L’obiettivo di Israele nella guerra di Gaza: distruggere gli edifici

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Ted Rall
unz.com

I sostenitori di Israele, per lo più di destra, credono alla storia ufficiale del governo israeliano, secondo cui la campagna di bombardamenti e l’invasione di Gaza da parte dello Stato ebraico hanno un unico obiettivo: deporre Hamas in modo che i suoi combattenti e il suo governo non rappresentino più una minaccia. Secondo questa narrazione, le morti dei civili palestinesi sono danni collaterali, inevitabili in un combattimento urbano in un’area densamente popolata.

Quelli che dissentono dalla versione ufficiale del conflitto, come i gruppi per i diritti umani, sono convinti che i bombardamenti siano indiscriminati e che Israele stia bombardando a casaccio perché sta reagendo con rabbia cieca all’attacco di Hamas del 7 ottobre.

I sostenitori della Palestina, per lo più di sinistra, pensano che Israele stia attivamente prendendo di mira i civili in una gloriosa e sanguinaria campagna genocida, cercando di massacrare quanti più innocenti possibile.

Si sbagliano tutti.

Israele non sta cercando di uccidere la gente.

Sta cercando di eliminare gli edifici.

Le persone muoiono quando gli edifici vengono bombardati. Ma uccidere le persone non è l’obiettivo degli israeliani. Il loro obiettivo è spianare Gaza. L’uccisione di alcuni gazesi è un effetto collaterale della demolizione degli edifici.

La maggior parte delle specie non si estingue dopo essere stata cacciata a morte. Si estingue quando il loro habitat viene distrutto.

L’obiettivo bellico di Israele a Gaza, secondo me, è quello di distruggere così tanti edifici, negozi, scuole, ospedali e altre infrastrutture da rendere il territorio inabitabile.

Le Forze di Difesa Israeliane potrebbero aver già raggiunto questo obiettivo. Secondo le Nazioni Unite, il 45% del patrimonio abitativo della Striscia di Gaza è stato distrutto. Oltre 1,5 milioni di persone su una popolazione totale di 2,3 milioni sono “sfollati interni”, cioè senza casa e vivono per strada. Solo uno dei 18 ospedali nel nord di Gaza, fino a sei settimane fa l’area più popolosa della Striscia, è ancora funzionante. A quattro settimane dall’inizio della guerra, il 61% di tutti i posti di lavoro a Gaza è scomparso, e questo in una regione già povera e con un tasso di disoccupazione altissimo.

Immaginate se i manifestanti che chiedevano un cessate il fuoco avessero la meglio. Se domani entrasse in vigore un cessate il fuoco permanente. Immaginate che la guerra finisca, che Israele dica ai residenti di Gaza che possono ritornare a casa in sicurezza.

Ritornare a cosa?

Metà della popolazione non ha una casa dove tornare (il numero aumenta ogni volta che viene sganciata bomba israeliana). L’altra metà, una volta ritornata nelle proprie case, molte delle quali danneggiate, non avrebbe acqua, né elettricità, né carburante, né telefono, né internet, né negozi per comprare cibo, vestiti o altro, né reddito né denaro per  i beni di prima necessità, né scuole dove mandare i figli, né ospedali dove curarli in caso di malattia o ferite.

Un giornalista del New York Times, che si è definito “stordito” e che aveva vissuto a Gaza prima di questa guerra, ha parlato di “un paesaggio così sfigurato da 42 giorni di attacchi aerei e da quasi tre settimane di combattimenti terrestri che, a volte, era difficile capire dove ci trovassimo“.

David Ignatius del Washington Post riferisce che il nord di Gaza “è stato ridotto ad uno scheletro. Una settimana fa, stando in Salah al-Din Street a Gaza City, ho visto edifici distrutti in ogni direzione“. Sarà impossibile per chiunque vivere in una zona così disastrata. Non è che Israele o i sauditi o chiunque altro si precipiterà a ripulire il disastro.

Gli antisionisti di sinistra pensano che Israele stia pianificando la Nakba 2.0, una rimozione forzata dei palestinesi da Gaza, in cui l’IDF li porterebbe via con i camion o li farebbe marciare sotto la minaccia delle armi. Erano stati i politici israeliani più guerrafondai ad alimentare questa teoria. Così come un memorandum interno del governo israeliano trapelato, che parlava di “un’opportunità unica e rara di evacuare l’intera Striscia di Gaza in coordinamento con il governo egiziano“. In una replica del 1948, il governo israeliano si rifiuta di garantire il “diritto al ritorno” a casa dopo la conclusione delle operazioni militari.

Tutto questo porta ad una conclusione ineluttabile: dopo che la Striscia di Gaza sarà stata ripulita etnicamente dalla sua popolazione palestinese, Israele la annetterà.

Sebbene l’annessione sia certamente l’obiettivo, non credo che gli israeliani intendano uccidere tutti i palestinesi o espellerli nel deserto con la forza. Israele sta già affrontando una grave resistenza a livello internazionale; una mossa così radicale lo trasformerebbe in uno Stato paria. Persino gli Stati Uniti interromperebbero i rapporti.

Israele ha in mente qualcos’altro: costringere i palestinesi a lasciare Gaza di loro spontanea volontà.

La Striscia di Gaza è ora un paesaggio infernale invivibile, pieno di cumuli di macerie che ricoprono migliaia di cadaveri. I corpi in decomposizione accelerano la trasmissione di malattie orribili come la tubercolosi e il colera. Secondo Euro-Med Monitor, il contatto con i cadaveri che perdono feci, con gli indumenti sporchi e con gli strumenti o i veicoli contaminati può diffondere epatite, tubercolosi e HIV e rovinare le riserve di acqua sotterranea. Uccelli, roditori e insetti si nutrono dei corpi e diffondono altre malattie, tra cui la malaria.

La guerra continua ad uccidere anni dopo il ritorno della “pace”. Le macerie sono pericolose. Le bombe e gli ordigni inesplosi devono essere rimossi in modo professionale, un processo che richiede anni, persino decenni.

Subito dopo il 7 ottobre, l’IDF aveva lanciato dei volantini sul nord di Gaza ordinando alla popolazione di evacuare e di spostarsi a sud, in una “zona sicura”. La maggior parte delle persone aveva obbedito. L’IDF ora controlla il nord.

Adesso, sulla parte orientale di Khan Younis, la città più grande nel sud di Gaza, sta cadendo una seconda serie di volantini in cui si ordina alla popolazione di spostarsi a sud-ovest, in preparazione di un bombardamento a tappeto dell’IDF nelle zone da loro abitate.

Un’occhiata alla mappa rivela cosa stanno facendo gli israeliani: stanno spingendo i palestinesi verso sud-ovest.

Cosa c’è a sud-ovest? Il valico di frontiera di Rafah con l’Egitto.

Una volta che i rifugiati di Gaza si saranno ammassati alle porte di Rafah, Israele aprirà il confine. I palestinesi passeranno e si spargeranno nella penisola del Sinai in cerca di villaggi, paesi e città dove poter sopravvivere.

Il presidente Abdel Fattah el-Sisi vede questo prossimo futuro. “Quello che sta accadendo ora a Gaza è un tentativo di costringere i residenti civili a rifugiarsi e a migrare in Egitto, cosa che non dovrebbe essere accettata“, si lamenta Sisi. Ma non può fare nulla per impedirlo.

Un’eventualità del genere significherebbe “spostare gli ideali di resistenza, di combattimento, dalla Striscia di Gaza al Sinai, e così il Sinai diventerebbe la base per lanciare operazioni militari contro Israele“, avverte Sisi in un messaggio che lascia intendere che, secondo lui, la palestinizzazione del Sinai è inevitabile.

Se la previsione di Sisi si avverasse, sarebbe una grande vittoria per Israele. Soprattutto, Israele annetterebbe Gaza. Ripulirebbe i detriti, porterebbe via le macerie e trasformerebbe Gaza in una lussuosa località balneare completa di case per vacanze. Se e quando i gazesi ridislocati riusciranno a riorganizzarsi abbastanza da lanciare nuovamente attacchi missilistici contro Israele, i punti da cui Hamas (o di qualsiasi nuova organizzazione che prenderà il suo posto) potrà lanciare i suoi razzi saranno molto più distanti dai principali centri abitati israeliani.

Costringere la popolazione di Gaza a fuggire distruggendo le infrastrutture del territorio è il classico crimine di guerra della pulizia etnica, definito in un rapporto delle Nazioni Unite sul crollo della Jugoslavia come “rendere un’area etnicamente omogenea usando la forza o l’intimidazione per rimuovere dall’area persone di determinati gruppi“.

Un’organizzazione di resistenza indigena inserita in una popolazione civile come Hamas non può essere bombardata fino a farla sparire; l’esperienza statunitense contro i Talebani dimostra che un’azione militare indiscriminata non fa che aumentare il sostegno al nemico. L’IDF ne è consapevole; i suoi alleati statunitensi continuano a ricordargli il fallimento delle operazioni antiterrorismo americane dopo l’11 settembre. Israele è troppo consapevole della sua dipendenza dal sostegno politico e finanziario degli Stati Uniti per pensare di uccidere tutti i 2,3 milioni di palestinesi di Gaza – cosa che, tra l’altro, disgusterebbe e alienerebbe la maggior parte dei cittadini israeliani, a prescindere dalla loro rabbia nei confronti di Hamas.

La pulizia etnica con l’obiettivo di annettere Gaza è l’unica spiegazione plausibile del comportamento di Israele dal 7 ottobre.

Israele è anche disposto a uccidere la gente. Ma, in realtà, vuole uccidere gli edifici.

Ted Rall

Fonte: unz.com
Link: https://www.unz.com/trall/israels-objective-in-the-gaza-war-kill-the-buildings/
24.11.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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