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La Redazione

 

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L’Asse della Resistenza sta guadagnando consensi nel CCG?

Recenti sondaggi e azioni pubbliche indicano una rinnovata popolarità dell'Asse della Resistenza dell'Asia Occidentale tra gli arabi del Golfo Persico, potenzialmente in grado di superare i livelli del 2006 visti dopo la guerra di Hezbollah contro Israele.
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A cura di CptHook
Il 8 Febbraio 2024
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arab_leaders

 

Giorgio Cafiero – The Cradle – 5 febbraio 2024

 

Per decenni, l’Arabia Saudita e gli altri Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) hanno considerato gli attori non statali dell’Asse della Resistenza dell’Asia occidentale, guidato dall’Iran, come una grave minaccia.

In quanto Stati controrivoluzionari, i governanti di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein hanno percepito gruppi come Hamas, Hezbollah in Libano e Ansarallah in Yemen come entità che sfidano pericolosamente lo status quo regionale, in particolare il dominio dell’impero occidentale.

Uno dei motivi per cui alcuni Stati membri del CCG desiderano che la guerra israeliana a Gaza finisca il prima possibile è il timore di come i gruppi allineati con l’Iran possano agire – e avvantaggiarsi – quando la crisi si espanderà ulteriormente in altre parti della regione.

Quattro mesi dopo l’operazione Tempesta di Al-Aqsa condotta da Hamas e la successiva guerra israeliana a Gaza, in tutta la regione è aumentata la considerazione verso lo status dell’Asse della Resistenza. Ciò ha ridotto lo spazio per gli sforzi di normalizzazione con Israele e ha esercitato una pressione indesiderata sui leader che hanno già legami con Tel Aviv.

Sostegno alla resistenza da parte della “strada araba”

Mentre il sentimento anti-statunitense nel mondo arabo raggiunge i livelli più alti dall’invasione dell’Iraq del 2003, si registra un’ondata crescente di simpatia per gli attori della regione araba che sfidano attivamente gli interessi di Stati Uniti e Israele.

Le figure e i gruppi sunniti di spicco della “strada araba” che esprimono sostegno agli attori dell’Asse della Resistenza ricordano l’unità della regione nel 2006, quando gli arabi di tutto lo spettro acclamarono Hezbollah per la sua elettrizzante performance sul campo di battaglia contro lo stato occupante.

In tutta la regione, la guerra dei 33 giorni è stata vista come una “vittoria araba” che ha lasciato Israele umiliato. Joshua Landis, direttore del Centro per gli Studi sul Medio Oriente dell’Università dell’Oklahoma, ha recentemente scritto in un articolo di Responsible Statecraft che “il sostegno del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden alla guerra di Israele contro i palestinesi ha infiammato i sentimenti antiamericani e antioccidentali in tutto il mondo arabo. Ha dato nuova vita al fronte della resistenza“.

La prospettiva che la guerra di Israele contro Gaza abbia un impatto “radicalizzante” sui cittadini del CCG sarebbe una grave preoccupazione per i funzionari governativi dell’Arabia Saudita e di altri Stati arabi del Golfo Persico, dove le autorità da tempo vedono la necessità di controllare l’opinione popolare e di reprimere l’attivismo di base che minaccia la loro legittimità.

In Arabia Saudita, e probabilmente anche in altre parti del Golfo, si moltiplicano le prove di una crescente simpatia per Hamas, mentre il gruppo oppone una rigida resistenza al brutale assalto di Israele a Gaza.

Hamas

Tra il 14 novembre e il 6 dicembre 2023 The Washington Institute for Near East Policy (WINEP), un think tank filo-israeliano, ha condotto in Arabia Saudita un sondaggio da cui è emerso che il 96% dei cittadini del regno concorda sul fatto che “i Paesi arabi dovrebbero interrompere immediatamente tutti i contatti diplomatici, politici, economici e di qualsiasi altro tipo con Israele, per protestare contro la sua azione militare a Gaza“.

Il sondaggio del WINEP ha anche rivelato che dall’agosto 2023 la percentuale di sauditi che hanno un atteggiamento positivo nei confronti di Hamas è salita dal 10 al 40%.

Mira al-Hussein, sociologa emiratina e ricercatrice presso il Centro Alwaleed bin Talal dell’Università di Edimburgo, ha dichiarato a The Cradle:

Ci sono frasi ed estetiche rese popolari dai militanti di Hamas che sono state rapidamente adottate nel Golfo. Il fatto che queste frasi facciano parte dell’uso quotidiano offre una plausibile negabilità a coloro che le ripetono. Per quanto riguarda l’estetica, non solo la kefiah è tornata in auge nelle principali città del Golfo, ma il triangolo rosso (quello presente nella bandiera della Palestina, N.d.T.) è ora un elemento di tendenza nella grafica della moda“.

Divergenze tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti

All’interno del CCG, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sarebbero i più preoccupati per questa crescente simpatia, quando non addirittura vero e proprio sostegno, ad Hamas tra gli arabi del Golfo Persico. Tuttavia, Abu Dhabi e Riyadh non sono sulla stessa lunghezza d’onda quando si tratta di coinvolgere il gruppo di resistenza palestinese. Inoltre, le loro prospettive sul cambiamento di atteggiamento dei cittadini del CCG nei confronti di Hamas sono diverse. Gli Emirati Arabi Uniti si oppongono rigidamente ad Hamas in quanto emanazione dei Fratelli Musulmani e per altre ragioni ideologiche. Abu Dhabi “non è disposta ad accogliere alcun tipo di movimento islamista“, spiega a The Cradle Aziz Alghashian, ricercatore presso la Lancaster University in Gran Bretagna. Tuttavia, l’Arabia Saudita è “un po’ più pragmatica” e Riyadh, pur non accettando Hamas, riconosce il gruppo come una “parte inevitabile della questione palestinese“.

Rispondendo a The Cradle Zakaryia al-Muharrmi, studioso e scrittore omanita, concorda affermando che:

C’è una chiara divergenza [che] si può osservare in Medio Oriente [Asia occidentale] riguardo all’impegno con Hamas. Il Regno dell’Arabia Saudita, che ha ricevuto i leader di Hamas pochi mesi prima degli eventi del 7 ottobre, mantiene una posizione pragmatica. Pur essendo preoccupato per un potenziale riavvicinamento Hamas-Iran, evita una condanna ideologica. Al contrario, gli Emirati Arabi Uniti hanno intrapreso un percorso di maggiore apertura religiosa, che incontra la resistenza di alcuni elementi della Fratellanza Musulmana, tra cui Hamas“, aggiungendo poi: “È possibile che questo scenario in evoluzione veda iniziative volte a contrastare la popolarità di Hamas, come il sostegno alle fazioni salafite anti-Fratellanza o ai movimenti nazionalisti“.

In definitiva, anche se la maggioranza dei sauditi, almeno secondo i sondaggi del WINEP, non sostiene ancora Hamas, l’aumento del 30% del sostegno al gruppo palestinese è comunque notevole.

Questa mutata percezione di Hamas da parte di un ampio segmento [della popolazione] del regno sottolinea il diffuso sostegno alla causa palestinese e il rifiuto da parte del popolo saudita dell’idea che la questione della Palestina possa essere semplicemente sepolta sotto le macerie degli accordi di normalizzazione.

In tutto il Golfo Persico la causa palestinese è importante, ma è anche diffusa la convinzione che le lotte intestine tra i diversi gruppi palestinesi abbiano contribuito ai problemi del popolo palestinese.

Haila al-Mekaimi, docente di scienze politiche all’Università del Kuwait, spiega a The Cradle che:

La realtà della posizione popolare nel Golfo è che sostiene il popolo palestinese, che è diventato vittima delle politiche estremiste israeliane da un lato, e  delle fazioni palestinesi in lotta tra loro dall’altro“.

Ansarallah dello Yemen

Gli arabi di tutta la regione considerano comunemente le operazioni navali condotte dalle forze armate yemenite allineate con Ansarallah contro le navi collegate a Israele che attraversano il Mar Rosso come un’azione legittima nel contesto del genocidio di Gaza.

Sviluppata dal Comitato Internazionale sull’Intervento e la Sovranità dello Stato nel 2001, la “Responsabilità di proteggere” (R2P) trae origine dalle uccisioni di massa in Ruanda e nell’ex Jugoslavia negli anni ’90, quando i liberali occidentali ritenevano che l’azione militare fosse necessaria per risparmiare al mondo il genocidio e altri gravi crimini. L’opinione di molti nel mondo arabo è che gli attacchi di Ansarallah al trasporto marittimo globale siano altrettanto giustificati, mentre nessun politico occidentale invoca la R2P in relazione alla guerra di Israele a Gaza. Come spiega ancora Muharrmi:

Le opinioni sugli Houthi tra il pubblico arabo sono state storicamente divise. I nazionalisti, come i sostenitori dell’unità panaraba, tendevano a percepirli come un movimento di liberazione nazionale che resisteva all’intervento delle monarchie del Golfo, considerate allineate con l’Occidente. Gli islamisti e alcuni regimi del Golfo, invece, considerano gli Houthi un movimento estremista sciita che agisce per conto dell’Iran. Hanno inoltre criticato l’uso di armi iraniane da parte degli Houthi contro la maggioranza sunnita dello Yemen. Tuttavia, gli eventi recenti hanno portato a un cambiamento nell’opinione pubblica araba. L’intercettazione delle navi israeliane da parte degli Houthi, seguita dal successivo attacco americano-britannico, ha suscitato simpatia e sostegno da parte di diversi settori. Alcuni vedono ora gli Houthi come alleati a fianco dei palestinesi nella più ampia lotta contro l’occupazione israeliana.”

Gli Hezbollah libanesi

L’attore dell’Asse della Resistenza che ha guadagnato meno reputazione nel Golfo Persico dopo il 7 ottobre è il movimento libanese Hezbollah. I cittadini del CCG, in generale, continuano a vedere l’organizzazione libanese sotto una luce negativa e settaria.

Uno dei fattori principali è il coinvolgimento del movimento nella guerra in Siria. Mentre la maggior parte degli Stati arabi del Golfo Persico ha ricucito i rapporti con il governo di Damasco dalla fine del 2018, questo riavvicinamento con il presidente siriano Bashar al-Assad non è necessariamente gradito ai cittadini sauditi e di altri Paesi del CCG.

L’intervento militare di Hezbollah in Siria, intensificatosi nel maggio/giugno 2013 con la battaglia per Qusair, ha contribuito in larga misura a far sì che molti nel CCG considerassero il gruppo sciita libanese come un attore sempre più nefasto che agisce per conto degli interessi iraniani nella regione. Secondo la sociologa emiratina Hussein:

I regimi del Golfo e la loro popolazione nutrono forti dubbi nei confronti di Hezbollah. Oltre all’elemento settario, non si dimentica il ruolo di Hezbollah in Siria. La percezione generale della loro risposta poco resistente alla guerra in corso a Gaza ha rafforzato le convinzioni sull’opportunismo politico dell’Iran nei confronti della Palestina. Gli Houthi sembrano essere un’eccezione, in quanto non sono considerati così strettamente legati all’Iran come Hezbollah“.

Alcuni esperti sostengono che il potenziale di Hezbollah di riconquistare l’ampio sostegno arabo di cui godeva nel 2006 sarà legato al modo in cui la forza libanese agirà contro Israele nel prossimo futuro. Come afferma Muharrmi:

Dopo la resistenza del 2006 contro Israele, Hezbollah ha goduto di un’impennata nel sostegno pubblico arabo. Tuttavia, il suo allineamento con il regime siriano durante la rivolta ha offuscato questa immagine per molti. Sebbene la sua recente partecipazione alla guerra contro Israele abbia suscitato un certo rispetto, permane in un segmento significativo dell’opinione pubblica araba lo scetticismo sulla portata limitata del suo coinvolgimento “. “I futuri scontri tra Hezbollah e Israele“, aggiunge, “potrebbero vedere una ripresa della sua popolarità più ampia. Il percorso da seguire dipenderà probabilmente dalle azioni del partito sul campo“.

Pressione nel Golfo Persico

È difficile esagerare la misura in cui l’operazione Tempesta di Al-Aqsa e gli eventi che hanno seguito il 7 ottobre hanno cambiato l’Asia occidentale. La solidarietà con i palestinesi di Gaza espressa dai cittadini del CCG testimonia un rinnovato senso di unità panaraba tra le società arabe come conseguenza diretta dei crimini israeliani nell’enclave assediata, che ha scatenato forti emozioni in tutta la regione. Il boicottaggio dei prodotti israeliani, americani e tedeschi da parte degli arabi del Golfo Persico sottolinea quanto sia cresciuta la solidarietà con i palestinesi negli ultimi quattro mesi.

Dopo che la polvere si sarà posata a Gaza, resta da vedere se o quando queste dinamiche sociali nel Golfo porteranno le autorità del CCG a modificare le politiche statali nei confronti di Israele-Palestina e degli Stati Uniti.

In ogni caso, i leader arabi del Golfo Persico si troveranno, come minimo, ad affrontare nuove pressioni per nascondere il loro impegno con Tel Aviv e allo stesso tempo soddisfare i sentimenti dell’opinione pubblica in un momento in cui la rabbia verso Israele e gli Stati Uniti continua a crescere.

 

 

g_cafieroGiorgio Cafiero (Master in Relazioni internazionali presso l’Università di San Diego) è fondatore e A.D. di Gulf State Analytics, società di consulenza sui rischi geopolitici con sede a Washington. I suoi interessi di ricerca includono le tendenze geopolitiche e di sicurezza nella Penisola Arabica e nel Medio Oriente in generale. Collabora regolarmente con il Middle East Institute, il Gulf International Forum, Inside Arabia e The New Arab. Commenta spesso su Al Jazeera, TRT World, BBC Persian e altre reti ed ha partecipato a decine di incontri a porte chiuse con alti funzionari governativi, ambasciatori e altri diplomatici in Bahrein, Kuwait, Iran, Iraq, Oman, Qatar, Turchia ed Emirati Arabi Uniti.

 

Link: https://thecradle.co/articles/is-the-axis-of-resistance-gaining-support-in-the-gcc

Scelto e tradotto (IMC) da CptHook per ComeDonChisciotte

 

 

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