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Il crollo dell’Impero Americano, parte I: i dati demografici

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A cura di Markus
Il 7 Marzo 2024
23091 Views

Joseph Jordan
littoria.substack.com

Per quanto gli ideologi neo-conservatori/sionisti come Robert Kagan scrivano dell’eccezionale inevitabilità dell’ordine mondiale americano, tra la popolazione degli Stati Uniti c’è la netta sensazione che questo Paese non abbia un futuro.

Questa impressione è giustificata? Gli studenti del declino imperiale possono hanno a loro disposizione osservazioni e paralleli storici per decidere.

Certo, utilizzare lo storicismo per cercare di prevedere gli sviluppi geopolitici a breve e medio termine è una scienza imperfetta, che spesso si esprime con visioni viziate da pregiudizi o affermazioni intuitive.

Parte del problema è l’eccessiva dipendenza dalla storia antica, in particolare da Roma, come punto di riferimento per comprendere l’ascesa e la caduta degli imperi. La mancanza di dati specifici sugli sviluppi che avevano portato alla caduta di Roma ha costretto i commentatori successivi a riempire gli spazi vuoti con i prismi ideologici del loro tempo. Ad esempio, lo storico inglese del XVIII secolo Edward Gibbon aveva individuato nella decadenza comportamentale dell’élite romana il catalizzatore della sua caduta. La purezza morale individuale era, all’epoca, una vera e propria fissazione per gli inglesi protestanti come Gibbon, ma questa teoria può essere messa in discussione dalle informazioni sugli enormi eccessi morali tra i governanti romani durante il periodo della massima estensione territoriale dell’impero, nel II secolo d.C., ad esempio tra i famigerati e osceni Caligola e Nerone. Oggi hanno preso piede le narrazioni che attribuiscono la responsabilità del declino di Roma al cambiamento climatico, un’ossessione del XXI secolo.

Un confronto più diretto con la caduta dell’Unione Sovietica, dove sono disponibili informazioni dettagliate, è più utile per cercare di indagare il malessere e la sostenibilità a lungo termine dell’Impero Americano. Gli Stati Uniti del 2024 condividono diverse tendenze demografiche con l’Unione Sovietica degli anni Settanta – “l’era della stagnazione” – che, alla fine, avevano portato all’implosione della grande superpotenza eurasiatica nel 1991.

Nell’esaminare la prognosi a breve e medio termine (da 10 a 30 anni) dell’Impero Americano, lo contrapporremo anche ai suoi principali avversari: in primo luogo alla Russia e alla Cina e, in aggiunta (più avanti negli articoli), all’Iran.

L’autore sottolinea che non ha l’impressione che la Russia, la Cina o l’Iran possano sconfiggere l’Impero Americano da soli. Tutti e tre i Paesi hanno diversi vantaggi rispetto agli Stati Uniti nella loro lotta storico-mondiale contro l’unipolarismo neoliberale, ma anche svantaggi come contendenti individuali, il che suggerisce che un futuro senza Pax Americana potrebbe essere un futuro come quello precedente la Seconda Guerra Mondiale, limitato a sfere di influenza naturali, piuttosto che una ripetizione degli ambiziosi sforzi di Washington per il dominio mondiale. Se le tre potenze si coordineranno e si uniranno – come suggerisce la partnership “senza limiti” di Cina e Russia o i patti pluriennali delle due potenze con l’Iran – l’ordine mondiale liberale del dopoguerra guidato da Washington potrebbe crollare prima di quanto ci aspettiamo.

La Russia e la Cina rimangono indietro rispetto all’America su un’ampia gamma di parametri, ma è impossibile negare che stiano iniziando a recuperare mentre gli Stati Uniti si trovano in un punto di inflessione. Nel 2021, Xi Jinping aveva sottolineato questo punto nel suo discorso, affermando che “il tempo e lo slancio” sono dalla parte della Cina.

Un’osservazione logica da fare è che, in generale, la vita dei comuni cittadini russi e cinesi sta oggettivamente migliorando, mentre le cose stanno peggiorando in modo evidente in America. Già solo questo può creare divergenze nel morale nazionale durante una competizione tra grandi potenze.

I fattori economici, militari, di soft power, politici e di altro tipo che indicano il prossimo fallimento e la neutralizzazione geopolitica degli Stati Uniti e della loro ideologia sulla scena mondiale saranno analizzati in articoli futuri.

Parte I: Demografia

Uno dei primi sintomi del declino di una nazione è il crollo del benessere sociale e umano. Spesso piccoli cambiamenti nei dati relativi al benessere della popolazione sono solo la punta di un iceberg sommerso di problemi più significativi e sistematici all’interno di un popolo.

Al culmine della “stagnazione di Breznev” dell’URSS, tra la metà e la fine degli anni ’70, i demografi avevano iniziato ad avere dubbi sulla salute dell’impero, un tempo apparentemente onnipotente, dopo aver scoperto che i tassi di mortalità infantile della nazione stavano iniziando ad aumentare. Sebbene questo aumento fosse minimo – solo pochi punti percentuali – aveva interrotto un ciclo di decenni di rapidi guadagni nella sopravvivenza dei neonati sovietici dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Questo aveva lasciato perplessi gli osservatori tradizionali dell’epoca, poiché l’Unione Sovietica stava godendo di una relativa prosperità dal punto di vista finanziario, grazie al boom delle esportazioni globali di petrolio innescato dall’embargo petrolifero della Lega Araba del 1973. Sotto la guida di Leonid Brezhnev (che aveva governato dal 1964 al 1982), l’URSS aveva pianificato la propria economia fino a diventare un’entità militare pari agli Stati Uniti (soprattutto nel campo delle armi nucleari), era potente dal punto di vista industriale ed era in grado di eguagliare o guidare i suoi rivali nel mondo in vari campi all’avanguardia, come quello aerospaziale.

Tuttavia, nonostante il successo superficiale del sistema, la risorsa più importante dell’URSS, il suo popolo, aveva iniziato a mostrare segni di decadenza e immiserimento.

Oggi, negli Stati Uniti, assistiamo ad un modello simile.

Nel contesto sovietico, le minoranze dell’Asia centrale all’interno dello spazio multietnico sovietico, che avevano beneficiato di speciali privilegi economici, sociali e legali (prima dell’America, i bolscevichi dell’Unione Sovietica avevano creato la prima nazione in cui si praticava una discriminazione razziale ufficiale nei confronti dei propri cittadini a maggioranza etnica, come descritto in dettaglio nel libro di Terry Martin del 2001, The Affirmative Action Empire), erano cresciute a ritmi molto più veloci rispetto alla popolazione slava, meno fertile, durante gli anni ’60 e ’70. Nel 1979, l’etnia russa era scesa ad appena il 52% della popolazione sovietica.

Come dimostrato nel libro Bowling Alone di Robert D. Putnam del 2000, il multiculturalismo/multirazzialità è fortemente correlato all’alienazione e alla sfiducia. Come nell’URSS nel suo periodo di crisi, la composizione razziale dell’America è cambiata radicalmente negli ultimi 50 anni, con i bianchi che ora rappresentano meno del 58% della popolazione.

Oltre ai problemi nazionali creati dall’alienazione razziale e culturale, i cambiamenti demografici portano a cambiamenti nella società in generale. Le nazioni iniziano naturalmente ad assumere le caratteristiche dei Paesi da cui originano i loro nuovi abitanti, il che, nel contesto americano, significa rimanere indietro nei settori critici rispetto alle periferie del suo impero, come l’Europa occidentale. Questo è un altro punto in comune con l’URSS degli anni ’70, dove la stessa patria sovietica era afflitta da disfunzioni e gli standard di vita erano inferiori a quelli dei protettorati del Patto di Varsavia, omogenei dal punto di vista etnico/razziale, come l’Ungheria o la Germania Est. È possibile che le nazioni non bianche e non asiatiche raggiungano il successo, ma ciò richiederebbe una governance illiberale, una coesione etnoculturale e una disciplina forzata che sembrano mancare a Paesi completamente multirazziali (come l’America o il Brasile).

Prevedibilmente, non è una coincidenza che gli Stati Uniti stiano affrontando un calo del tenore di vita e un degrado sociale, anche tra la maggioranza bianca un tempo prospera, che li pone in grave svantaggio rispetto ai concorrenti geopolitici.

Nel 2022, il Center for Disease Control aveva riferito che la mortalità infantile americana era aumentata del 3% per la prima volta da decenni, passando da 5,44 morti infantili per 1.000 nati vivi dell’anno precedente a 5,60. Nel 2023 non si è visto nessun miglioramento: è stata riportata la stessa cifra.

In confronto, la mortalità infantile in Russia è ora più bassa. Nel 2023 si sono registrati 4,807 decessi ogni 1.000 nati vivi, con un calo del 3,8% rispetto al 2022. Si tratta di una notevole impresa del governo di Vladimir Putin. Nel 2003, all’inizio del regno di Putin, la Russia registrava un allarmante tasso di 16,156 morti per 1.000 nati vivi, mentre gli Stati Uniti avevano un tasso di mortalità infantile di 6,85.

Per quanto riguarda la Cina, la sua enorme popolazione è in ritardo rispetto agli Stati Uniti, con 8,4 morti ogni 1.000 nascite. Possiamo consultare la citazione di Xi Jinping sullo “slancio”. La Cina ha visto questa statistica diminuire costantemente di oltre il 3% ogni anno, mentre in America capita l’inverso, il che suggerisce che, come la Russia, [anche la Cina] supererà questo ostacolo.

Gran parte di questo aumento della mortalità infantile è correlato all’aumento della popolazione delle minoranze americane. I neri e gli amerindi, in particolare, hanno alti tassi di mortalità infantile a causa di attività insalubri come l’uso di droghe, l’alcolismo, maltrattamenti vari, oltre che per i servizi sanitari sovraccarichi o mal gestiti dalle minoranze. Allo stesso tempo, il tasso di mortalità infantile sta aumentando anche per le madri bianche, e questo fa capire che questi sintomi di deterioramento stanno danneggiando anche la comunità americana bianca.

Il peggioramento delle statistiche legate alla vita fa parte di una tendenza più ampia. Tra il 2019 e il 2023, l’aspettativa di vita negli Stati Uniti è scesa da 79 a 76 anni. Questo dato è più compatibile con le nazioni in via di sviluppo che con quelle che consideriamo avanzate. Tra gli alleati degli Stati Uniti, sviluppati e liberali, l’attuale aspettativa di vita della Germania è di 82 anni, del Regno Unito di 82, della Francia di 83 e così via.

Dopo un modesto aumento dal 2022 al 2023, l’aspettativa di vita cinese supera ora quella degli americani con 77 anni, un primato storico per la Cina. La Russia, che sta combattendo una brutale guerra in Ucraina, ha comunque registrato un aumento dell’aspettativa di vita dal 2022 al 2023: da 72 a 73 anni.

Tornando ai numeri del 2003, l’aspettativa di vita degli americani era di 77 anni, mentre quella della Cina era di 73 e quella della Russia di 65.

Se si confrontano i dati sovietici dell’epoca della stagnazione, si nota, ancora una volta, una somiglianza con gli Stati Uniti. Il Politburo aveva iniziato a preoccuparsi quando aveva scoperto che l’aspettativa di vita era improvvisamente scesa in una forma simile a quella degli Stati Uniti, da 69,5 nel 1971 a 67,9 nel 1978, un fatto divulgato tra molte polemiche durante la Perestroika e la Glasnost.

La diminuzione dell’aspettativa di vita e l’aumento della mortalità infantile in America, come nel caso dell’Unione Sovietica, sono alimentate da dall’esplosione dell’abuso di droghe, dall’obesità, dei suicidi, dai fallimenti istituzionali e da altre misure informali di nichilismo e disperazione radicate nell’anomia.

Nel 2023, [negli USA] ci sono state ben 112.000 morti per overdose, soprattutto tra i giovani.

Questo dato è superiore a quello della Russia, che si ritiene abbia un problema di droga. Durante la recente impennata di overdose nel 2021, la Russia, con meno della metà della popolazione degli Stati Uniti, aveva avuto 7.316 casi di overdose fatali, in parte causati dalla noia o dalla solitudine nel periodo COVID.

In Cina, con una popolazione di 1,4 miliardi di abitanti e con la sua storica crisi di dipendenza dall’oppio, il tasso di decessi legati alla droga è di circa 49.000 all’anno.

Nel campo dei suicidi, la Russia ha avuto a lungo la reputazione di essere leader mondiale in questa categoria, ma gli Stati Uniti l’hanno ora silenziosamente superata.

Nel 2021, la Russia aveva registrato 10,7 morti autoinflitte ogni 100.000 persone. Nello stesso anno, il tasso degli Stati Uniti era salito a 14,04 per 100.000 persone.

A titolo di confronto, nel 2000 i russi si suicidavano al ritmo di 39 ogni 100.000 persone, quindi le nuove cifre rappresentano un enorme balzo in avanti nella risoluzione del problema.

In America, stiamo facendo un sorprendente passo indietro. Nel 2000, gli americani avevano il 40% in meno di probabilità di suicidarsi, con un tasso di 10,4 per 100.000.

In Cina, il tasso di suicidi è sceso da 10,88 a 5,25 tra il 2010 e il 2021.

Anche nel mondo delle malattie mentali gravi, gli Stati Uniti stanno superando i loro rivali.

Nel 2022, circa il 5% degli americani soffriva di disturbi mentali gravi, come psicosi o schizofrenia, mentre 1 cittadino americano su 5 era in cura per forme più lievi come la depressione clinica.

In Russia, circa l’8,8% dei cittadini ha una diagnosi di depressione clinica. Solo lo 0,3% dei russi è schizofrenico. Si tratta di un altro forte calo statistico rispetto al recente passato russo.

Non sorprenderà nessuno che gli americani siano i più obesi al mondo, una co-morbilità molto importante che accelera questi problemi demografici. Non è necessario fare i conti con i numeri.

Ciò che può sorprendere alcuni, tuttavia, è che anche i cittadini dell’Unione Sovietica degli anni ’70 e ’80 erano insolitamente in sovrappeso.

I cittadini sovietici avevano iniziato ad aumentare di peso durante l’era Breznev, grazie alla maggiore disponibilità di cibo rispetto al passato.

In uno studio medico commissionato dallo Stato sovietico durante la Perestrojka, era emerso che il 30% dei cittadini era in sovrappeso e i 2/3 erano sedentari, nonostante le ampie opportunità di praticare esercizio fisico e sport. Ciò si scontrava con i vantati sforzi dell’Unione Sovietica di diventare una superpotenza atletica conosciuta a livello internazionale.

Negli anni ’70 il regime sovietico non aveva più potuto nascondere questo fatto. Per affrontare l’epidemia di obesità, il governo aveva cercato soluzioni tecnocratiche, che avevano portato alla scoperta di diete speciali e trattamenti oggi popolari, come il digiuno intermittente.

Contrariamente alla propaganda della Guerra Fredda che collegava l’obesità al capitalismo, i cittadini sovietici erano più grassi degli americani. Nel 1975, solo il 20% degli americani era considerato in sovrappeso.

I dati sovietici rilasciati durante la Glasnost e la Perestrojka negli anni ’70 e ’80 avevano anche rilevato un enorme aumento dei decessi dovuti all’alcolismo, un aumento dei decessi dovuti agli stupefacenti e un aumento dei tassi di suicidio. Questa crisi sociale aveva continuato ad intensificarsi negli anni ’80 e aveva raggiunto il suo apice sotto la presidenza di Boris Eltsin, dopo il crollo, quando l’aspettativa di vita di un uomo russo si era ridotta a soli 57 anni.

Il prerequisito per qualsiasi tentativo di gestire un impero mondiale è naturalmente il benessere e la felicità del suo popolo. Gli americani sono più obesi, drogati, alienati, malati di mente e muoiono per cause prevenibili a tassi più alti rispetto ai cittadini dei Paesi che cercano di contrastare l’ordine mondiale statunitense. È solo questione di tempo prima che questo differenziale sia reso inconfutabilmente evidente nell’equilibrio globale del potere.

Gli economisti possono indicare la crescita del PIL americano, argomento che analizzeremo in un prossimo articolo, come prova della stabilità imperiale. Ma agli economisti liberali manca un’analisi del potere, che nel regno del potere militare, tecnologico, del soft power o di altre forme di competizione internazionale, deriva dalla salute generale di un popolo, dalle sue capacità e dalla fiducia nel fatto che i suoi leader stanno migliorando la qualità della sua vita. Nell’America del 2024 tutto questo si è perso da tempo e non è più possibile ignorare la gravità della situazione.

Proprio come i russi si erano disillusi del sistema sovietico, il popolo americano (soprattutto i bianchi) ha rinunciato all’America.

Joseph Jordan

Fonte: littoria.substack.com
Link: https://littoria.substack.com/p/the-collapse-of-the-american-empire?utm_source=profile&utm_medium=reader2
19.02.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchsciotte.org

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