Hoka hey, è un buon giorno per morire Renzi !

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DI ALESSANDRO GUARDAMAGNA

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La parabola di Matteo Renzi, colui che avrebbe dovuto essere il “capitano della nuova sinistra”, quella che avrebbe posto fine agli intrallazzi e agli “alibi” del sistema, mostra parallelismi singolari e un po’ inquietanti con quella del generale George Armstrong Custer, comandante del 7° cavalleggeri alla battaglia del Little Big Horn.

All’epoca della guerra civile americana l’allora sconosciuto Custer divenne in breve tempo uno dei più famosi comandanti di brigata e a soli 23 anni fu promosso generale, il più giovane dell’esercito dell’Unione, grazie anche all’appoggio datogli dai comandanti Sheridan e Pleasonton. Un po’ come Renzi che di colpo emerge come l’astro nascente del PD, il Rottamatore che voleva sbarazzarsi di una classe politica di dinosauri e ambiva a guidare un’intera generazione di Italiani fuori dalla crisi, senza però, a differenza di Custer che la pelle la rischiò davvero sui campi di battaglia a Gettysburg ed Appomattox, aver mai fatto un accidente a parte farsi condannare in primo grado nel 2011 dalla Corte dei conti per danno erariale pari a due milioni di euro – sarà assolto in appello 4 anni dopo perché incapace di intendere, a quanto stabilisce la sentenza.

Pare spendesse un po’ troppo liberamente, mentre altrettanto liberamente assumeva amici nel periodo in cui guidava la provincia di Firenze. Parlava di etica del lavoro, ma nel 2012 partecipò ai lavori comunali 8 volte su 45 e nel 2013 a 7 su 17. Analogamente parlava di decoro e tutela dei beni pubblici, ma nel 2013 noleggiò il Ponte Vecchio di Firenze a Luca Cordero di Montezemolo per una festa privata, e dei 120.000 euro dell’affitto alla fine il comune ne incassò solo 2.489. E gli altri? Dichiarava di non voler fare il segretario Matteo Renzi, ma poi si è candidato. Rifiuta la corruzione – ci mancherebbe che dichiarasse il contrario! – e arriva a proporre il reato di traffico di influenze, ma nel suo programma non è stato fatto cenno di eliminare le leggi ad personam.

Attenzione quindi ad essere troppo fiscali nel cercare coincidenze insolite, perché se qualcuno spera di trovare in Custer un comportamento analogo a quello di Renzi che andò da Visco, come ha confermato lo stesso governatore, per perorargli la causa di Banca Etruria e lui manco gli rispose, allora rimarrà deluso perché non lo troverà!

Dopo esser stato celebrato dalla stampa durante la guerra, Custer entra in un periodo di oblio per alcuni anni in cui va incontro a crisi finanziarie personali e scandali, un po’ come Renzi che da fine 2016, da quando ha perso il referendum ed è sceso dalla sella per lasciarla a Gentiloni, con Mariele continua a beccare capocciate tra banche, intercettazioni con babbiminkia e raccomandazioni malfatte.

Poiché ad ogni tonfo fa di regola seguito un’ascesa, anche Custer si riprese tornando alla ribalta all’inizio nel 1874 guidando una spedizione alla scoperta dell’oro nelle Colline Nere, e aprendo la famigerata “pista dei ladri”. Da mesi in vista delle prossime elezioni di Marzo Renzi promette di tornare alla grande per risolvere i “problemi del paese”, mantra atavico che viene ripetuto con cieca fissità dal dopoguerra da politici di destra, sinistra, centro e ancora bisogna capire cosa voglia dire – probabilmente niente.

Nel caso di Renzi poi la cosa si complica perché non è chiaro se i problemi a cui fa riferimento siano quelli dello stato Italiano, o di Rignano dove risiede. Comunque le sue promesse ricordano un po’ quelle di Custer che dichiarava alla stampa di poter risolvere il “problema indiano” alla vigilia di quella che fu la spedizione contro gli indiani delle pianure nel 1876. Doveva essere l’anno in cui i pellerossa ostili che ancora vivevano tra Wyoming e Montana sarebbero stati ricondotti nelle riserve o spazzati via, aprendo finalmente il paese allo sfruttamento delle risorse dell’Ovest e all’immigrazione. A parte le risorse mancanti in Italia perché se le sono fottute allegramente governi cattocomunismi in decenni di tangentopoli varie, anche Renzi ha voluto aprire il paese all’immigrazione, con risultati che in quanto a sviluppo e sicurezza sono sotto gli occhi di tutti.

George Armstrong Custer

Torniamo ora al 1876, anno in cui Custer era solito affermare che con il suo 7° cavalleggeri avrebbe potuto spazzare via tutti gli indiani delle pianure. Quando nel pomeriggio del 25 Giugno 1876 egli condusse le proprie truppe nella valle del fiume Little big Horn, senza attendere l’arrivo delle colonne di supporto, non conosceva l’esatto numero di nemici che lì si trovavano, seppur ripetutamente avvertito dalle guide del pericolo che stava correndo. Non aveva idea che stava andando verso un villaggio che riuniva non meno di 7.000 persone provenienti da numerose tribù della nazione Sioux – Hunkpapa, Sans Arc, Brulé, Oglala, Minneconjou, e Santee – che avevano iniziato ad aggregarsi ai Cheyenne ed Arapaho a partire dalla primavera precedente.

Il 7° stava effettivamente per attaccare la più grande concentrazione di indiani mai vista sulle pianure dell’Ovest americano fino a quel momento. Di quel totale, circa un terzo era composto da uomini o giovani in grado di maneggiare le armi, e questo significava che, a sua insaputa, Custer stava per condurre i suoi 645 soldati, già stanchi per le recenti marce, contro un avversario che ne contava almeno 2.000, in uno scontro che sarebbe stato ricordato come il peggior disastro della storia militare americana.

Ignaro del terreno che lo separava dal guado in prossimità del villaggio, Custer divise il 7° in tre colonne per piombare sul nemico da più parti e prenderlo di sorpresa. Solo in un secondo tempo, resosi conto di aver inviato le compagnie del capitano Benteen troppo lontano dall’area dello scontro, chiamò il trombettiere della compagnia H, il ventitreenne Giovanni Martini, e gli ordinò di trovare Benteen. Anni dopo Martini ricordava ancora quando il comandante gli disse “Tornate indietro, dite al capitano Benteen di correre qua, ditegli che abbiamo trovato un grosso villaggio. Ditegli di venire e di portare le munizioni. Vedete di fare più in fretta che potete e ditegli di sbrigarsi. Avete capito bene?”. Martini annuì, fece voltare il cavallo e si congedò, ma mentre se ne andava il tenente Cooke, temendo che il ragazzo italiano che era negli Stati Uniti da soli due anni potesse non aver capito bene o dimenticasse qualcosa, lo fermò e trascrisse l’ordine su un foglietto. Su quel foglio stropicciato è ancora possibile leggere le parole che Cooke scrisse in fretta: “Benteen vieni. Trovato grande villaggio. Fai in fretta. Porta le munizioni”, con l’ultima frase ripetuta due volte.

Giovanni Martini

Martini s’infilò il pezzo di carta nel guanto, e continuando a percorrere a ritroso il sentiero vide le cinque compagnie di Custer che entravano in un canalone che conduceva sulla sinistra verso il fiume. Quell’occhiata gettata ai suoi compagni mentre si allontanava rimase l’ultimo sguardo della storia su Custer ed i suoi 215 cavalleggeri.

Quanto avvenne al comando di Custer dopo che Martini fu spedito a cercare Benteen fu ricostruito dalla testimonianze dei guerrieri indiani, poiché nessuno di coloro che ne facevano parte rimase in vita. Custer si era avvicinato al Little Bighorn procedendo in direzione nord fino a raggiungere una gola che piegava verso il fiume e che la truppa doveva ora percorrere per piombare sul villaggio. Entrate nella gola, le compagnie di testa si fermarono improvvisamente. Non è dato sapere quanto avanzarono – se raggiunsero il fiume oppure no – e in termini concreti il saperlo, sebbene costituisca curiosità storica, rimane irrilevante. Quello che è certo è che non riuscirono ad attraversarlo perché di fronte a loro, o nei pressi del guado o addirittura poco dopo aver imboccato il canalone, si materializzò una massa di nemici urlanti a sbarrargli la strada.

Circa un migliaio di indiani bloccarono l’avanguardia delle cinque compagnie del 7° che, dietro ordine di Custer, dovettero bruscamente ripiegare. Colto di sorpresa e con il suo piano andato in fumo, Custer si apprestò a fare la cosa che in quelle circostanze drammatiche gli apparve più logica e che offriva militarmente maggiori vantaggi. Ordinò che i soldati facessero dietro-front e si dirigessero il più velocemente possibile verso le alture che stavano sulla sinistra, la più elevata delle quali gli avrebbe permesso di trincerarsi nell’attesa che arrivassero i rinforzi di Benteen o Gibbon, atteso per il giorno dopo.

Commemorazione del Monumento a Bighorn del 1926, che doveva stabilire un memoriale indiano al Little Bighorn. Si evitò accuratamente di nominare il generale “Custer” ovunque.

Alle loro spalle e dalle colline attorno bande di indiani inseguivano la colonna che ripiegava in ordine sparso con la compagnia del tenente James Calhoun che chiudeva la fila. Ogni tanto un colpo abbatteva un cavallo o un soldato, ma i ranghi delle compagnie del 7°, che formavano almeno tre gruppi, si mantennero sostanzialmente compatti.  Solo di fronte a loro, in direzione del colle più alto, non si vedevano nemici e lì Custer diresse i suoi uomini. Questa fu la sua ultima decisione fatale, seppur quella che probabilmente prese poiché obbligato dalle circostanze.

A sua insaputa il capo Oglala Cavallo Pazzo con un altro migliaio di guerrieri aveva guadato il fiume più a valle e stava compiendo un ampio giro per tagliare la via di fuga ai soldati. Ora, indirizzato dagli spari, dalla polvere che si levava dalle alture e dalle grida, il capo indiano capì molto presto dove si stavano dirigendo i bianchi e vi puntò lui stesso provenendo dalla direzione opposta. La cavalcata degli squadroni di Custer durò poco, finché gli uomini arrivarono ai piedi del colle che iniziarono a risalire, i più a cavallo, altri, lasciate andare le cavalcature, a piedi, e allo stesso tempo mantenendo un volume di fuoco sufficiente per tenere lontano i guerrieri che li pressavano.

Crazy Horse

Questi ultimi, lasciati i cavalli, strisciavano fra l’erba, bersagliando i soldati da lontano, o si scagliavano a gruppi contro di loro per scompaginarne le file. I soldati, stremati da giorni di marcia, ed ora incalzati ferocemente nella polvere e nel caldo soffocante da un esorbitante numero di nemici, riuscirono comunque a tenere la propria posizione e fermarono diverse cariche degli indiani.

Raggruppati per compagnie, formavano una linea continua di alcune centinaia di metri. Con le spalle rivolte alla cima sparavano verso il basso e i fianchi del colle contro avversari che non desistevano, mentre arrancavano lungo il pendio cercando di arrivare alla vetta che rappresentava la salvezza. Fu poco dopo aver iniziato la salita che i Sioux di Cavallo Pazzo comparvero sulla cima dell’altura che Custer ed i suoi soldati speravano di raggiungere. Gli indiani, sicuri di quanto avrebbero trovato dall’altro lato del colle, devono aver fermato istintivamente i cavalli per permettere a questi di orientarsi. Sotto di loro, a poche decine di metri di distanza nel punto più vicino, si trovavano poco più di 200 cavalleggeri americani che combattevano disperatamente cercando di risalire il pendio.

E’ facile immaginare lo sgomento degli uomini di Custer quando repentinamente videro apparire anche sul terreno soprastante una schiera di uomini seminudi, armati e a cavallo, ornati, insieme alle proprie cavalcature, di penne e scalpi e sui cui corpi risaltavano sgargianti colori di guerra in linee spezzate e risplendevano ornamenti di metallo; erano rimasti intrappolati su due lati da 2.500 guerrieri Sioux e Cheyenne, dieci volte il loro numero. Dopo aver atteso pochi secondi mentre i loro ranghi sulla sommità si infittivano, i guerrieri levarono archi, frecce, lance e fucili, e, lanciando una serie di urli che riempirono l’aria, si precipitarono giù in massa caricando i soldati.

Ogni sembianza di ordine presto si disintegrò ed il combattimento si trasformò pressoché ovunque in una miriade di lotte corpo a corpo. Gli indiani saettavano in tutte le direzioni scagliandosi addosso ai soldati, che calpestavano coi cavalli e colpivano a distanza ravvicinata per poi finirli a colpi di mazza o tomahawk. Lo scenario assunse contorni spaventosi e i momenti finali lasciarono una traccia profonda nella memoria di molti guerrieri.

Il giovane Orso in Piedi ricordò come gli indiani risalirono dal basso e mentre si arrampicavano “tutti su per il colle… l’aria si rabbuiò di polvere e di fumo. Vedevo i guerrieri che mi volavano intorno come ombre, ed il rumore di tutti quegli spari e zoccoli di cavalli e urli era così forte… era come un brutto sogno”. Dove le linee si sfaldarono i sopravvissuti si unirono ai gruppi di coloro che ancora resistevano, per pochi minuti, mentre sotto i loro occhi i propri compagni venivano sterminati.

Alcuni uomini lottarono finché non furono sopraffatti dai nemici, mentre altri presi dal panico gettarono via le armi cercando di arrendersi, inutilmente, o si suicidarono. In almeno un punto gli indiani turbinarono attorno ai soldati cavalcando in cerchio e sparando da sotto il collo dell’animale. Le testimonianze indiane sembrano concordare sul fatto che sul crinale nei pressi della sommità, protetti dalla carcasse di cavalli abbattuti, un gruppo di soldati lottò disperatamente, finché anche loro non furono annientati.

Una dozzina di cavalleggeri tentò di salvarsi fuggendo verso un burrone, ma furono tutti uccisi. Dopo circa mezz’ora il combattimento era finito ed il comando di Custer era stato distrutto fino all’ultimo uomo. Con Custer quel giorno caddero 215 soldati, fra i quali vi erano due suoi fratelli, Tom e Boston, e il nipote diciottenne Autie Reed. Il tenente Calhoun, suo cognato giaceva poco distante dal colle dove verrà rinvenuto il cadavere di Custer. Non è dato sapere come morì, ma i resoconti indiani parlano a più riprese del coraggio dimostrato dagli ufficiali del 7°, che continuarono a incitare gli uomini e ad impartire ordini per tutto il combattimento. E’ verosimile ritenere che Custer abbia mantenuto un comportamento analogo, guidando i suoi uomini con l’esempio come aveva sempre fatto, fino alla fine.

Non sappiamo come Renzi guiderà il PD alle prossime elezioni, se aspetterà l’arrivo dei rinforzi promessi da B., oppure caricherà da solo a testa bassa fidandosi unicamente dei suoi fedelissimi e custodi del cerchio magico gigliato, una congrega che ricorda un po’ alla lontana la cricca di parenti e amici che Custer aveva radunato attorno a se nel 7°.

Negli ultimi anni è stato impressionante vedere l’ascesa al potere della famigliola di Rignano, guidata da Matteo, una vera macchina da guerra che, nonostante la pochezza di contenuti che mal padroneggia ed esprime dicendo tutto ed il suo contrario, ha mietuto voti e proseliti, in questo aiutato da media che gli hanno dato il facing sugli scaffali delle testate nazionali; come a dire, “E’ l’unico prodotto che il sistema ha. Poi il contenuto è plastica vuota, ma intanto lo compri!”.

Le sue “doti” accertate sono l’emblema delle BMP – Bad Manufacturing Practices – cattive pratiche di fabbricazione; comportamenti basati su superficialità, raccomandazioni, menzogne, paraculismo ed incapacità, la stessa che ha portato l’Italia ad avere un debito astronomico, salari da fame, e un declino sociale e culturale devastante.

Ha davvero schifato il fatto di essersi fatti rappresentare, dopo vent’anni di circo politico guidato da pagliacci, cadaveri ambulanti e nipoti di amministratori Fininvest, da uno come lui. L’augurio è che Renzi, magari pronto a scendere in campo a sbaragliare da solo tutti i nemici, fidandosi ciecamente delle proprie forze come Custer al Little Big Horn, butti anche se stesso nel cumulo dei rottami, facendo così finalmente qualcosa di veramente nuovo, ma visto che la coerenza non sembra essere il suo forte probabilmente in questo si dovrà aiutarlo.

 

Alessandro Guardamagna

 

Riferimenti

Benteen, Frederick. Testimonianza, 13 Gennaio-13 Febbraio 1979, Proceedings of a Court of Inquiry in the Case of Major Marcus A. Reno Concerning His Conduct at the Battle of the Little Bighorn River, June 25-26, 1876; consultabile al sito http://www.loc.gov/rr/frd/Military_Law/Reno_court_inquiry.html; accesso avvenuto il 28 Gennaio 2016.

Cavallo Rosso, The Battle of Little Bighorn An Eyewitness Account by the Lakota Chief Red Horse recorded in pictographs and text at the Cheyenne River Reservation, 1881; consultabile al sito http://www.pbs.org/weta/thewest/resources/archives/six/bighorn.htm ; accesso avvenuto il 5 Gennaio 2016.

Martini, Jonh. John Martin’s Story of the Battle; consultabile al sito http://www.astonisher.com/archives/museum/john_martin_little_big_horn.html; accesso avvenuto il 25 Gennaio 2016.

Ambrose, Stephen E. Cavallo Pazzo e Custer. Tradotto in Italiano da Anna Nencioni. Milano, 1978.

Colimore, Edward. Grim Facts Of Custer’s Last Stand Revelations From The Remains Of Battle, June 22, 1986; consultabile al sito http://articles.philly.com/1986-06-22/news/26043641_1_troopers-douglas-d-scott-human-bones; accesso avvenuto il 26 Gennaio 2016.

Hanson, Victor D. Massacri e Cultura. Tradotto in Italiano da Sergio Minucci. Milano, 2002.

Travaglio Marco. Editoriale, La Volpe di Rignano; consultabile al sito https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/la-volpe-di-rignano/; accesso avvenuto il 16 Gennaio 2018.

Travaglio Marco. Editoriale, Noio Volevan Savuar; consultabile al sito https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/noio-volevan-savuar/; accesso avvenuto il 16 Gennaio 2018.

Utley, Robert M. Cavalier in Buckskin, George Armstrong Custer and the Western Military Frontier. Norman, 2001.

 

Fonte: www.comedonchisciotte.org

21.01.2018

 

 

 

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