In Settembre, nonostante l’infausta contingenza, abbiamo voluto provare a recarci in vacanza all’estero, cosa sconsigliatissima da tutte le autorità, civili, militari e religiose. Perfino dal Papa. Specialmente se a viaggiare sono persone non (ancora?) vaccinate come noi.
Naturalmente eravamo coscienti di dover superare molti ostacoli e vessazioni. Dato che il nostro coraggio è modesto, abbiamo deciso per Cipro: è nell’Unione, addirittura nell’Euro e perciò sembrerebbe più facile dell’Afghanistan. Ci siamo diligentemente letti tutte le norme del caso, ma, ahimè, ci sono sembrate confuse e poco chiare, forse per la nostra scarsa perspicacia. D’altra parte, se non ci siamo ancora inoculati il siero salvavita, ci sarà pure un motivo. Ma siamo andati avanti lo stesso.
La prima vessazione, è stato un indispensabile test PCR anticovid (€75), che è valido 48 ore, ma poiché il risultato ti viene consegnato dopo 12 ore, il tempo utile è in realtà di 36 ore e deve bastare per preparare il viaggio e raggiungere l’aeroporto, più la durata del volo. La conseguenza (voluta), è che fino all’ultimo non sai se parti davvero o hai solo omaggiato la compagnia aerea del prezzo dei biglietti. In realtà che tu sia in salute o meno, non ha importanza, l’unica cosa che conta è il risultato del test, il quale, si sa, è piuttosto capriccioso e non si sa bene cosa misuri.
La seconda vessazione è il supermodulo giurato PLF di cui il governo cipriota impone la compilazione (esclusivamente on line, e naturalmente ciò presuppone il possesso di un mezzo adeguato), entro 48 ore dalla partenza. Il modulo, per amor di privacy, richiede, per quanto non sembri rilevare né poco e né tanto, perfino il nome del padre, nonché il numero del sedile sull’aereo, per cui devi aver già fatto il check in (on line, naturalmente).
Le due vessazioni sono da incastrare assieme. Superati arditamente questi perfidi ostacoli incrociati predisposti dal mago cattivo, abbiamo guidato per ore a notte fonda fino a Fiumicino, per prendere un infame volo delle 6 del mattino, ma era quello più economico e non essendo sicuri di partire, meglio non spendere troppo.
Fiumicino è apparso come l’ombra di se stesso, un po’ come l’Alitalia. Di tre terminal, solo uno è in funzione. Il parcheggio a lunga sosta (da noi prenotato), è chiuso per mancanza di utenti e il biglietto ci viene convertito automaticamente in quello per il lussuoso parcheggio raggiungibile a piedi dal terminal. Nei corridoi un tempo affollati, dormono i barboni (senza mascherina). Questo dà una vaga idea di cosa stanno facendo al Paese, il signor Draghi Mario e sodali.
La terza vessazione è ovviamente la maschera che va indossata ovunque dentro l’aerostazione e sul volo, come ricorda ossessivamente l’altoparlante che rimbomba nelle sale vuote, ma lo facciamo volentieri, visto che lo scorso inverno ha brillantemente sgominato l’influenza e pare sia utile anche per la prostata, specie per certi tipi di teste.
Arrivati a Larnaca, pensavamo che il peggio fosse passato, ma non era così. Tutto il bestiame mascherato sul volo, vaccinato o non vaccinato, volente o nolente, viene fatto scendere direttamente sul piazzale, scortato dalla polizia sotto una lurida tettoia cosparsa di cartacce, e messo in fila davanti a una serie di baracchini stile fiera di paese, per un tampone estemporaneo, obbligatorio e senza preavviso. Dopo un’oretta di coda, e dopo averci cacciato uno stecco nel naso a tutti, ci rilasciano concedendoci di prendere le valigie e uscire dallo scalo.
Credevamo di arrivare in una seconda Grecia, ma purtroppo non era vero. Qui tutti parlano inglese e se ne vantano. Al posto delle taverne ci sono i Burger King: questi sono greci anglicizzati, guidano perfino a sinistra. Cioè greci rovinati.
Ma andiamo avanti, l’albergo prenotato dall’Italia non ci fa alcuna richiesta, ma, sorpresa, scopriamo che a Cipro ogni bar, ogni ristorante, ogni supermercato, ogni negozio, ogni attrazione turistica ogni sito archeologico, ogni mezzo di trasporto espone il cartello “NO GREEN PASS, NO ENTRY”, al chiuso o all’aperto che sia e il nostro lasciapassare di 48 (36) ore è già scaduto non appena abbiamo messo piede sull’isola. Si prospettano perciò due soluzioni: o lo stecco nel naso (pagando, s’intende), ogni 48 ore, o la vita da fuorilegge. Decidiamo per la seconda, siamo in vacanza e ci sentiamo più Bonnie and Clyde che Salvini e Meloni.
Va da sè che la maschera è obbligatoria per tutti, anche i vaccinati, ovunque al chiuso e nei recinti archeologici. Pare che perfino Afrodite la indossasse uscendo dai flutti sulla spiaggia di Petra tou Romiu, ma solo per civetteria. Per fortuna abbiamo noleggiato un’auto (con guida al contrario e qualche volta agli incroci mi confondo: ma saranno fessi?), altrimenti eravamo bloccati.
Vi chiederete come ce la siamo cavata in tale funesta contingenza. Comprando viveri e mangiando sulle panchine? No, facendo gli indiani, e provandoci ogni volta. Tutti i locali hanno il cartello appeso fuori con l’elenco delle pene, ma poi non tutti ti chiedono davvero il lasciapassare: devono pur sopravvivere. Mi dicono che ci sono quasi l’80% di turisti in meno. Qualche volta chiedono se ce l’hai, ma non lo vogliono vedere, qualche volta fanno gli indiani pure loro. Qualche volta lo vogliono vedere e ti cacciano se non ce l’hai. Più di una volta abbiamo provato il brivido della discriminazione e ci sentiamo come Jim Crow a Memphis negli anni ’60, come Mandela a Pretoria negli anni ’50, come gli ebrei a Berlino negli anni ’30. Non è una sensazione piacevole, d’accordo, ma in realtà non è chiaro se sia più umiliante dover esibire un lasciapassare per sedere in un bar o non averlo del tutto. E poi ci accompagna un’aura di ridicolo che credo mancasse a Berlino: i ciprioti, per quanto anglicizzati, sono pur sempre greci e non riescono a prendersi sul serio fino in fondo. Gli viene da ridere.
Fa eccezione un giovane coglione che ci caccia da una sudicia amburgheria dopo non aver neppure voluto toccare il modulo PLF che gli abbiamo dato per depistarlo. Gli faccio notare che anche a me fa un po’ schifo toccare il suo tavolo e il suo menù unti e bisunti, ma che siamo venuti perché ci sembrava un posto sufficientemente di merda da non chiedere lasciapassare. Invece ci sbagliavamo, nel senso che di merda, era di merda, ma il lasciapassare lo chiedevano lo stesso! Non apprezza, mi dice di parlare solo inglese: se non fossi incazzato mi farebbe un po’ pena, i suoi antenati discutevano di filosofia quando gli anglosassoni grugnivano in tuguri di frasche, ora gli scodinzola dietro smaniando di essere uno di loro. Roba da pazzi.
Comunque quasi sempre incontriamo gente meno fanatica e tutto sommato arriviamo alla fine della vacanza in modo confortevole e vedendo tutto ciò che volevamo vedere. Neppure i bigliettai delle zone archeologiche paiono granchè interessati al Green Pass.
Al rientro, naturalmente, ci sono nuove vessazioni. Anche il governo italiano impone la compilazione del suo PLF, e un test PCR entro 48 ore. Del fatto che noi siamo cittadini che rientrano in patria a cui, in ogni caso, parrebbe illegale negare l’ingresso, se ne fottono. Se il test ti viene positivo, vai in quarantena (dove? Avranno appositi campi dove il vaccino rende liberi? Cosa occorrerà per uscire dall’internamento?), perdi i soldi del volo e torni quando lo decide lo stecco nel naso. Viaggiare è tornato ad essere come nel Medio Evo: le strade sono infide e piene di malfattori, il ritorno non è mai assicurato.
Andiamo in un laboratorio di analisi a Nicosia e facciamo un test PCR per 40 euro (all’aeroporto ne chiedono 120). Il caso vuole che sia negativo: possiamo tornare. Rimane il modello PLF. Proviamo per due ore sul sito del governo italiano rispondendo alle domande più assurde, naturalmente il numero del sedile, il gelato preferito da Mattarella, la taglia di Garibaldi, la squadra dove giocava Cuccureddu, ma non c’è verso: non funziona. E senza non ci fanno salire sul volo. Delegano alla compagnia aerea funzioni di polizia. Probabilmente proprio perché a Fiumicino non potrebbero negare l’ingresso ad un cittadino. Per fortuna ci viene l’idea di provare sul sito UE: altrettanto irritante e vessatorio, ma almeno funziona. Non c’è nulla da fare: l’aria della burocrazia italiana si sente anche per via elettronica! Tutto pare funzionare sulla falsariga della gloriosa app immuni!
Alla fine, mascherati e assonnati (anche il volo di ritorno aveva orari da scafisti), mettiamo di nuovo piede sul suolo patrio (che tuttavia evitiamo di baciare per igiene anticovid), dove la polizia ci aspetta per il controllo del passaporto (ma non ci doveva essere libera circolazione all’interno dell’unione?) e, naturalmente, del lasciapassare sanitario. Quello di 48 ore, lo schifano, ma ci fanno passare. Che bello! Siamo di nuovo liberi nella nostra solida democrazia, protetti da Mario, Sergio ed Enrico: cari, che gioia rivedervi!!!!
Scritto da Nestor Halak
Pubblicato da Verdiana Siddi per ComeDonChisciotte.org