Introduzione di Matteo Parigi, caposervizio cultura di ComeDonChisciotte.org
Qual è la differenza, se v’è, tra poesia e filosofia? Già Platone considerava le due strade separate, idiosincratiche. Omero e Platone, entrambi profeti di due mondi paralleli che si incontrano solamente per epoca e geografia, la Grecia antica. Da una parte la cultura poetica-mitologica e dall’altra quella filosofica-razionale. Heidegger dedicò un intero corso alla questione: «Che cosa è il pensare? Possiamo escogitare liberamente la risposta a questa domanda? Che cosa è poetare? Possiamo immaginarne liberamente la risposta? Se procedessimo così, non potremmo che cadere subito vittima di un arbitrio infondato. Ma se non è ammesso l’arbitrio, dov’è allora una misura con cui misurare l’essenza del pensare e l’essenza del poetare? Se qui è data una misura, chi la dà?». Eppure, non mancano certo gli esempi di sintesi, anime e momenti di incidenza. Già i medievali, nonché gli umanisti e i rinascimentali diedero esempio di unione tra motivi filosofici e stili ricercati ispirati dagli studi classici: basti pensare ai nostri Dante, Petrarca, Alberti ecc. Più vicino a noi, Nietzsche concluse l’Ottocento lasciandoci una delle più belle sintesi di filosofia poetica, tanto che è largamente considerato il filofo-poeta per antonomasia. Sartre, Ricoeur, Camus tra i francesi. Non mancano nemmeno gli esempi di “poesia filosofica”: basti pensare al nostro Leopardi, o ai tedeschi Holderlin, Novalis, gli inglesi Milton, Blake e soprattutto Shakespeare.
Nell’odierna epoca della distopia tecnologica ritorna più che mai necessario fare filosofia e poesia riappacificate dall’obiettivo di risollevare l’umanismo più sacro dal dominio dei dati, della biopolitica, del totalitarismo tecnologico. L’inflazione informativa, l’eccesso di logocentrismo digitale va sfuggito attarverso il “ritorno al bosco”, là dove la verità, quella ultima, quella suprema, è protetta dalla selva che nell’oscurità apparente delle sue creature, come il parco tecno-trans-umano delle nostre giungle urbane, riscopre l’essenziale, la luce che si dirada nella natura e la preserva come uno scrigno nasconde ai più il suo tesoro.
Così è la poesia di Raffaele Varvara, in arte Curante Raffaele, che condivide coi lettori i suoi scritti poetico-filosofici affinché in poche parole l’anima di tutti noi trovi rinnovato respiro, esca dalla gabbia dello spazio-tempo imposto e ri-concepisca nuova vita, specchio dell’imponderabile provvidenziale.
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INTELLIGENZA ORIGINALE
«Al dilagare dell’ intelligenza artificiale, aneliamo ad affermare il valore dell’intelligenza originale come il recupero ab-origine del significato di intelligenza, per rilanciarlo a nuove frequenze vibrazionali.
Intelligenza come intel-ligere, leggere dentro le trame del caos, preludio del trapasso da un vecchio a un nuovo ciclo della storia.
È QUI ammettiamo la fine del controllo apollineo Einsteiniano e ci apriamo ad abitare l’ avvento nella storia del caos sistemico dionisiaco, Plankiano dove saltano gli schemi di controllo, la materia non esiste, tutto dipende dalla risonanza con cui incarni un disegno divino in un percorso perfetto, tinto di infinite probabilità.
È QUI si arrende anche la più subdola delle macchine»Coautore Curante Raffaele