucù.
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