M.K. Bhadrakumar
indianpunchline.com
L’annuncio della tarda notte di domenica da parte del Comando centrale degli Stati Uniti [CENTCOM], con sede a Doha, dell’arrivo di un sottomarino nucleare americano della classe Ohio nella sua “area di responsabilità” lascia presagire una significativa escalation del conflitto tra Palestina e Israele.
È molto raro che l’uso di questi sottomarini venga reso pubblico. Il CENTCOM non ha fornito ulteriori dettagli, ma ha pubblicato un’immagine che sembra mostrare un sottomarino della classe Ohio nel Canale di Suez in Egitto. È interessante notare che il CENTCOM ha anche condiviso l’immagine di un bombardiere B-1 a capacità nucleare che opera in Medio Oriente.
Nel loro insieme, questi dispiegamenti statunitensi, che si aggiungono alla formidabile presenza di due portaerei e di navi da guerra con centinaia di caccia avanzati rispettivamente nel Mediterraneo orientale e nel Mar Rosso, costituiscono un occhio di riguardo per “l’altro lato dell’equazione”, come il Segretario di Stato Antony Blinken ha pittorescamente descritto Hamas, Hezbullah e l’Iran durante la sua ultima visita a Tel Aviv venerdì scorso.
In uno sviluppo correlato, il direttore della CIA, William Burns, sarebbe arrivato in Israele domenica per consultazioni urgenti. Il New York Times ha riferito che gli Stati Uniti stanno “cercando di espandere con Israele la condivisione dell’intelligence”.
Probabilmente, la spiegazione più logica per il dispiegamento vicino alla zona di guerra di un sottomarino nucleare statunitense, che fa parte della “triade nucleare” del Pentagono – i battelli della classe Ohio sono i più grandi sottomarini mai costruiti per la Marina statunitense – è che l’Amministrazione Biden si sta preparando ad un’escalation della guerra in Libano per stanare Hezbollah, che, a sua volta, potrebbe scatenare una reazione iraniana.
Nel suo discorso di venerdì, il capo di Hezbollah, Hassan Nasrullah, è sembrato anticipare proprio una simile svolta degli eventi, quando ha esplicitamente messo in guardia gli Stati Uniti da conseguenze che non potrebbero essere diverse dal catastrofico coinvolgimento americano nella guerra civile libanese nei primi anni Ottanta. Ironia della sorte, questo è anche l’anno del 40° anniversario dell’attentato suicida alla caserma che ospitava le forze statunitensi nell’aeroporto internazionale di Beirut, nell’ottobre 1983, in cui erano rimasti uccisi 220 Marines, 18 marinai e tre soldati, cosa che aveva costretto gli Stati Uniti a ritirarsi dal Libano.
È chiaro che la strategia degli Stati Uniti nell’attuale situazione mediorientale potrebbe non far ricorso alla diplomazia, che ha comunque perso trazione. I disperati tentativi di Blinken di rispondere alle crescenti critiche internazionali sugli orribili crimini di guerra di Israele, deviando l’attenzione su una “pausa umanitaria” nei combattimenti, sono stati stroncati senza tanti complimenti da Netanyahu.
Il punto è che, dopo aver bombardato Gaza e la sua popolazione con artiglieria e bombe, venerdi scorso l’esercito israeliano è entrato in azione sul terreno. Finora, secondo quanto riferito, è avanzato fino alla periferia di Gaza City, ma non è entrato nella roccaforte di Hamas. Si prevedono feroci combattimenti urbani quando lo farà.
Allo stesso modo, il tentativo affrettato dell’amministrazione Biden di promuovere un vago schema per una Gaza post-bellica, che potrebbe includere una combinazione di Autorità Palestinese rivitalizzata, una forza di pace, ecc. è stato accolto con una netta mancanza di entusiasmo ad Amman, all’incontro di Blinken del fine settimana con i ministri degli Esteri arabi – di Giordania, Egitto, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti – che invece hanno chiesto un cessate il fuoco immediato, mentre Blinken ha detto che Washington non avrebbe fatto pressioni per ottenerlo.
Da Amman Blinken si è recato a Ramallah, dove anche il capo dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, gli ha fatto la ramanzina, affermando che l’Autorità Palestinese sarebbe pronta ad assumersi la piena responsabilità della Striscia di Gaza solo nel quadro di una “soluzione politica globale” che includa la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza – e, inoltre, che la sicurezza e la pace possono essere raggiunte solo ponendo fine all’occupazione dei territori dello “Stato di Palestina” e riconoscendo Gerusalemme Est come sua capitale. L’incontro è durato meno di un’ora e si è concluso senza dichiarazioni pubbliche.
Nel frattempo, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti hanno chiesto una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un altro tentativo di ottenere un cessate il fuoco immediato, al quale l’Amministrazione Biden si opporrà sicuramente. È sufficiente dire che l’Amministrazione Biden si sente in una botte di ferro e che l’unica via d’uscita è quella di di far succedere qualcosa attraverso l’uso di mezzi coercitivi.
Gli Stati Uniti osservano con frustrazione la comparsa di nuovi accordi regionali tra le nazioni musulmane. I ministri degli Esteri di Iran e Arabia Saudita hanno avuto oggi un’altra conversazione telefonica. L’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI) ha poi annunciato che il 12 novembre si terrà a Riyadh un vertice straordinario su richiesta dell’attuale presidente, l’Arabia Saudita, per discutere degli attacchi di Israele al popolo palestinese.
Certamente, il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita, mediato da Pechino, ha trasformato profondamente l’ambiente della sicurezza regionale, con gli Stati regionali che preferiscono trovare soluzioni ai loro problemi senza interferenze esterne, mentre i vecchi scismi e la xenofobia promossi dagli Stati Uniti per perpetuare il loro dominio non hanno più alcuno sbocco.
Mentre il bilancio delle vittime a Gaza supera i 10.000 morti, nel mondo musulmano i sentimenti si fanno sentire. La Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha dichiarato oggi che “tutte le prove e gli indizi mostrano il coinvolgimento diretto degli americani nella gestione della guerra” a Gaza. Khamenei ha aggiunto che, con il proseguire della guerra, le ragioni del ruolo diretto degli Stati Uniti diventeranno più esplicite.
L’agenzia di stampa Fars, vicina al Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, ha anche rivelato che Khamenei ha avuto un “recente incontro a Teheran” con il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, al quale ha detto che il sostegno di Teheran ai gruppi di resistenza è la sua “politica permanente”.
Evidentemente, Teheran non ritiene più un problema riconoscere i suoi legami fraterni con i gruppi di resistenza. Si tratta di un cambiamento di paradigma indicativo dello spostamento della dinamica di potere, che gli Stati Uniti e Israele sono costretti a contrastare con l’uso della forza, dal momento che la diplomazia di Washington non è riuscita a fare progressi nell’isolare l’Iran.
Il capo dello Stato Maggiore israeliano, Herzi Halevi, ha dichiarato domenica durante una riunione del Comando settentrionale: “Siamo pronti a colpire il nord in qualsiasi momento. Siamo consapevoli che può accadere… Abbiamo il chiaro obiettivo di ripristinare una situazione di sicurezza significativamente migliore ai confini, non solo nella Striscia di Gaza”.
Nessuna potenza al mondo può fermare Israele in questo momento. La sua stabilità e la sua difesa sono inestricabilmente legate a questa guerra, che garantirà anche il costante impegno degli Stati Uniti per la sua sicurezza come modello chiave delle strategie globali americane per il prossimo futuro. Pertanto, la migliore possibilità di sopravvivenza per Israele consiste nell’espandere la guerra a Gaza e in Libano – e possibilmente anche in Siria – spalla a spalla con gli americani.
Non c’è dubbio che la dislocazione del sottomarino nucleare statunitense a est di Suez sia un tentativo di dissuadere l’Iran dall’intervenire, mentre Israele, con il sostegno degli Stati Uniti, procede ad aprire un secondo fronte in Libano. Le autorità israeliane hanno annunciato l’evacuazione dei civili dagli insediamenti situati fino a cinque chilometri dal confine con il Libano.
In Medio Oriente sta per iniziare una guerra di durata indeterminata. Quando, inevitabilmente, arriverà il richiamo della Jihad non si sa come risponderà l’ottantenne presidente americano.
No, non si trasformerà in una guerra mondiale. Sarà combattuta solo in Medio Oriente, ma il suo esito avrà un impatto significativo sulla creazione di un nuovo ordine mondiale multipolare. L’ultimo mese ha mostrato il precipitoso declino dell’influenza degli Stati Uniti e l’elevata volatilità dell’ambiente globale dall’inizio della guerra in Ucraina, nel febbraio dello scorso anno.
M.K. Bhadrakumar
Fonte: indianpunchline.com
Link: https://www.indianpunchline.com/us-israel-to-open-second-front-in-lebanon/
06.11.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org