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Il caso Cucchi: uno scoglio per il governo

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A cura di Davide
Il 14 Ottobre 2018
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L'arresto di Roberto Savi (Uno bianca)

DI CARLO BERTANI

carlobertani.blogspot.com

Dopo tante lotte, dopo aver sopportato ogni sorta d’ingiurie, il caso Cucchi s’avvia a conclusione con (si spera) una punizione esemplare per i colpevoli. Ciò non esaurisce, né sconfessa, il comportamento dei vari attori politici della vicenda i quali, nel corso degli anni, hanno sempre teso a minimizzare la portata di quella morte, come se il “corpus” di Stefano Cucchi, giacché tossicodipendente, non appartenesse all’universale umano degli “Habeas Corpus”, come recita il noto principio giuridico inglese che data all’oramai lontano 1215, con alterne “interpretazioni”, ma presente da secoli nel Diritto degli Stati democratici.

Perché la cosa coinvolge il governo?

Perché, se da un lato c’è stato pieno appoggio ad Ilaria Cucchi – “con questo governo”, ha dichiarato – dall’altra le dichiarazioni di Salvini sembrano quelle di una persona stitica, che non ce la fa a riconoscere la realtà degli eventi. E si sforza, pur imbellettando le sue dichiarazioni di confessioni retoriche – “un’esigua minoranza dei tanti donne e uomini che vestono una divisa…” – quando un atto di coraggio sarebbe senz’altro più consono per rimediare ciò che disse in passato: “in ogni caso, io sto sempre dalla parte di Polizia e Carabinieri”.

Non voglio sobillare frizioni nel governo, né me lo auguro, però quando di mezzo c’è la vicenda – e la vita stroncata in malo modo – di una persona, bisognerebbe avere più coraggio, come quello che si dimostra nei “litigi” internazionali. Ma, domandiamoci, perché – dopo innumerevoli ammazzamenti “in divisa” mai puniti – proprio oggi si giunge ad un risultato?

Perché l’aria è cambiata? E da cosa è cambiata?

Dall’inveterato, sempre presente, andazzo italiota: è un “burino”, un “cafone”, un “pezzente”, “villano”…oggi si aggiunge “drogato”, “perduto”, “borderline”…e l’affare è fatto, ossia li possiamo ammazzare impunemente.

Non starò a raccontare le mille malefatte degli “uomini in divisa” – che non sono proprio un’esigua minoranza – e mi soffermerò un momento sul fatto più eclatante, più terribile di questa storiacce: la Uno Bianca. Perché?

Poiché quella vicenda mostra la sufficienza, la sottovalutazione, fino alla quasi complicità in quegli atti che – è bene ricordare – durarono dal 1987 al 1994: sette anni di sangue costati come una piccola “battaglia”, con un bilancio di 24 morti e 102 feriti. Nessuno s’accorse di niente di quel che capitava fra l’Emilia e la Romagna? Eppure, c’erano – sin dall’inizio – indizi che saltavano agli occhi anche ad un cieco.

Ma quando mai, nelle vicende di malavita nostrana, si nota che il calibro usato è il 5,54 Nato? E’ come metterci una firma. E nessuno se n’accorge, per ben 7 anni!

Perché vi racconto tutto questo?

Poiché i calibri consentiti dalla legge per l’uso civile sono, generalmente, il 7,62 il 6,35, il 22 (short e long range) e poco altro.

I calibri “riservati” ai militari erano invece il 9 “lungo”, il 7,62 e, oggi, il 5,56: perché questa differenza?

Per mantenere “divisi” i due mondi: quello di chi uccide per mestiere da quello di chi deve giustificare, di fronte ad un giudice, i suoi atti.

Ma, Roberto Savi possiede ben due Beretta AR 70/90, che ha avuto un po’ di difficoltà a comprare poiché la Polizia non è più una Forza Armata da molto tempo ed anche perché la Beretta non vende sul mercato civile il suo fucile mitragliatore, se non in una versione semi-automatica (cioè non può sparare a mitraglia) con soli 5 colpi nel caricatore. Questa arma era in dotazione alla Polizia, ma Roberto Savi riesce ad acquistarle come privato proprio perché è un poliziotto.

Chi acquista un’arma del genere deve riempire moduli su moduli, ed erano comunque poche le armi in circolazione di questo tipo: oggi, invece, da Gennaio 2018 è possibile acquistarla, così non ci sarà più la linea di demarcazione sancita dal calibro, fra mondo militare e mondo civile (si fa per dire…)

Potrete comprarvi un bel fucile d’assalto e…farci il tiro a segno. Con quell’affare, costruito per ammazzare persone nel modo più rapido possibile.

Perché salta l’omertà che circonda la banda? Perché qualcuno s’incazza giacché dei poliziotti rapinano le banche, ammazzando senza pietà?

No, perché commettono l’errore di uccidere dei “colleghi”, i tre Carabinieri di ronda al Pilastro.

Cosa sarà successo? I Carabinieri si saranno un po’ incazzati…e avranno minacciato d’indagare senza troppe pastoie…e allora…si fa un accordo.

Noi non indaghiamo e voi ce li prendete.

Detto fatto: un giovane magistrato di Rimini incarica due graduati (Polizia di Stato) di provata fedeltà e capacità, i quali consultano gli elenchi dei possessori di un Beretta AR 70/90 e…il “gioco” finisce. Dopo ben 7 anni.

Ultima notizia: un appartenente alla banda, Marino Occhipinti, colpevole d’omicidio, è stato scarcerato nello scorso Gennaio perché il direttore del carcere l’ha giudicato “pentito”. I parenti delle vittime hanno storto il naso, e non solo quello.

Dopo questa vicenda, e dopo Uva, Rasman, Aldrovandi…e tutti gli altri…oggi scoppia la pentola ed i Carabinieri parlano.

Pare, quasi, un percorso inverso rispetto ad altre nazioni.

Come tutti sapranno, i “bobbies” – i famosi agenti di quartiere inglesi – per decenni hanno girato disarmati. Solo un manganello. Oggi, non più: la giustificazione è il terrorismo, mentre la vera questione è un taglio di bilancio. I bobbies, quando capitava qualcosa di più di un ubriaco od una semplice lite, chiamavano via radio la squadra armata che stazionava in questura. Troppo spreco: pigliati ‘sta pistola e vai.

Ciò avveniva, in Italia, anche per i vigili urbani, che erano armati solo se ne facevano richiesta, e molti non si prendevano la responsabilità di un’arma. Ne conobbi parecchi negli anni ’70: qualcuno disarmato, altri con una piccola 6,35 in un taschino della giacca.

Poi, per “armarli” si usò un metodo tutto italiano: negli anni ’80, diedero un “bonus” mensile di 60.000 lire a chi girava armato. Chiaro che tutti si comprarono una pistola.

E scomparve, anche da noi, la separazione fra chi si dedicava a compiti d’ordine pubblico “soft” (vigili urbani) e chi invece era un “uomo con la pistola” conclamato e, dalle BR in poi, anche una mitraglietta.

Oggi, ci ritroviamo con un milione di “tutori dell’ordine” sul modello americano: la cosa stupefacente è che, ad esempio negli ospedali e nelle stazioni, il servizio viene sempre di più affidato a “vigilantes” esterni con compiti di ordine pubblico. I quali sovrintendono alla sicurezza del personale (la cosiddetta “sicurezza interna”), mentre non c’è più tutela e lavoro investigativo nei luoghi dove è più facile intercettare reati: negli ospedali, sui treni, ecc.

In parole povere, abbiamo nuovamente una “guardia pretoriana” che deve rispondere, in primis, ai suoi datori di lavoro, che non sono i cittadini, bensì il potere dominante. Nulla che non sapevamo.

Per questa ragione c’è lo spregio delle leggi: poiché si sa che, comunque, qualcuno coprirà le tue malefatte. In cambio della solita formula: “Fedeltà: pronta, cieca ed assoluta”.

Ne è un esempio lampante quello della Lunigiana (1), dove alcune caserme vissero per anni in un regime di pieno spregio delle istituzioni repubblicane, laddove dei magistrati che li indagavano si diceva: Il pm Iacopini deve morire. E male anche”.

Per queste, ed altre ragioni, è importante dare un segnale forte, del tipo:

“Per i reati di minacce, violenza e tortura è previsto, se commesso da personale dei servizi di tutela dell’ordine (Polizia, Carabinieri, Agenti di Custodia), oltre che la sospensione dal servizio ed il licenziamento se accertato il dolo, l’aumento della pena di un terzo.”

Se non riusciamo a riportare all’interno dei limiti costituzionali il personale delle Forze dell’Ordine, avremo mancato ad un preciso principio costituzionale, ossia che l’indagato non è colpevole fino all’emissione di precisi atti dell’autorità giudiziaria nei suoi confronti e, anche in quel caso, la sua incolumità personale deve essere tutelata.

Solo così la morte di Stefano Cucchi non sarà avvenuta invano: non sono d’accordo per intitolare una via a Stefano Cucchi: meglio un provvedimento legislativo, che sarà ricordato per sempre come “Legge Cucchi”. Avremo così pagato un debito, per la sua breve e tormentata vita.

Non scordiamolo mai: uno stato di diritto non può comprendere atti di giustizia al di fuori di quelli emanati da una sentenza, con tutte le riserve per l’errore umano ma, comunque, sempre meglio delle botte o delle pistole ficcate in bocca per spaventare.

Non siamo la Gestapo e non vogliamo diventarlo: chi ha orecchie per intendere, intenda, e scriva il comma che abbiamo proposto. Se ne ha il coraggio.

 

Carlo Bertani

Fonte: http://carlobertani.blogspot.com

Link: http://carlobertani.blogspot.com/2018/10/il-caso-cucchi-uno-scoglio-per-il.html

13.10.2018

(1) https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/i-carabinieri-picchiatori-il-pm-deve-morire-male/

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