Un progressivo ‘artificio’ di democratica impotenza: il mondo l’ha finalmente capito

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DI ALASTAIR CROOKE

 strategic-culture.org

Antonio Gramsci ha descritto l’interregno come il tempo in cui “il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.” Durante questo periodo il nuovo è percepito come una cosa folle, malvagia e pericolosa da contemplare.

La Gran Bretagna molto semplicemente sta attraversando questo interregno: un periodo durante il quale le élites che precedentemente ‘gestivano’ il discorso politico (secondo le parole di Michel Foucault) all’interno di strette frontiere consensuali, ora si ritrovano aspramente contestate. Durante questi periodi ci sono momenti in cui si perde il buon senso, quando svaniscono i limiti ed il significato di ciò che è ragionevole credere.

I paradossi dell’interregno saltano fuori ogni giorno: quando una House of Commons democraticamente eletta si schiera contro un referendum popolare, si oppone alla propria legislazione da cui nasce, e addirittura si trastulla con la disfatta del principio del governo che ‘governa’, a tutto favore del concetto secondo cui una effimera e cangiante assemblea di persone non di governo, ovvero di membri del Parlamento trasversali, dovrebbe invece ‘governare’. E’ davvero bizzarro, ma non sorprendente, che un brivido di vero panico abbia colto la (forse) maggioranza dei Remainers [chi ha votato per restare nella UE, ndt] ora che devono prendere atto della mancanza di una soluzione ovvia.

Un simile shock psicologico ha colto l’Establishment culturale francese. Come dice Christopher Guilloy: “Adesso le élites hanno paura. Per la prima volta si è messo in moto un movimento che non può essere controllato dai normali meccanismi politici. I Gilets Jaunes non sono una costola di qualche sindacato o di qualche partito politico. Non possono essere fermati. Non esiste alcun interruttore di spegnimento. O l’intelligentsia sarà obbligata a riconoscere adeguatamente l’esistenza di queste persone, o dovranno optare per una specie di totalitarismo soft.”

E questa settimana il Forum di Davos è stato agitato da una lettera – diventata poi virale – di Seth Klarman, icona dei fund manager e ‘oracolo’ [della finanza], che ha ammonito i clienti su un crescente senso di separazione politica e sociale presente a livello globale che potrebbe finire in un disastro economico. “Non si possono fare affari come al solito quando si vive in un clima di costanti proteste, rivolte, shutdown [blocco delle attività amministrative, ndt] mentre monta la tensione sociale”, scrive citando le proteste dei Gilets Jaunes che dalla Francia si stanno espandendo in tutta Europa. “Ci chiediamo quando gli investitori prenderanno più seriamente nota di tutto ciò”, aggiungendo che “la coesione sociale è essenziale per chi ha capitali da investire”.

La diffusione della lettera di Klarman non fa che aggiungere ulteriore disagio tra le fila dei globalisti. E alla radice di questa inquietudine c’è la potenziale distruzione di due grossi ‘miti’: il mito monetario ed il mito millenarista del New World Order che emerse dalla carneficina della SGM. La nozione di una guerra eroica e nobile morì assieme alla generazione massacrata a Somme e Verdun. Da quel punto in avanti la guerra non poté più essere ‘eroica’, ma solo una schifosa macchina tritacarne. A milioni si erano sacrificati per un concetto ‘sacro’ di Stato-nazione. La concezione ottocentesca e romantica di un ‘puro’ Stato-nazione era andata in frantumi, ed al suo posto era arrivata la fede (corroborata dal crollo dell’Unione Sovietica) nel Destino Manifesto degli Stati Uniti che, come la Nuova Gerusalemme, rappresentava la migliore speranza dell’umanità per un mondo cosmopolita prospero, più omogeneo e meno diviso.

La promessa di una ‘prosperità per tutti’ facile da ottenere, possibile solo grazie a metodi monetari (cioè con la creazione di enormi debiti) faceva da corollario a questo idealismo. Oggi non esiste più alcun bisogno di ‘fatti’ a supporto di teorie – i ‘metodi’ hanno tradito la maggioranza (cioè Gilets Jaunes e ‘deplorables’) e oggi anche un Fund Manager considerato come un oracolo, Klarman appunto, sta ammonendo gli abitué di Davos che “i semi della prossima grossa crisi finanziaria (oppure la prossima ancora) possono essere trovati negli attuali livelli di debito sovrano”. Illustra il modo in cui virtualmente ogni nazione sviluppata ha aumentato i propri debiti a partire dalla crisi del 2008, tendenza che potrebbe portare al panico finanziario.

Klarman è particolarmente preoccupato del debito degli Stati Uniti: cosa potrebbe significare per lo status del dollaro come riserva monetaria mondiale, e come potrebbe alla fine colpire l’economia del paese. “Non v’è modo di sapere quando il debito è troppo, ma gli USA inevitabilmente raggiungeranno il punto di non ritorno oltre il quale il mercato, diventato improvvisamente più scettico, si rifiuterà di prestarci [soldi] a questo ritmo insostenibile”, scrive. “Quando la crisi ci colpirà, sarà probabilmente troppo tardi per rimettere le cose a posto”.

Questi artifici monetari hanno sempre avuto carattere illusorio: l’idea che il vero benessere potesse emergere da un inflazionato debito fiat; che tale espansione non avesse limiti; che ogni debito possa, e deva, essere onorato; e che l’eccesso di debito potesse essere sistemato con ulteriore debito – tutto ciò non è mai stato credibile. E’ tutta una favola. Riflette, attraverso il credo secolarizzato nell’inevitabile, l’idea della via in salita del Progresso (che risuona con la convinzione millenarista Cristiana della marcia verso una ‘Fine dei Tempi’ pacifica e copiosa da cui deriva).

Nel 2008 le grandi banche furono ad un attimo dal collasso. Furono salvate dai contribuenti occidentali (dato che il rischio di fallimento finanziario generalizzato fu giudicato troppo alto dalle élites), ma alla fine i salvatori (i vari Stati interessati) dovettero essere salvati a loro volta – e così venne saccheggiato il welfare, rete di sicurezza all’interno degli Stati, per potere rimettere in sesto i loro stessi bilanci (dopo avere rimesso a posto i bilanci delle banche).

Il 60% venne colpito ben tre volte. La prima con il bail out iniziale. La secondo con l’austerity che ne seguì; e la terza con le Banche Centrali che recuperano i propri asset attraverso politiche di svuotamento dei risparmi. Messi di fronte a queste feroci politiche, il 60% capisce e sente tutta la propria impotenza – e si rende anche conto di non avere più nulla da perdere. Non avevano parola in capitolo.

Questa narrazione – della prosperità a debito – ha segnato l’identità/narrazione occidentale degli ultimi decenni. Ci è voluto un outsider per mettere in luce ciò che il Washington Post ha dovuto, obtorto collo, accettare, e che rappresenta il più significativo momento del Forum di Davos di quest’anno in quanto enuclea il dannatamente ovvio: nella tavola rotonda che discuteva su come gli ordini globali falliscano, Fang Xinghai, vice segretario del Security Regulator del governo cinese [autorità che controlla i flussi di scambi, come la CONSOB in Italia, ndt], semplicemente ricordò al pubblico presente il lato oscuro dello schiacciasassi monetario occidentale: “Vi dovete rendere conto che la democrazia non sta funzionando troppo bene. I vostri Paesi hanno bisogno di riforme politiche.” Aggiunse anche che diceva tutto questo “con sincerità”. AHI! Ci voleva un cinese per dire l’indicibile…

Inevitabilmente il dolore del collasso di un ‘mito’ globalmente dominante inizia dalla periferia. Ciò che alle volte si dimentica è che le élites, particolarmente in quei falsi Stati-nazioni che furono pelati dal colonialismo europeo dopo la PGM, non soltanto si sono definiti attraverso la narrativa del ‘non esiste alternativa’ alla prosperità indotta dal credito, ma si sono anche ben integrate con le ricche élites cosmopolite. Ci sono dentro del tutto. Si sono staccati dalle proprie radici culturali da cui sono stati allevati, e pretendono di essere ‘leader’ nel loro ‘mondo’.

Un esempio potrebbe venire dagli Stati del Golfo: naturalmente quando Davos starnutisce la periferia si prende una polmonite. E quando la crisi di identità è accompagnata dalla premonizione di una prossima crisi finanziaria, la polmonite è seria. Perciò non sorprende se l’ansia stia montando tra le periferie mediorientali. Sono consapevoli che una qualsiasi seria crisi finanziaria al centro potrebbe significare per loro la fine.

Ecco il punto focale: il discorso di Mike Pompeo al Cairo non era importante per ciò che aveva detto sulle politiche USA (inesistenti). Piuttosto può essere visto come l’indizio di un diverso punto di vista. Aveva mostrato che la visione del New World Order vecchia di trent’anni era ormai morta. Molto semplicemente non c’erano più visioni, nessuna proprio. Fu fin troppo chiaro che Pompeo stava verbalmente combattendo un altro round della Guerra Civile Americana.

E John Bolton effettivamente confermò le sue posizioni. Siccome gli USA non hanno più nulla da offrire, si stanno arroccando su tattiche distruttive (cioè sanzioni verso qualsiasi uomo d’affari o nazione che contribuisca alla ricostruzione della Siria). Di conseguenza gli alleati USA si stanno allontanando ulteriormente.

E di nuovo si perde un punto importante: dato che la narrazione/identità delle élites è allo sbando, altre forme culturali/spirituali ne stanno prendendo il posto. Perciò, come Mike Vlahos ha notato, gli stati mediorientali non si stanno indebolendo o stanno cadendo per colpa delle minacce fisiche. Al posto dell’identità mainstream cosmopolita stanno emergendo visioni ugualmente localiste ed universaliste – spesso in una intricata trama di attori non legati ad alcuno Stato (come Hezbollah, Hash al-Shaabi e gli Huti).

Questi ultimi non fanno leva sul liberalismo o sul consumo e sul welfare delle economie del mondo sviluppato, quanto sul riaffermare la particolare forza e sovranità della loro società. E sul diritto di vivere le loro vite come vogliono, con (diverse) modalità culturali. Attecchiscono maggiormente lì dove la domanda di uno scopo e il ritorno ai valori di una società sono maggiori.

E come i Gillets Jaunes sono estremamente difficili da controllare attraverso i soliti meccanismi politici, così anche questi attori non legati ad un’idea di Stato tradizionale sono riusciti a non essere controllati dai meccanismi statali in MO che usano i ben noti metodi occidentali. Totalitarismo morbido oppure duro: nessuno dei due ha mai sortito l’effetto voluto.

Stiamo qui parlando di un importante cambiamento di potere – e della natura del potere. Per la prima volta un rappresentante ufficiale ha definitivamente chiarito che gli USA non hanno alcuna visione del futuro, e che gli USA possono solo agire distruttivamente in MO. Si, gli Stati del Golfo hanno sentito l’assordante suono del ‘vuoto’. Come pure gli altri Stati che stanno oltre la staccionata – quelli che non hanno mai fatto parte di questo New World Order. Non è difficile indovinare dove il pendolo si fermerà.

 

ALASTAIR CROOKE

Fontehttps://www.strategic-culture.org/

Link: https://www.strategic-culture.org/news/2019/01/28/progressive-artifice-democratic-impotence-world-finally-gets-it.html

28.01.2019

 

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da TONGUESSY

 

 

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