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Il vertice europeo che doveva decidere il piano di rilancio continentale dopo la crisi da Coronavirus si è chiuso dopo 92 ore di estenuanti trattative ed ha decretato la sostanziale vittoria dell’approccio franco-tedesco: troppo debole, in termini demografici e politici, l’opposizione di Olanda, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia per sabotare il summit ed accelerare l’implosione della UE. Dietro il fronte dei “Paesi frugali” si nascondono gli angloamericani, che hanno attualmente spostato le loro operazioni dal Mediterraneo (Italia, Grecia e Spagna) al Mar Baltico. La Germania ha ormai compreso che è necessario preservare una cornice di cooperazione europea per evitare l’accerchiamento politico-militare.
Alla ricerca dell’instabilità permanente
Postulato: la strategia angloamericana nei confronti dell’Europa si basa sulla ricerca dell’instabilità permanente, dove per instabilità si intende l’impossibilità di intraprendere azioni coordinate in ambito economico-politico-difensivo sotto l’inevitabile guida di una nazione egemone, che nel corso della storia furono la Spagna, poi la Francia ed infine la Germania. Il vecchio “balance of the power” britannico non è mai andato in pensione e sta ritornando prepotentemente alla ribalta oggi, come testimoniano gli incessanti tentativi angloamericani di frantumare l’Unione Europea e dividere nuovamente il continente in due o più campi contrapposti. La stessa Unione Europea è stata concepita sin dal 1992 perché avesse all’interno le cause della futura disintegrazione, così da impedire che una Germania riunificata si trovasse in una stabile posizione di egemonia continentale, premessa per un’integrazione continentale con la Russia post-sovietica.
“L’ordine” verso cui tendere, sin dal 1992, non furono mai dunque gli improbabili e irrealistici Stati Uniti d’Europa, bensì un graduale ritorno alla contrapposizione tra potenze e nazionalismi: la trasformazione della Polonia in media potenza ascendente, autoritaria, anti-tedesca e anti-russa, si inserisce alla perfezione in questo schema, che sarebbe completato dalla svolta “nazionalista-sovranista” della Francia. A quel punto il continente avrebbe compiuto magicamente un nuovo ciclo politico, per tornare grossomodo all’Europa degli anni Venti-Trenta. La premessa di tale schema è, ovviamente, il previo collasso dell’Unione Europea, costruita in modo tale da generare, anno dopo anno, squilibri crescenti: l’Italia, in particolare, è stata scelta come “bomba ad orologeria” per causare il collasso della moneta unica nel volgere di un ventennio, attraverso il suo default. Non è un mistero per nessun economista obiettivo che l’Italia difficilmente avrebbe potuto reggere un cambio fisso (l’euro) con la Germania; tutto è stato però fatto per rendere un calvario la permanenza dell’Italia nell’euro e spingerla progressivamente alla bancarotta: distruzione della Somalia (1991), Tangentopoli (1992), smantellamento dell’IRI (2002), stallo politico con il paralizzante duello Berlusconi-magistratura (1994-2009), distruzione della Libia (2011), inserimento in Parlamento di un forte movimento disgregatore (successo elettorale del M5S nel 2013), primo governo integralmente populista benedetto dall’ambasciatore americano Lewis Einsenberg (2018) e, infine, trasformazione dell’Italia in uno dei principali focolai europei del Covid-19 (insieme alla “mediterranea” Spagna con cui l’Italia ha tentato in queste ultime settimane una qualche coordinazione) con conseguente tracollo dell’economia. Per il 2020 è stimato un PIL in caduta del 10-11% ed un parallelo lievitare del debito pubblico verso il 160% del PIL: qualora l’Italia non dovesse più riuscire a rifinanziarsi sul mercato, lo scenario di una dissoluzione disordinata della moneta unica (e dell’Unione Europea) si farebbe più concreto che mai.
A quel punto, la Germania sarebbe sì riunificata e finanziariamente florida, ma priva di quella cornice di sicurezza europea che le ha sinora consentito di prosperare, devolvendo peraltro una quota minima della sua spesa pubblica alla difesa. La sua connaturata tendenza a convergere verso Cina e Russia sarebbe così tenuta a freno dagli angloamericani con la creazione di un ambiente europeo ostile, con Polonia e Francia come grandi candidate ad assolvere la funzione di potenze di contenimento alla Germania. Tale dinamica di fondo è ormai ben chiara a Berlino e ciò spiega “la svolta” tedesca in concomitanza alla crisi del Covid-19, svolta che ha visto l’abbandono di buona parte delle precedenti posizioni a favore dell’austerità: la preservazione della UE o, perlomeno, la sua difesa ad oltranza, sono ormai considerate come parte integrante del sistema difensivo tedesco. Veniamo così al vertice del 17 luglio incentrato sui provvedimenti per contrastare i devastanti effetti economici del Covid-19 (ed impedire il default dell’Italia): coordinandosi con la Francia, Berlino aveva avanzato l’ipotesi di un piano da 750 miliardi, di cui circa la metà a fondo perduto ed il restante a prestito, che avrebbe visto l’Italia come principale beneficiaria. Data la mutata posizione tedesca e le condizioni disastrose in cui versano i Paesi mediterranei, nulla avrebbe dovuto impedire una rapida conclusione dell’accordo: gli angloamericani hanno perciò dovuto prontamente costruire un nuovo fronte per tentare di sabotare il progetto ed accelerare la dissoluzione dell’Unione Europea. Dopo aver a lungo lavorato sul Mediterraneo (Syriza, M5S, Lega Nord), le operazioni si sono spostate nel Mar Baltico, dove è stato prontamente allestito il fronte dei “Paesi frugali” che altro non sono se i tradizionali clienti regionali di Londra: Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia, con l’aggiunta “dell’alpino” Sebastian Kurz, che intrattiene però rodati e ben noti con elementi di spicco della finanza anglosassone come George Soros. Si ricordi che già nel 2014 il premier inglese Cameron aveva ipotizzato una “Northern alliance”, incentrata sull’Olanda del primo ministro olandese Mark Rutte, per “riformare” la UE secondo le linee dei Paesi baltici. A capo del fronte dei “frugali” è stato collocato non a caso proprio l’olandese Rutte, arrivato ai vertici dei Paesi Bassi dopo una lunga esperienza ai vertici dell’anglo-olandese Uniliver: dopo aver divorziato dalla UE, Londra si serve dunque dei suoi rimanenti “cavalli di Troia” per sabotare qualsiasi azione coordinata a livello europeo. Si noti la dialettica degli opposti, tipica del modus operandi angloamericano: Rutte si è impuntato in modo particolare su “quota 100”, uno dei più noti e discussi provvedimenti del governo giallo-verde sponsorizzato da Washington, provvedimento pensionistico adottato proprio per esasperare il conflitto tra Italia ed il resto dell’Unione.
Il peso demografico e politico del fronte dei “frugali” è stato però troppo modesto per stravolgere l’iniziale impianto franco-tedesco e l’eventuale ricorso al veto, con conseguente terremoto finanziario, sarebbe stato troppo pesante per le fragili spalle olandesi o finlandesi. Il piano iniziale di rilancio da 750 mld è quindi sostanzialmente salvo: resta da vedere se sarà sufficiente per impedire il tracollo dell’Italia, in avanzatissimo stato di decomposizione politica-economica-sociale e, di conseguenza, l’implosione della UE. Come avevamo però messo in luce in una delle primissime analisi post-Covid 19, chi rischia in prospettiva di più dal collasso italiano ed europeo, è proprio la Germania, su cui si sposterebbe nel nuovo scenario geopolitico l’intero focus militare angloamericano: Berlino ha ormai compreso il quadro della situazione. Si vedranno gli sviluppi.
21.07.2020
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