Di Tiziano Tanari per ComeDonChisciotte.org
Stiamo assistendo in queste ultime settimane a uno dei più terribili crimini dalla seconda Guerra Mondiale ad oggi: il genocidio di Gaza.
Le stragi, gli stermini e le uccisioni sono tutti eventi tragici che mostrano in maniera cruda la bestialità insita nell’essere umano; il conflitto nella Striscia di Gaza rappresenta, forse, il vertice di questa perversione per la sua disumanità lucida, premeditata e perseguita senza il minimo scrupolo. L’esercito israeliano ha bombardato incessantemente un’area chiusa senza nessuna possibilità di fuga dove, per colpire alcuni terroristi, hanno massacrato selettivamente quasi esclusivamente civili uccidendo migliaia di bambini! Questa è la manifestazione più sconvolgente del male assoluto; la violenza e la crudeltà perpetrate nei confronti di bambini innocenti non può avere giustificazione alcuna, neanche come reazione al precedente bombardamento di Hamas, parimenti un’azione criminale che, paradossalmente, ha rappresentato solo un inspiegabile atto provocatorio senza nessun fine strategico reale. In risposta, il governo israeliano ha distrutto intere aree della Striscia di Gaza; abitazioni, infrastrutture e ospedali sono state oggetto di costanti e indiscriminati bombardamenti con interruzioni continue della corrente elettrica e dell’acqua, che hanno costretto la popolazione a condizioni sotto i limiti minimi di sopravvivenza. Solo da poco e per poco tempo si è aperto uno spiraglio con una sorta di “cessate il fuoco” per permettere lo scambio di prigionieri e l’apertura di un canale umanitario internazionale.
Davanti a un evento devastante di tale portata abbiamo assistito a un fenomeno globale sconcertante: la totale assenza di umanità e senso di giustizia e indifferenza dei governi, in particolare quelli occidentali, delle istituzioni internazionali e di gran parte della società cosiddetta civile. Tutte queste entità sono oggi condizionate da poteri impersonali, apolidi e sovranazionali che ci hanno strumentalmente e ipocritamente scagliato contro la Russia per l’aggressione all’Ucraina, e non si pronunciano con nessun genere di condanna nei confronti di una ben più feroce aggressione a Gaza da parte di Israele; come sempre, due pesi e due misure. È palese che la politica strategica di quest’ultimo non è proteggersi da Hamas ma cercare di eliminare ogni presenza palestinese nei territori occupati spingendoli verso un esodo in Egitto o altri Paesi stranieri. Per il sionismo è indispensabile ricreare l’antico “regno” di Israele, una realtà solamente biblica che non risulta testimoniata da altri documenti storici né tantomeno dalle molteplici ricerche di archeologi ebrei che non sono riusciti a trovare la benchè minima traccia della sua esistenza (1). In questa ottica si può interpretare l’azione del 7 Ottobre di Hamas come il pretesto ideale per motivare, e giustificare, una reazione così forte e determinata di Israele e, visto anche che Hamas è una sua creazione, favorita a suo tempo per contrastare il potere dell’OLP di Arafat, è più che lecito ipotizzare un’operazione false-flag. Da notare, inoltre, le stridenti contraddizioni che vedono il capo di Hamas Ismail Haniyeh ricevere asilo politico dal Qatar permettendo di aprire il suo quartier generale nella capitale Doha, dove risiede anche la più grande base militare USA in Medio Oriente (2); tutto ciò non può che rafforzare la convinzione che nulla è come sembra.
I gravissimi fatti che si sono sviluppati in queste ultime settimane stanno portando ad una pericolosa escalation bellica che, vista l’attuale situazione geopolitica mondiale, corre il rischio di innescare tensioni sempre maggiori a livello internazionale. Il rischio di coinvolgimento di Paesi limitrofi, e conseguentemente delle potenze mondiali a cui sono legati, potrebbe scatenare un effetto domino di proporzioni apocalittiche coinvolgendo i Paesi dell’area mediterranea e non solo.
Si impone, a questo punto, un’analisi attenta e radicale sulla vera natura del conflitto israelo/palestinese. Senza entrare nel merito degli eventi storico/politici che hanno portato all’attuale situazione e delle responsabilità di entrambe le parti, è importante cercare di capire se esiste una possibile via di uscita per superare questo pericolosissimo conflitto. Pensare che possa essere risolto militarmente è un’irresponsabile illusione, se non pura follia, vista anche la ferma volontà di Israele di estendere il conflitto verso i Paesi vicini qualora offrissero supporto militare ad Hamas. Una escalation del genere sarebbe un prezzo troppo alto da accettare per la comunità internazionale che toglierebbe a Israele ogni tipo di consenso e di sostegno, visto anche l’alto rischio che tali eventi possano degenerare in una guerra globale; qualunque fosse l’esito, Israele avrebbe tutto da perdere, come immagine, sia sul piano politico che sul piano internazionale. Già oggi, appare fortemente compromessa per la risposta crudele e sproporzionata che sta attuando come reazione all’attacco di Hamas che, parimenti, è da annoverare fra gli eventi più crudeli e stupidi in quanto, dietro a tanta cieca violenza, non era strategicamente ipotizzabile alcun tipo di risultato utile alla causa del Popolo Palestinese.
Preso atto che un’azione bellica non può portare a nessun risultato positivo, per azzardare una possibile soluzione dovremmo evidenziare due aspetti, forse i più importanti: il primo riguarda lo storico conflitto ultra centenario fra gli abitanti della Palestina e gli “immigrati” ebrei che agli inizi del secolo scorso hanno intrapreso un vero e proprio esodo all’interno dei territori palestinesi; il secondo, forse più complesso ma non meno evidente, è la intromissione delle grandi potenze occidentali che sembrano alimentare questa crisi endemica in un panorama geopolitico delicatissimo quale è quello mediorientale, in particolare da parte degli Stati Uniti che vedono in Israele un avamposto strategico per i loro interessi in Medio Oriente e non solo. È bene ricordare che esiste negli USA un potentissimo movimento sionista forte addirittura di circa 70 milioni di….cristiani evangelici, che, uniti alle élites sioniste di origine ebraica, costituiscono un importante bacino elettorale capace di condizionare in modo decisivo la politica estera statunitense. Il sionismo è stato il motore che ha spinto i primi stanziamenti ebraici in Palestina all’inizio del XX secolo dove ricevettero una sorta di legittimazione nel 1917 con la Dichiarazione Balfour, dal nome del Ministro degli Esteri inglese di allora, con la quale l’Inghilterra si impegnava a sostenere la costituzione di un “focolare nazionale” per il popolo ebraico in Palestina. Questo trattato ambiguo, mal fatto e mal gestito, ha portato al conflitto perenne che da allora sta letteralmente martoriando le “due” popolazioni.
Quali prospettive possiamo ipotizzare per un futuro di pace? Sentiamo costantemente riproporre la retorica di due Popoli e due Stati; questa possibilità la possiamo ritenere ormai irrealizzabile visti i molteplici e capillari insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania e, in piccola parte, anche nella Striscia di Gaza; questi rappresentano la parte fondamentalista di Israele che ha come obiettivo l’acquisizione, de facto, di zone sempre più ampie di territorio palestinese con il fine ultimo, ormai sempre più evidente, di cacciare gli abitanti autoctoni fuori dai confini della loro terra. Per contro si aggiunge la parte radicalizzata, anche se minoritaria, della comunità palestinese che vorrebbe la sparizione di Israele. A questo punto non rimane che una sola possibilità: isolare le frange radicali da entrambe le fazioni e sostenere i due popoli verso la costruzione di un unico Stato dove possano convivere e cooperare garantendo un futuro di pace e benessere per tutti. Esattamente trent’anni fa si era raggiunto un importantissimo accordo di pace grazie alla mediazione di due grandi politici, Ytzhak Rabin e Yasser Arafat (3); si erano create tutte le condizioni per arrivare a una stabile situazione di convivenza fra i due Popoli ma il tutto è naufragato per l’ostracismo dei soliti radicali sionisti, fra cui, oggi, il Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu.
Come rendere possibile e attraente per entrambi i Popoli una risoluzione di questo tipo? Analizziamo i dati da un punto di vista macroeconomico per un piano operativo potenzialmente realizzabile.
Un primo importante dato di fatto, che costituisce un requisito fondamentale, è che i due Paesi usano già la stessa moneta: il NIS, New Israeli Shekel (4); già basterebbe questa condizione, cioè di una valuta gestita dal governo israeliano, per togliere al Popolo Palestinese ogni potere decisionale e politico. La moneta unica, però, implica il fatto che esistono già le basi strutturali per un’economia comune. Fatta questa premessa, si potrebbe ipotizzare un piano operativo che potremmo riassumere in questi passaggi fondamentali, considerando che la sua attuazione potrebbe dare l’avvio a un reale e potente processo di sviluppo, benessere e integrazione.
- Si concorda il “cessate il fuoco” con l’immediata convocazione di un tavolo per le trattative e con la programmazione successiva di un piano di ricostruzione e di cooperazione.
- Il governo di Israele si propone come finanziatore della ricostruzione nei Territori con nuove abitazioni, nuove infrastrutture e un programma di piena occupazione, con corsi di formazione per l’inserimento professionale dei giovani palestinesi su cui grava una disoccupazione giovanile che va dal 26% della Cisgiordania al 41% di Gaza (5). È importante sottolineare l’immensa forza lavoro che si potrebbe attivare e che potrebbe dare un potentissimo impulso alla ricostruzione e alla ripresa dell’economia; contemporaneamente la comunità palestinese avrebbe un immediato aumento del proprio benessere e della qualità di vita: buoni salari per tutti, benessere diffuso ed economia con il “turbo”.
- Inserimento nell’apparato amministrativo e politico di un numero adeguato di rappresentanti dei Territori Palestinesi.
- Accordo sulla libertà religiosa con rispetto e salvaguardia delle rispettive tradizioni e luoghi di culto. Questo obiettivo è praticabile; abbiamo esempi importanti nella stessa area mediorientale, primo fra tutti quello rappresentato dal Libano (6), ma anche all’interno dello stesso Israele abbiamo comunità ebraiche ortodosse che addirittura sostengono l’indipendenza della Palestina: una buona convivenza è possibile.
Con queste prospettive, Israele, a parere di chi scrive, nel giro di pochi anni potrebbe diventare una potenza economica, tecnologica e culturale di livello mondiale. Non dimentichiamo, inoltre, che Gerusalemme rappresenta l’origine dei tre culti monoteistici e, proprio per questa potente tradizione, è, di fatto, un patrimonio dell’umanità che va protetto e valorizzato come un tesoro inestimabile per il mondo intero. Questo è un ruolo importantissimo di cui Israele dovrebbe farsi promotore e garante nel rispetto e nella tutela dei più profondi e vitali valori spirituali delle tre Fedi.
Due sono i grandi problemi da superare. Il primo, di carattere economico e monetario e il secondo di carattere culturale/religioso. Le risorse finanziarie per un’operazione così imponente sono la base di partenza per un grande progetto di rinascita del Paese; come reperirle? Non è un problema, la Banca Centrale Israeliana, su mandato governativo, può finanziare qualsiasi entità di spesa all’interno della sua nazione. Ricordiamo che, secondo i principi macroeconomici, lo Stato dotato di una propria valuta ha il potere di finanziare, senza limiti, il lavoro dei suoi cittadini e imprese potenziando così il sistema produttivo, garanzia fondamentale di una veloce e stabile ripresa economica.
Alla luce di questa semplice ma “incredibile” affermazione, non è utopia pensare di attivare un processo virtuoso di sviluppo che porterebbe a un elevatissimo livello di benessere per tutta la popolazione, imparagonabile agli attuali standard. Per raggiungere questi obiettivi, diventa fondamentale superare ogni forma di discriminazione e attuare la massima cooperazione per sviluppare un progetto estremamente innovativo che porterebbe un benessere diffuso e di altissimo livello. Quale cittadino ebreo o palestinese si sentirebbe di rifiutare una tal prospettiva avendo come alternativa il rischio di essere annientato o ridotto a una vita di sofferenza ed emarginazione? Una convivenza responsabile e rispettosa delle reciproche tradizioni è possibile purchè si lasci alle spalle il fondamentalismo religioso e qualsiasi forma messianica o escatologica che rappresenta l’unico vero e ingiustificabile ostacolo alla pace. E proprio questo pare sia l’ostacolo più ostico da superare in quanto è lo strumento più potente e pervasivo su cui si poggia l’aggressiva politica sionista; depotenziare il dogmatismo religioso per delegittimare e smontare il presunto ruolo di “primogenitura” del Popolo di Israele sul resto dell’umanità credo sia diventato improcrastinabile: i sionisti si ritengono il “popolo eletto”, ma eletto da chi? Con questa pietosa e grottesca pretesa, poteri occulti (anche se ormai ben conosciuti) condizionano intere masse di persone che diventano, di fatto, inconsapevoli strumenti (e vittime loro stessi) dei loro deliranti piani di potere globale.
La religione ebraica, come le altre due religioni monoteiste, con le loro pretese dogmatiche, hanno fatto il loro tempo; come vediamo, invece di essere fonte e alimento di spiritualità, sono motivo di divisione e corruzione delle menti e delle anime dei Popoli e rappresentano, di fatto, il più forte strumento dell’esercizio del potere. È vitale e indispensabile, non solo per Israele e la Palestina, ma per l’intera umanità, un ritorno alla spiritualità, a valori di bene e giustizia che tornino a essere il necessario fondamento alla vita del singolo e della comunità, valori che, anche a detta di chi scrive, possono avere una reale valenza solo se legati a una Sorgente Trascendente che comunemente chiamiamo Dio. Ma “Dio nessuno l’ha mai visto” (Vangelo di Giovanni 1.18) e, quindi, nessuno può imporre il “suo Dio” come l’unico e vero. Le sue leggi sono state tramandate da uomini, forse ispirati, ma che non hanno nessuna rivelazione diretta da poter dimostrare. Allora riprendere un necessario percorso spirituale alla ricerca di Dio è vitale, necessario, ineludibile e in questo, le religioni possono tornare le vie da percorrere, ma come esperienza di ricerca condivisa e testimonianza di valori, cercando quella “Luce” che solo Dio ci può ispirare e nessun altro, tantomeno un semplice essere umano.
Abbiamo bisogno di ritrovare solidi riferimenti per salvare il futuro di un’umanità allo sbando, ormai preda di un materialismo nichilista privo di umanità e che presto verrà potenziato dal pensiero e dall’azione di un transumanesimo delirante, dove l’obiettivo finale è proprio la fine dell’Umano. È in questo più ampio contesto che dobbiamo cercare una chiave di lettura molto più profonda dei terribili eventi di Gaza; non c’è solo il destino di Israeliani e Palestinesi in gioco ma il destino dell’intera umanità: da una Pace in Israele potrebbe risorgere la Speranza, quella speranza senza la quale la vita perde ogni senso e dignità. Dio è morto in Israele ma Israele (ancora una volta?) lo può fare risorgere, e tutto il mondo glie ne sarebbe grato, in eterno.
Di Tiziano Tanari per ComeDonChisciotte.org
Note:
(1) https://youtu.be/MEUiCZKOoxI?si=CoFlIVLz7geIphSW
(3) https://rsi.ch/s/1907248 Accordi di Oslo, la pace mancata
(4) https://www.smartweek.it/leconomia-e-una-moneta-incatenano-la-palestina-ad-israele/
(6) La popolazione libanese è estremamente variegata e comprende diversi gruppi confessionali. Lo Stato riconosce ufficialmente 18 confessioni: tra i musulmani i sunniti, gli sciiti duodecimani, ismailiti, alauiti e i drusi, tra i cristiani la Chiesa maronita, la Chiesa greco-ortodossa, la Chiesa greco-cattolica melchita, la Chiesa apostolica armena, la Chiesa armeno-cattolica, la Chiesa ortodossa siriaca, Chiesa cattolica sira, i protestanti, la Chiesa assira d’Oriente, la Chiesa cattolica caldea, la Chiesa ortodossa copta e la Chiesa latina e infine la comunità ebraica.