I “data” sono la nostra Forza (Lavoro)

Addio alla vecchia borghesia: l'avvento del tecnofascismo

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di UDN, ComeDonChisciotte.org

Premessa

Ormai è noto a tutti che i dati sono il centro di una nuova epoca economica: un elemento che ha permesso capitalizzazioni che non hanno precedenti nella storia.

Generalmente si pensa che i dati siano costituiti semplicemente dalle informazioni che ci vengono richieste e che noi forniamo durante la nostra vita online.

Eppure non è così.

Ogni attività, ogni più piccola azione che facciamo sul web è tracciata e registrata, spesso nella nostra totale inconsapevolezza.

Ad esempio i social network possono misurare il tempo che passi su ogni singola foto, decifrare lo stato emotivo che ti suscita. Determinare quindi quali tipo di emozioni ti “triggerano” maggiormente, catturando la tua attenzione.

Dai tuoi “like” possono determinare le tuo opinioni, propensioni politiche, il tuo orientamento sessuale. Facebook, ad esempio, ha brevettato, fin dal 2014, un sistema di “rilevamento emozioni” in grado di decifrare sfumature emotive, espressioni e caratteristiche di un utente anche solo dalla foto profilo.

Non solo. Pensiamo alle smart TV che registrano tutto ciò che viene detto nelle loro vicinanze per profilare gli utenti e le loro relazioni familiari, pensiamo alle aspirapolvere smart in grado di mappare gli interni delle case, ai progetti di occhiali per la realtà aumentata che servono principalmente ad accedere ai luoghi privati degli utenti e alle loro relazioni.

Pensiamo ancora agli smartphones che hanno accesso costante alle nostre posizioni, alle nostre telecamere e ai nostri microfoni.

Ci sono volumi dedicati alle modalità di estrazioni dati, a cui si rimanda chi fosse interessato. Ed è inquietante constatare che in realtà non sappiamo neanche il livello di pervasività e capacità a cui è arrivata la tecnologia odierna.

La questione sarebbe di per sé già abbastanza preoccupante.

Eppure vi è di più.

Il business collegato ai dati non è costituito dalla loro semplice “vendita”. I giganti tecnologici non raccolgono i dati semplicemente per poterli rivendere. Anzi, tendenzialmente non ci pensano proprio a farlo.

I dati inoltre non sono veramente il punto. E su questo sono leggermente indietro i regolamenti internazionali che si concentrano unicamente sui di essi.

Quello che genera valore sono infatti i modelli predittivi basati su tali dati. I segretissimi algoritmi sviluppati e posseduti dai colossi tecnologici infatti sono in grado di estrarre informazioni preziose dai nostri input (modelli di comportamento, pattern psicologici, attaccamenti e legami familiari, vizi e punti deboli ecc…). Questo è il vero valore.

In pratica i colossi del web usano la massa dei dati estrapolati per elaborare pattern di comportamento onde poter predire ed indirizzare i nostri comportamenti, le nostre scelte le nostre emozioni e i nostri pensieri.

A che fine?

In generale, per controllo e ottimizzazione commerciale: per poter a determinare il nostro comportamento verso i fini desiderati (tendenzialmente quelli di coloro che pagano i colossi).

E questo avviene attraverso la monopolizzazione della nostra attenzione.

L’attenzione costituisce quindi il vero campo di battaglia della new economy, che è stata anche definita correttamente “attention economy”.

Questo ha tra i tanti un effetto deleterio: quello di polarizzare la popolazione su posizioni estremistiche incapaci di dialogo.

Infatti, per come sono concepiti, gli algoritmi tenderanno a catturare l’attenzione degli users (anzi, ab-users) sollecitandola con video e link che suscitano le loro emozioni.

Poiché è stato notato che le emozioni negative aumentano l’“engagement” dell’utente maggiormente rispetto a quelle positive, i news feed dei social network tendono a mostrarci contenuti in grado di suscitare la nostra rabbia, l’invidia, il disgusto…

Il tutto è concepito per creare dipendenza, catturare totalmente l’attenzione dell’utente e aumentare il tempo di utilizzo della piattaforma.

Una conseguenza è l’aumento dell’insicurezza per l’approvazione sociale (e il conseguente aumento del conformismo), soprattutto nei più giovani, ed esistono molti studi sul punto.

Un’altra conseguenza è, come detto, la polarizzazione.

Ogni utente, stimolato quotidianamente nelle proprie emozioni di base per fomentare un utilizzo bulimico delle nuove tecnologie, avrà infatti una diversa esperienza del web che tenderà ad essere plasmata sulle proprie convinzioni.

Ognuno avrà il mondo virtuale che corrisponde al proprio modello e non sarà in grado di comprendere le posizioni differenti, presentate solitamente nel peggior modo possibile.

Utenti con profilazioni simili verranno raggruppati in “clusters”, bersaglio di campagne narrative specificamente predisposte, andando a formare barricate virtuali incapaci di dialogo.

E questo lo vediamo in atto ogni giorno. Ogni giorno abbiamo davanti agli occhi un mondo sempre più intollerante, lacerato su quelle che lentamente si pongono come uniche alternative possibili: una parte progressista, fintamente etica, ma tendenzialmente intollerante verso ciò che non considera “scientifico” e  irresponsabilmente priva di ogni riferimento ai conflitti di classe e alle contraddizioni congenite del capitalismo, e una parte conservatrice, fintamente moralista e parimenti irresponsabilmente silente sui conflitti fondamentali della nostra epoca.

Semplificando abbiamo la sinistra del capitale finanziario, apolide e senza radici, e la destra del capitale industriale, nazionalista e conservatrice.

Tuttavia, dal panorama politico nessuna voce si leva contro il capitalismo e le sue contraddizioni. Il cambiamento del paradigma su cui si fonda la civiltà attuale, sembra essere scivolato fuori dall’orizzonte.

E i due fronti sono sempre più incapaci di tolleranza ed empatia, spinti proprio da una tecnologia che si fonda sull’esasperare i sentimenti negativi per aumentare l’engagement dei suoi utenti (ab-users) e sul fornire un esperienza online modellata sulla visione del mondo individuale, solidificando le posizioni e sgretolando la capacità di comprendere l’altro.

Tuttavia in questo articolo intendo prendere in esame un altro aspetto: la modifica della struttura del capitalismo.

Data come forza lavoro

In questa battaglia per ottenere la nostra attenzione, i colossi del web hanno la necessità di aumentare costantemente la fornitura di dati, in modo da migliorare continuamente gli algoritmi e la loro capacità predittiva.

Questo avviene in maniera talvolta apertamente fraudolenta.

Ad esempio, è noto il caso di Google (costato anche all’azienda qualche grattacapo) avvenuto nel 2010 nell’ambito del suo progetto Google Street View. Con la sua missione di mappatura del pianeta (“politico” dal momento che da sempre chi controlla le mappe controlla il territorio), ha mandato in quasi ogni via del globo delle macchine con telecamere altamente avanzate. Si è scoperto che insieme a questa attività di mappatura (attività, che interessando anche luoghi privati o sensibili senza alcun permesso, è di per sé già discutibile), l’azienda americana aveva installato una tecnologia in grado di penetrare le reti private wifi per estrapolare dati anche sensibili (come contenuti di email e altro). Il colosso si è limitato ad un post di scuse, ma intanto si è scoperto che l’azienda aveva intercettato dati che comprendevano: nomi, numeri di telefono, informazioni sul credito bancario, password, messaggi, trascrizioni di email e chat, dating online, pornografia, informazioni sull’usa del browser, dettagli medici, geolocalizzazione, file audio, video e fotografie.

Questa corsa all’estrazione dei dati e il valore che essi sono in grado di generare, hanno indotto qualcuno a definirli come “il nuovo oro”.

Eppure, secondo me, la definizione è viziata.

Definire i dati “oro”, li presenta come un qualcosa di naturale, qualcosa di disponibile in natura per l’estrazione (un capitale).

Invece i dati, sono prodotti “dal sudore” dell’uomo, dalle sue passioni, dai suoi interessi, dalla sua attività.

In breve, i dati non sono capitale, ma forza lavoro (labour).

Un esempio è dato dall’intelligenza artificiale con cui Google ha sviluppato il proprio traduttore. Esso è in grado di tradurre istantaneamente i siti in qualsiasi lingua. Questo traduttore ha imparato e impara quotidianamente studiando le conversazioni private dei miliardi di utenti google, le loro mail, le conversazioni ecc… .

Questo rende anche evidente il fatto che non esiste intelligenza artificiale senza “sangue” umano. L’intelligenza artificiale ottimizza l’analisi e la lettura di dati: se l’output è artificiale, l’input è sempre umano.

La distinzione tra lavoro e forza lavoro è decisiva per affrontare la situazione attuale. Partiamo dalla lingua che usiamo. In italiano abbiamo una sola parola per indicare cose diverse: l’ oggetto o merce di una produzione “alienata” o “sfruttata”, e l’attività-espressione della parte più “autentica”, “dignitosa”, in cui la persona trova la propria realizzazione.

La parola “lavoro”, deriva dal latino “labor”, che indicava propriamente il lavoro degli schiavi. Coerentemente la parola salario anche deriva dal mondo romano, in cui i soldati venivano pagati con  “sale”.

Il tedesco invece è più preciso. Marx parla di Arbeitskraft: forza lavoro. Questa parola indica il processo o l’operazione che porta alla produzione di un oggetto, non il risultato di un lavoro (cioè Werk, in tedesco, o work in inglese). La forza lavoro è l’attività di una produzione effettiva in corso, considerata nell’atto di dirigersi verso uno scopo che non ha ancora raggiunto. L’atto della produzione è un momento del divenire, non la sua principale finalità. Arbeitskraft si riferisce a ciò che è invisibile, il processo, ma non lo riduce a un oggetto: il lavoro-merce.

Per usare le parole di Marx, “per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d’un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere”.

Questa è la forza lavoro messa all’opera, non misurabile nei termini di “posti di lavoro”, ma come relazioni, condivisioni, produzione di contenuti.

All’epoca di marx tale forza,era una forza che si manifestava innanzitutto come prodotto: la merce. Attraverso il processo produttivo capitalista essa andava a formare il plusvalore per poi espropriarlo e trasformarlo in capitale.

Se la forza lavoro,  (lavoro come forza), era il “bene” alienato dal proletario, nell’epoca industriale l’alienazione avveniva attraverso il processo di fabbrica e si manifestava come lavoro (lavoro come merce).

Marx aveva definito il capitalismo come il passaggio ad un economia dominata dal valore di scambio (sopra quello d’uso).

Per farlo si era servito di una formula:l’economia pre-capitalistica era dominata dal paradigma M – D – M, dove D sta per denaro ed M sta per merce. Il produttore della merce (proprietario anche dei mezzi di produzione) scambiava il proprio lavoro-prodotto con del denaro, al fine di comprare nuova merce per soddisfare i propri bisogni.

Nel capitalismo il paradigma diventa D – M – D1: il capitalista investe del denaro nella produzione della merce che serve unicamente ad accrescere il valore del capitale iniziale, dando vita ad un processo infinito di valorizzazione del valore, con la tendenza intrinseca a trasformare tutto in merce. La merce diventa un rapporto sociale.

Secondo l’analisi che abbiamo fatto, allora, il nuovo paradigma diventa D –DATA –D1: sono i dati, tramite la loro estrazione e utilizzo, che accrescono il capitale.

Non solo. La lotta per espandere costantemente le fonti disponibili di dati sta portando l’estrapolazione ad uscire dal contesto “online” per invadere anche le nostre vite “reali”.

E’ il cosiddetto Internet of Things, l’internet delle cose, uno scenario in cui la connettività (e quindi l’estrapolazione e la utilizzazione dei dati) sarà più pervasiva anche se meno evidente.  E’ chiaro che la tecnologia 5G, sulla quale evidentemente il popolo non può esprimere preoccupazioni o prendere decisioni (lo deve accettare come dato di fatto), è funzionale a tale fondamentale passaggio.

Tale passaggio è cruciale perché permetterà di rendere qualsiasi nostra attività, un atto da cui estrapolare dati idonei alla nostra profilazione, sempre più precisa sempre più invasiva.

Da quello che mangiamo, al modo in cui dormiamo, ai rifiuti che facciamo. Tutto.

La formula pertanto si appresta a diventare : D – E – D1, dove E sta per esperienza.

L’esperienza umana sarà la catena che producendo nuovo valore, aumenterà la stretta intorno ai polsi dell’uomo, innescando nuovo sfruttamento. Ogni azione disumanizzerà l’uomo, affinando la macchina in grado di predire i suoi comportamenti, i suoi pensieri e le sue emozioni e in grado persino di modificarli a piacimento dei detentori di tali tecnologie.

In questo passaggio cambia nuovamente lo status (i capitalisti sarebbero felici di tale definizione) dello sfruttato. Con la rivoluzione industriale era diventato operaio, con il capitalismo di massa consumatore, ora diviene “utente”, poiché è il suo utilizzo dei servizi tecnologici a determinare il suo sfruttamento.

Universalizzazione proletariato

Per questo motivo lo sfruttamento è diventato totalitario: esso include ogni ambito della nostra vita.

Secondo Marx infatti, “ la forza-lavoro si realizza soltanto per mezzo della sua estrinsecazione, si attua soltanto nel lavoro”. Oggi tale estrinsecazione si attua in ogni nostra azione, dalla quale viene estrapolata una quantità crescente di “data”, che viene usata per oliare l’intelligenza artificiale che tramite algoritmi ci profila  per una migliora resa della campagne pubblicitarie targetizzate e per estrapolare surplus comportamentale al fine di plasmare le nostre emozioni e i nostri comportamenti.

In questa fase il capitalismo tende a rassomigliare allo sfruttamento precapitalistico: il proletariato viene sfruttato ed espropriato della propria forza lavoro senza alcun corrispettivo e il cliente del capitale non è più la massa (il lavoratore stesso), ma altri imprenditori, a cui vendere la profilazione degli utenti. Lo sfruttato si ritrova a dare sangue e vita ad un processo da cui è escluso.

Poiché i dati estrapolati appartengono all’intero genere umano (dagli infanti e dai bambini, con le nuove generazioni di giochi, agli adolescenti, tramite i social media, dagli adulti agli anziani, con i nuovi dispositivi per la salute) il proletariato comprende ogni individuo. Con l’Internet of  Things, qualunque attività, da chiunque posta in essere, sarà utilizzata per la profilazione, a prescindere dall’età.

Per questo, il proletariato si è universalizzato, tornando contemporaneamente ad una situazione di sfruttamento quasi feudale.

L’appello di Marx al proletariato era un appello ai lavoratori, oggi l’appello andrebbe rivolto ad ogni individuo sul pianeta.

Poiché gli sfruttati sono quasi il 100% della popolazione, servono metodi più efficaci di controllo. In tale ottica forse dovrebbero anche essere lette le potenzialità sviluppate dalla tecnologia in grado di modificare oltre che predire i comportamenti umani. Con in più il fatto che a poter attuare forme di condizionamento e controllo siano società private garantisce loro immunità da qualsiasi responsabilità politica e verifica democratica.

Sul tema ci sarebbe molto altro da dire. Questi non sono che spunti e spero possano offrire materiale per portare avanti un dialogo su questi argomenti.

Conclusioni

Per concludere vorrei indicare alcune delle conseguenze più evidenti di questo processo:

  1. il salario. In principio Marx aveva descritto il salario come il corrispettivo per l’alienazione della forza lavoro, in grado unicamente di sopperire alle necessità di base del lavoratore. Con la produzione di massa, poiché il lavoratore diventava anche destinatario della merce (trasformandosi in consumatore), il salario medio ha visto un incremento, dovuto al fatto che oltre alla mera sopravvivenza esso doveva garantire l’assorbimento di parte della produzione capitalistica. Oggi il lavoro non è più necessario allo sfruttamento. Poiché lo sfruttamento della forza lavoro avviene tramite l’estrazione di dati, il lavoro non è più necessario (tra l’altro sostituito in buona parte e sempre di più dalle macchine). Pertanto si modifica il concetto di salario: il salario non è più il corrispettivo per l’alienazione della forza lavoro. Questa, nella forma dei dati, viene già estratta senza corrispettivo (esempio del traduttore). Il salario serve solamente come innesco della produzione, attività in realtà propedeutica a nuova estrapolazione di dati. Il salario pertanto diviene “reddito di cittadinanza”, reddito universale” o negli altri modi in cui i capitalisti e i loro sottoposti amano chiamarlo.
  2. Lo sviluppo della tecnologia industriale permette la cosiddetta produzione “on demand”, che evita crisi di sovrapproduzione (oltre che costi di magazzino). Si pensi al servizio di Amazon che permette la stampa di un libro al momento dell’acquisto, o alla produzione delle automobili con i tempi di attesa dovuti al fatto che esse vengono materialmente prodotte a partire dal momento dell’acquisto. In questo senso è anche cambiata la pubblicità: sempre minore importanza hanno quei messaggi pubblicitari rivolti ad un pubblico generalista (spot televisivi e radiofonici ed esempio). La pubblicità è sempre più targetizzata sull’utente. Questo ovviamente induce anche un cambiamento nei media tradizionali: si pensi alla crisi della tv, soppiantata dai servizi streaming, che targettizzano i contenuti ( e le pubblicità) sugli utenti. La produzione ha smesso di essere di massa (perché ha smesso di essere di massa anche il consumo) e la produzione di valore si è spostata per così dire ad una fase inter-produttiva ( è sia prima della produzione, che durante il consumo, che successiva al godimento di esso). Poiché ogni attività umana è in grado di generare valore (e quindi capitale) tramite la sua idoneità a generare dati, il capitalismo può ripulire la propria immagine. Allora possiamo capire il meccanismo dietro al capitalismo dal volto buono, all’attenzione per l’ambiente e la sostenibilità. Il capitalismo conosce la nostra propensione al risparmio, quanto siamo disposti a pagare per ogni prodotto ecc… , addirittura esistono metodi per far dipendere il prezzo di acquisto dalla profilazione o dai tempi di acquisto ecc… L’abbattimento dei costi di produzione attraverso la produzione di massa non è più necessaria e pertanto si possono fare concessioni sul tema, visto che, oltretutto, militarizzare la produzione attraverso le fabbriche non è più necessario: non è più la fabbrica il luogo in cui si attua lo sfruttamento capitalistico. La produzione può quindi essere sostenibile per chi se lo può permettere: coloro che hanno già fatto gli investimenti tecnologici per abbattere gli altri elementi dei costi di produzione (tra cui principalmente la forza lavoro umana)
  3. L’abbandono del contante ( la questione non è più se, ma quando) non serve tanto a controllare gli spostamenti umani ( cosa già in atto perfettamente tramite un qualsiasi device tecnologico), quanto ad assolutizzare la profilazione degli utenti tramite algoritmi che sviscerano le loro propensioni all’acquisto (i modi, i tempi, i prodotti ecc…). Serve inoltre a far dipendere la totalità del consumo dalle piattaforme profilanti (permettendo un controllo sociale su cosa può essere acquistato e da chi: in breve, se “non sei nel sistema non mangi”).
  4. Dopo un epoca in cui il capitalismo, impegnato in una lotta ideologica contro il comunismo, ha dovuto fare concessioni al popolo, per contrastare il sogno egualitario comunista con il benessere individuale garantito dalla società liberale, da vent’anni a questa parte il capitalismo si sta riprendendo quello che ha concesso: tramite la cosiddetta austerità si sta riprendendo il risparmio privato che ha elargito nel dopoguerra, in un’ottica di “plebizzazione” integrale. Tutta la piccola-media imprenditoria, che ha potuto svilupparsi proprio grazie alla spesa pubblica e al risparmio privato (trasformato in piccolo capitale), ora è destinata ad essere spazzata via. La democrazia parlamentare era il sistema di gestione del potere della classe borghese tradizionale e poiché tale classe è già sulla via dell’estinzione, si assiste ad un cambio politico nelle forme di esercizio del potere. La democrazia viene smantellata in quasi tutto il mondo a favore dei comitati tecnici, dei governi tecnici: in sistemi in cui è normale che siano i governi a fare le leggi, in barba al principio della separazione dei poteri (in questo senso l’impianto europeo era pionieristico). I comitati tecnici non sono eletti ma nominati dalla classe dominante: non hanno rappresentatività  e quindi responsabilità politica. I politici, che costituivano gli amministratori del capitale, vengono gentilmente messi da parte a favore dei tecnici e, con lo zelo dei sottoposti, si accingono a farlo senza nemmeno opporre resistenza. Con la politica dell’emergenza costante si sottrae terreno alla rappresentatività e alle libertà costituzionali e viene fomentata l’intolleranza verso le opinioni avverse. La modernità (il tempo piatto dell’emergenza costante) non ha tempo per il dialogo, il confronto e le lungaggini delle democrazie. In poche parole: le imperfette democrazie erano appannaggio di un epoca in cui la classe dominante era la borghesia industriale. Con l’avvento del nuovo capitalismo tecnologico la nuova classe dominante, sta spazzando via la vecchia classe borghese e imponendo al mondo la propria struttura di potere: il tecno-fascismo ad emergenza variabile.

CHE FARE?

Da quanto scritto fin qui, ne consegue il fatto che oggi, la prima forma di resistenza al capitalismo, dovrebbe essere l’abbandono dei social network e dei servizi digitali (perlomeno di quelli predisposti dai grandi colossi).

Per intenderci, non può esistere il gruppo facebook  “anticapitalista” o “antisistema”. Non ha alcun senso, neanche nell’ottica: “serve per farci sentire, per organizzarci. Poi agiamo nelle piazze”. Non funziona così.

Il fronte di resistenza deve trovare nuovi modi di comunicare, di organizzarsi e di informarsi. Altrimenti lo farà sempre sul campo di battaglia predisposto dall’avversario. Aumentando lo sfruttamento, il controllo e la polarizzazione.

Inoltre è indispensabile riflettere sul fatto che l’appropriazione del capitale da parte del proletariato, prevista ed auspicata da Marx, debba passare oggi attraverso l’appropriazione da parte del popolo delle tecnologie, degli algoritmi e dei propri dati. Non basta il controllo sui dati, serve anche il controllo sugli algoritmi che utilizzano tali dati: lo sviluppo del campo che è stato definito “algoretica“.

Non è più (solo) una battaglia per la dignità del lavoro: ma per la dignità e l’autedeterminazione delle nostre vite.

Tuttavia, spero che questo capitolo si possa scrivere insieme, incontrandosi realmente nelle piazze, nelle case, fuori dai perversi circuiti della realtà virtuale.

di UDN, ComeDonChisciotte.org

BIBLIOGRAFIA

“Il capitale”, Karl Marx

“Il manifesto del partito Comunista”, Karl Marx e Friedrich Engels

“Il capitalismo della sorveglianza”, Shoshana Zuboff

10 ragioni per cancellare subiti i tuoi account social”,  Jaron Lanier

Il digital single market e i cloud services”, autori vari

“Radical Markets”, Eric A. Posner

“Realtà sintetica“, Paolo Benanti

“Oracoli. Tra algoretica e algocrazia”, Paolo Benanti

“Violazioni della privacy e sanzioni amministrative pecuniarie”, A. Biasiotti e A. Caiazza

ALTRE FONTI

“The social Dilemma”, documentario di J. Orlowsky

14.09.2021

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