In Fuga da CHAZ

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DI ROSANNA SPADINI

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Tra il 1917 e il 1919, proprio durante la premessa della fragile Repubblica di Weimar, Max Weber tenne due confe­renze dal titolo “Die geistige Arbeit als Beruf, che po­tremmo tradurre «Il lavoro dello spirito come professione».  Il «lavoro dello spirito» è il lavoro creativo, auto­nomo, il lavoro umano considerato in tutta la sua potenza, quindi cercare la sua affermazione si­gnifica liberarsi di ogni lavoro comandato, dipendente, alie­nato. Ma il suo dissolversi nella forma capitalisti­ca di produzione, che fagocita quella Tecnica, che pure è l’autentico mo­tore dello sviluppo, finisce col delegittimarne la sua autorità politica, smentendo brutalmente la sua  «promessa di liberazione».

La «gabbia di acciaio» è destinata dunque a imprigionare anche quel «lavoro dello spirito» che dovrebbe essere la prassi politica? Diceva Weber. Lo spirito del capitalismo finirà col destrutturare completamente lo spazio della Politica?

Con il termine «politica» Weber intendeva riferirsi alla direzione di un gruppo politico, vale a dire di uno Stato. La politica sarebbe quindi la capacità di «direzione» all’interno di un «gruppo politico», che opera all’interno di uno Stato.

Il potere politico si caratterizza per il suo specifico mezzo (la forza legittima) e, se andiamo in profondità, la politica nella sua essenza è «lotta»: una «lotta» per la conquista del potere. È «un’aspirazione a partecipare al potere, o a esercitare una qualche influenza sulla distribuzione del potere, sia tra gli Stati, sia all’interno di uno Stato, tra i gruppi di uomini che esso comprende entro i suoi confini».

«Ogni Stato è fondato sulla forza», disse a suo tempo Trockij a Brest-Litowsk. E in effetti se vi fossero soltanto formazioni sociali in cui l’uso della forza fosse prerogativa personale dei singoli, allora il concetto di «Stato» sarebbe scomparso e ad esso sarebbe subentrato ciò che si potrebbe definire come «anarchia».

Naturalmente l’uso della forza non costituisce il mezzo normale e nemmeno l’unico di cui disponga lo Stato — su questo non vi sono dubbi. Esso rappresenta piuttosto il suo mezzo specifico. Nel passato i più diversi gruppi sociali — a cominciare dal gruppo parentale — hanno conosciuto l’uso della forza fisica come un mezzo del tutto normale. Oggi, al contrario, dovremmo dire che lo Stato è quella comunità di uomini che, all’interno di un determinato territorio pretende per sé il monopolio dell’uso legittimo della forza fisica.

Questo, infatti, è il dato specifico dell’epoca presente: che a tutti gli altri gruppi sociali o alle singole persone si attribuisce il diritto all’uso della forza fisica soltanto nella misura in cui sia lo Stato stesso a concederlo per parte sua: esso rappresenta la fonte esclusiva del «diritto» all’uso della forza. Dunque «politica» significherà aspirazione a partecipare al potere o a esercitare una qualche influenza sulla distribuzione del potere, sia tra gli Stati sia, all’interno di uno Stato, tra i gruppi di uomini che esso comprende entro i suoi confini.

Lo sviluppo dello Stato moderno ha ovunque inizio nel momento in cui il principe mette in moto il processo di espropriazione di quei «privati» che accanto a lui esercitano un potere amministrativo indipendente: di coloro cioè che possiedono in proprio i mezzi dell’amministrazione, della guerra, delle finanze e beni di ogni genere che siano utilizzabili in senso politico.

L’intero processo rappresenta un perfetto parallelo con lo sviluppo dell’impresa capitalistica attraverso la progressiva espropriazione dei produttori indipendenti. Alla fine nello Stato moderno il controllo di tutti i mezzi dell’impresa politica viene di fatto a concentrarsi in un unico vertice e nessun funzionario singolo è più proprietario personale del denaro che spende o degli edifici, delle scorte, degli strumenti e delle attrezzature militari di cui dispone.

Weber dà questa definizione di carattere concettuale: “Lo Stato moderno è un gruppo di potere di carattere istituzionale che, all’interno di un dato territorio, si è sforzato con successo di monopolizzare l’uso della forza fisica legittima come mezzo di potere e che, a tale scopo, ha concentrato nelle mani dei suoi capi i mezzi oggettivi dell’esercizio del potere, espropriando tutti i funzionari di ceto che in precedenza ne disponevano a titolo personale e sostituendosi a essi con la sua suprema autorità.”

Se dunque l'”autorità dello Stato” viene messa in discussione, così come è accaduto a Seattle, finisce lo Stato e inizia la guerra civile e l’anarchia.

Nel centro di Seattle infatti i manifestanti contro il razzismo sistemico della polizia statunitense, in seguito all’uccisione di George Floyd a Minneapolis, hanno costituito una “Capitol Hill Autonomous Zone” (CHAZ), composta essenzialmente di alcuni quartieri intorno alla centrale di polizia abbandonata l’8 giugno dalle forze dell’ordine, ed ora occupata dai manifestanti che l’hanno dichiarata “zona libera”.

La CHAZ è stata letteralmente celebrata da movimenti radicali, antirazzisti, che chiedono il taglio dei fondi alla polizia. Il presidente Donald Trump ha chiesto al governatore Jay Inslee e alla sindaca Jenny Durkan, entrambi Dem, di riprenderne il controllo, «altrimenti lo farò io».

Domenica 7 giugno però la tensione era tornata a salire dopo che un uomo aveva guidato un’auto sulla folla, sparando e ferendo un manifestante, proprio vicino alla centrale, e la polizia aveva nuovamente usato i lacrimogeni per disperdere la protesta.

Il giorno seguente, la polizia aveva abbandonato la centrale, occupata quindi dai manifestanti, che istituivano la “zona autonoma”, usando le barricate per delimitarne i confini.

“Stiamo cercando di organizzare la nostra comunità in modo da poter vivere senza una massiccia forza di polizia che pattuglia le strade”, ha detto Michael Taylor al Seattle Times .

Il dipartimento di polizia è stato citato in giudizio per presunto uso di tattiche violente tra cui gas lacrimogeni e granate esplosive contro manifestanti pacifici. Ma il vice capo della polizia Deanna Nollette ha risposto: “Abbiamo ascoltato segnalazioni di cittadini e imprese che sono stati indotti con intimidazioni a pagare una tassa per operare in quest’area”. “Questo è un crimine di estorsione.” E poi “Non esiste un diritto legale di uso delle armi per intimidire i membri della comunità”.

Però più di un manifestante ha avvertito che c’è carenza di cibo. “I senzatetto che abbiamo invitato hanno portato via tutto il cibo, ha twittato qualcuno. “Abbiamo bisogno di più cibo per mantenere operativa l’area. Per favore, se possibile, portate anche cibo vegano, frutta, avena, prodotti a base di soia, ecc., qualsiasi cosa ci permetta di mangiare”.

Sembra che la “comune libera di CHAZ” abbia anche organizzato una propria raccolta di rifiuti, secondo un osservatore su Twitter, e ospiti regolarmente circoli di libertà di parola, che ricordano il movimento Occupy di un decennio fa. Sono stati istituiti omaggi a George Floyd, mentre gli abitanti chiedono risarcimenti da parte del Dipartimento di Polizia di Seattle, più altre richieste pubblicate in un elenco di 30 punti online.

“Questa non è una semplice richiesta per porre fine alla brutalità della polizia”, ​​hanno scritto gli organizzatori. “Chiediamo che il Consiglio Comunale e il Sindaco, chiunque possa essere, attui questi cambiamenti politici per il progresso culturale e storico della Città di Seattle, e per alleviare le lotte sociali della sua gente”.

Inoltre hanno anche chiesto un nuovo processo per un uomo di colore che sta scontando una pena detentiva per violenza, da parte di una giuria di colleghi della propria comunità.

Forse il governatore Jay Inslee (Dem)  non si è reso conto che un’intera area di sei isolati, nella più grande città del suo Stato, è stata sequestrata dall’Antifa,  dopo che è stata cacciata la polizia e la Guardia Nazionale. Ma ci sono voluti solo 2 giorni perché la “zona autonoma” sprofondasse nel caos.

All’inizio, la gente ballava e cantava per le strade, il cibo veniva distribuito gratuitamente a tutti, e venivano proiettati film gratuiti di notte sotto le stelle. È stato un inizio glorioso per “CHAZ”, ma nel giro di poche ore hanno cominciato a nascere gravi problemi. I manifestanti volevano mostrare a tutti quanto compassionevoli potevano essere, e così hanno invitato la popolazione dei senzatetto di Seattle a condividere il loro cibo gratuito.

Nella totale anarchia un rapper di nome Raz Simone, “pesantemente armato” ha preso il comando della “zona autonoma” di Seattle, mentre il crimine sta aumentando del 300%.

Ma sì, sciogliamo la polizia e lasciamo che la gente del posto lo capisca.

Il rapper Raz Simone e il suo entourage hanno rivendicato la zona autonoma di Capitol Hill come loro territorio, e sono già stati filmati mentre redarguivano un tizio che non smetteva di spruzzare graffiti su un’installazione di arte urbana, dicendogli “Siamo noi la polizia di questa comunità adesso!”

Simone, il rapper locale con un kalašnikov appeso alla spalla e una pistola attaccata al fianco, ha urlato in un megafono bianco e rosso:Questa è la guerra”!  e ha istruito i paramilitari armati a proteggere le barricate a turni.

Come in “Fuga da New York abitare il tempo significa anche vivere realmente quello spazio, ricomporre i pezzi di un immaginario esploso in forme da estetica del degrado, travisando lo status di ultimo baluardo morale, in quello di antieroe anarchico.

All’inizio, il governatore di Washington Jay Inslee aveva detto di non sapere che gli attivisti avevano preso il controllo di gran parte del centro di Seattle, più tardi, ha cambiato idea, ed ora sta dicendo che spera in una soluzione pacifica.

Colpiti sulla via dell’ennesima false flag dunque. Chi ha manifestato e manifesta, magari in buona fede, contro il razzismo a partire dai fatti di queste settimane, rischia di diventare una pedina inconsapevole nella scacchiera della campagna elettorale per le presidenziali di novembre. La battaglia di lor signori finora si è giocata sulla morte di George Floyd e il mondo ha fatto eco, non sempre conscio dei meccanismi politici di sciacallaggio dilatatisi a macchia d’olio a partire dal suo omicidio.

L’aspetto ancor più sconcertante è legato al fatto che la guerra di propaganda elettorale Dem si è giocata sulla manipolazione delle coscienze collettive, tanto da trascurare qualsiasi definizione della protesta per George Floyd in termini di lotta contro lo sfruttamento delle politiche liberiste o in termini di ribellione contro le ingiustizie sociali, connesse a differenze di classe e all’impoverimento della popolazione.

Senza una lotta contro le disuguaglianze sociali e senza lo sviluppo di una coscienza che si schieri contro le ingiustizie economiche, la stessa protesta rischia la resa definitiva all’ennesima false flag. Concentrare l’attenzione solo sulla solidarietà antirazzista e perdere di vista la battaglia sociale è un grave errore, ma è una tattica ben nota al sistema “Soros”, al fine di perpetrare lo stato di oppressione e disuguaglianza economica su scala globale.

I segnali più vistosi della “rivoluzione colorata di nero” si sono visti fin da subito. Per esempio le onnipresenti palette di mattoni che comparivano  misteriosamente agli angoli delle strade delle città in rivolta (vedi qui). Chi li ha  posizionati? Chi paga? Anche il giornalista Michael Snyder ha notato la “complessa rete di scoutisti che dirigono i manifestanti in rivolta lontano dalle forze dell’ordine”.

Tuttavia molti commentatori affermano di non scorgere alcuna leadership, le proteste sono amorfe, prive di organizzazione fattiva che cerchi di pianificarne negoziati.

Ma non preoccupatevi, una volta che le urla cesseranno e i manifestanti torneranno a casa, la riforma della polizia verrà dimenticata e lo status quo tornerà in vigore. Gli sbirri procederanno più attentamente, ma solo per un po’.

Dopotutto, Joe Biden, molto probabilmente il prossimo presidente degli Stati Uniti, stava semplicemente riflettendo sul prossimo futuro, quando ad un raduno di collaboratori miliardari lo scorso giugno ha assicurato che “nessuno standard di vita cambierà radicalmente”, se lui fosse eletto. Con una Costituzione di 233 anni che allontana il cambiamento ogni decennio che passa, l’America è ora una delle società più immobili della terra. Non importa quanto disfunzionale cresca, la “repubblica congelata” ha dimenticato cosa significhi anche una riforma strutturale di base.

Intanto l’epopea della guerra civile statunitense “Via col vento” è stata depennata da HBO Max, il servizio di streaming recentemente lanciato da Warner Bros, dopo le proteste sul suo modo razzista di rappresentazione della schiavitù.

La decisione è stata presa dopo un editoriale sul Los Angeles Times di John Ridley, premio Oscar per la sceneggiatura di “12 anni schiavo”, nel quale descrive il film del 1939 come”una pellicola che, quando non ignora gli orrori della schiavitù, si ferma solo per perpetuare gli stereotipi più dolorosi sulle persone di colore”.

“In un momento in cui ci chiediamo tutti cosa altro fare per combattere l’intolleranza, chiederei ai fornitori di contenuti di guardare ai loro cataloghi e di separare la programmazione carente nella sua rappresentazione da quella che è palese nella sua demonizzazione” ha scritto Ridley. Hbo ha risposto con un comunicato nel quale afferma: “queste raffigurazioni razziste erano sbagliate allora e sono sbagliate oggi, e abbiamo pensato che tenere in catalogo questo titolo senza spiegazioni e senza una condanna sarebbe irresponsabile”.

Il film tornerà sulla piattaforma streaming con una “prefazione sul contesto storico e una condanna di quelle raffigurazioni”, ma non sarà censurato.

Giusto direi, ma vorrei anche ricordare che non è stato Victor Fleming ad uccidere George Floyd, se qualcuno nel frattempo si fosse distratto.

 

Rosanna Spadini

16.06.2020

 

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