Perché la politica UE in Siria è un disastro? Perché è irrealistica…

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FONTE: GEFIRA.ORG

L’Europa deve capire che l’idealismo non paga. Bisogna essere realisti e pensare ai propri interessi in politica estera, il che, guarda caso comporta pace e stabilità. I paesi UE hanno commesso molti errori durante la guerra civile siriana, riducendo di molto i propri prestigio, influenza e sicurezza. L’obiettività porta a fare una seria valutazione su quale fazione sostenere, e ricordare che i forti fanno quel che vogliono e i deboli soffrono quel che devono.

I realisti però non si astengono dal dare suggerimenti audaci sulla politica estera. Nel 2012 Kenneth Waltz ha detto che l’Iran dovrebbe avere accesso ad armi nucleari. Tre anni dopo Stephen Walt ha sottolineato che in caso di vittoria ISIS in Siria, la comunità internazionale avrebbe dovuto imparare a convivere col suo nuovo potenziale membro. Secondo alcuni realisti, i tentativi di rovesciare il governo di Assad sono stati un errore.

Secondo questi, infatti, nessun paese può essere veramente sicuro delle intenzioni altrui. È per questo che la sicurezza può essere garantita solo massimizzando la propria potenza, come deterrente. I leader dovrebbero concentrarsi sugli interessi nazionali. I realisti dicono che la moralità provoca inutili sofferenze e mette in pericolo l’importanza dello stato nelle relazioni internazionali. Questo è il motivo per cui tali analisti criticano gli interventi umanitari, che mettono in pericolo l’elemento più importante del potere dello Stato, cioè i suoi cittadini, e che possono causare un coinvolgimento a lungo termine negli affari di un paese che non ha alcun significato strategico diretto. I realisti si sono opposti all’intervento in Libia nel 2011, considerato inutile e condotto in modo inetto. Erano anche contro l’intervento in Vietnam, che consideravano destinato a fallire, e la guerra in Iraq nel 2003, percepita come destabilizzante per l’intera regione (valutazione poi rivelatasi corretta).

Il realismo si basa su freddi calcoli. Tale politica estera non è tuttavia priva di morale. La competizione per il potere ed i conseguenti equilibri sono il mezzo per raggiungere un fine molto etico, cioè la pace. È questo meccanismo che ha reso il sistema così stabile, che ha dato un senso di sicurezza ad ambo le parti ed ha impedito un’altra guerra mondiale.

Premesso questo, la questione è come gli Stati UE dovrebbero agire nella crisi siriana. Logica dice che dovrebbero abbandonare la loro attuale politica estera basata sull’ideologia dei diritti umani e l’altruismo e concentrarsi sulla propria sicurezza e sulla capacità di influenzare il futuro della regione. Nel caso della Siria le soluzioni radicali sono le uniche e le migliori.

Hans Morgenthau, famoso ricercatore di relazioni internazionali e creatore della moderna scuola di pensiero realista, ha scritto qualche decennio fa perché l’invasione nella Baia dei Porci era destinata a fallire. Nel processo decisionale sono stati presi in considerazione sia i propri interessi sia la regola del non intervento basato su motivi morali. Ciò ha portato ad un limitato interventismo, in quanto gli americani temevano di perdere il proprio prestigio. La sconfitta fu un effetto di una politica che dondolava tra sicurezza e ideologia. Alla fine l’obiettivo non venne raggiunto e il prestigio statunitense diminuì. Il caso siriano è per certi aspetti simile: per questo le azioni dell’Unione Europea sono anch’esse destinate ad essere inefficienti.

I leader europei pensano che Assad non possa essere un buon partner nei negoziati, in quanto responsabile di crimini, e che il suo regime dovrebbe essere rovesciato. Allo stesso tempo l’intervento occidentale, condotto principalmente da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, è ancora limitato. Gli attacchi alle forze di Assad non sono significativi e stanno semplicemente prolungando lo stallo. I ribelli sono armati dall’Occidente, ma non in modo da ottenere un vantaggio strategico. Il conflitto si sta conseguentemente prolungando, la sofferenza dei siriani è in aumento e la crisi dei rifugiati sta crescendo. Non sorprende però che il presidente siriano abbia deciso di combattere fino in fondo, dato che l’Occidente gli ha fatto chiaramente capire che se ne deve andare.

Cosa suggerirebbe un realista? Ci sono due opzioni radicali. Uno è l’intervento militare, che cambierebbe l’equilibrio di potere nel teatro di guerra e comporterebbe il rovesciamento del governo. Tale scenario causerebbe tuttavia una profonda crisi tra Occidente e Russia. Per di più, l’Occidente dovrebbe contare sul ritiro di Mosca. Allo stesso tempo, la transizione dovrebbe essere accompagnata e, in caso ci si riuscisse, sarebbe necessaria una nuova amministrazione stabile, ad esempio un nuovo regime guidato a distanza dai paesi occidentali. Ciò tuttavia richiederebbe un coinvolgimento a lungo termine nella ricostruzione dello stato siriano. È sia rischioso che costoso.

Il secondo scenario che Assad vinca la guerra. Significa che l’Europa potrà o sostenerlo o perlomeno ritirarsi dalle operazioni in Siria, affinché altri poteri possano decidere il futuro del paese. La prima opzione è impensabile a causa di fattori di prestigio e ideologici. L’altra sembra ragionevole, anche se non garantisce la stabilità voluta.

L’Europa deve capire che al momento non importa chi comanda in Siria. Per l’UE l’importante è avere un governo solido, che contenga la crisi migratoria. Gli avversari di Assad diranno sicuramente che la sua vittoria porterebbe ad ulteriori epurazioni politiche. Ma crediamo veramente che l’opposizione, composta da forze democratiche, da residui dell’attuale governo e dalle milizie jihadiste, non combatterà per il potere dopo la sua caduta e che non si macchierà di altre atrocità? L’abbiamo già visto. In Libia, l’Occidente ha sostenuto i ribelli che stavano combattendosi tra di loro già da sei anni, da quando Gheddafi venne ucciso.

I policy-makers potrebbero dire che il mantenimento del potere di un dittatore è semplicemente immorale. Tuttavia, la caduta dei governi autoritari a Baghdad e Tripoli hanno portato ad un vuoto politico, alla destabilizzazione della regione e alla sofferenza di tutte le società. Interventi facili e necessari invece non sono stati condotti, tipo in Ruanda, soprattutto considerando che la Francia in particolare sapeva della pianificata carneficina e sembra anche che abbia sostenuto le coalizioni Hutu.

Per molti il problema più importante è l’uso di armi chimiche da parte del presidente siriano. Tali crimini, come ha affermato l’eccellente Stephen Walt, però attirano di più la nostra attenzione, accendono la nostra morale. Dilemmi simili non assalgono i politici quando sono loro a far bombardare civili.

Bisogna ricordare che la Siria pre-guerra era nella sfera di influenza russa. Bashar al-Assad era percepito dall’Occidente come un nemico, non perché avesse violato i diritti umani, ma perché era alleato di Mosca e Teheran e per il suo atteggiamento anti-israeliano. Tuttavia, sotto circostanze favorevoli, la Francia di Sarkozy cercò di finire l’isolamento di Assad e il presidente francese dichiarò che il leader siriano era insostituibile nel processo di risoluzione dei conflitti in Medio Oriente. Anche gli Stati Uniti lo consideravano come potenziale partner nel periodo pre-primavere arabe. L’allora senatore e poi segretario di stato John Kerry sottolineò che America e Siria avevano interessi comuni e che il governo di Assad era un giocatore essenziale in Medio Oriente. Quando iniziò la rivoluzione, l’Occidente pensò forse che quella fosse l’occasione per sbarazzarsi di lui. L’intervento a fianco dell’opposizione non fu però altro che l’intromettersi nella sfera d’influenza di un altrui governo. Inoltre, tale coinvolgimento non era motivato da alcun interesse particolare. Un realista ricorda sempre che l’equilibrio di potere, legato alla propria stabilità, consente di mantenere l’ordine e la pace internazionali. L’Occidente non dovrebbe ostacolare la Russia nei suoi tentativi di ripristinare lo status quo e di garantire la sicurezza.


I paesi UE, che sostengono i ribelli, sembrano non capire non solo il ruolo russo nel conflitto, ma neanche gli interessi turchi. Ankara è stata accusata ripetutamente di sostenere l’ISIS. Fosse vero, non sarebbe altro che un freddo calcolo, cioè la volontà di creare uno stato dipendente o perlomeno uno stato partner. Il governo turco ha sùbito capito che Assad è il miglior partito. Ecco perché non ha avuto problemi a parlare del futuro della Siria con Putin, soprattutto considerando che la conservazione del governo siriano sarebbe molto utile nel mantenere l’integrità territoriale turca e nell’annichilire la ribellione kurda.

Cosa ha fatto l’Europa nel frattempo? Nel 2016 è stato firmato l’accordo relativo al controllo delle migrazioni e si prevedeva che la Turchia fornisse riparo ai rifugiati siriani. Allo stesso tempo la Francia sta riconfermando il sostegno alle richieste curde, come fatto negli ultimi due anni, un colpo diretto agli interessi turchi. La Germania sta facendo lo stesso modo, decidendo di collaborare con PYD e YPG. Quando l’Occidente aiuta l’opposizione, non sta facendo altro che protrarre la guerra alle porte turche e minacciare la sicurezza di Ankara. Siamo davvero sicuri che date queste premesse Erdoğan manterrà le sue promesse? Un realista non sarebbe sorpreso se non lo facesse.

Le nazioni UE esitano ad intervenire e seguono l’ideologia dei diritti umani. Ne risulta un ritiro dal tavolo dei negoziati, un atto che va contro gli interessi di Russia e Turchia, due paesi che sembrano esser pronti a lavorare insieme per ricostruire la Siria dopo la guerra. Pertanto, l’UE sta perdendo il proprio prestigio, mostrandosi debole agli occhi delle altre potenze ed incapace di proteggere i propri interessi. Morgenthau disse correttamente che gli Stati hanno solo da guadagnare se pongono fine alle guerre destinate a fallire.

In uno dei suoi libri, John J. Mearsheimer scrisse che gli stati democratici usano la bugia liberale, cioè si riferiscono ai valori occidentali per intervenire in altri paesi quando compare la necessità di garantire i propri interessi. Nel caso siriano, sembra che l’UE non persegua interessi e sia invece guidata da princìpi morali. Di conseguenza, soffre di una perdita di prestigio e mette in pericolo la propria sicurezza. Nel 2016, il presidente finlandese ha correttamente detto che l’Europa si trova di fronte ad un dilemma: proteggere la popolazione e i suoi valori o rispettare gli obblighi internazionali. Un realista non ha dubbi che ogni Stato dovrebbe concentrarsi sulla propria sopravvivenza e sulla sicurezza dei cittadini.

Il ragionamento presentato non implica che il governo Assad debba essere considerato come un partner dopo la fine della guerra. Tuttavia, per l’Europa è importante raggiungere due obiettivi. In primo luogo, dobbiamo porre fine alla guerra civile e alla crisi migratoria, a quale che sia il costo. Dopo di che potremmo cercare di influenzare il governo a Damasco, in modo che ci sia una transizione di potere.

La sopravvivenza di al-Assad è cruciale per la regione, poiché la Siria è un elemento importante nell’equilibrio del potere e allo stesso tempo ha contribuito a mantenere la pace. L’Europa sta procedendo con una politica disastrosa, che protrae il conflitto. Tucidide scrisse, ne “La guerra del Peloponneso”, che i forti fanno quel che possono e i deboli soffrono quel che devono. L’Europa dovrebbe mostrare il suo potere o facendo regime changes o negoziando. L’indecisione altro non è che un segno della debolezza dell’UE e un suggerimento per gli altri attori che possono testare costantemente la sua pazienza. L’Occidente dovrebbe affrontare il fatto che, come ben detto da Mearsheimer, la sua ingegneria sociale volta a rovesciare i governi è fallita e sarebbe meglio per tutti se venisse semplicemente abortita.

 

Fonte: https://gefira.org

Link: https://gefira.org/en/2017/06/21/why-the-eus-policy-towards-the-syrian-conflict-is-a-disaster-because-its-unrealistic/

22.06.2017

Traduzione per www.comedonchiosciotte.org a cura di HMG

NOTE

1. Why Iran Should Get a Bomb, Foreign Affairs 2012-06-15.
2. What Should We Do if the Islamic State Wins?, Foreign Policy 2015-06-10.
3. Bacevich and Mearsheimer on U.S. Policy in the Middle East, LobeLog Foreign Policy 2017-01-18.
4. To Intervene or Not to Intervene, Foreign Affairs 1967-04-01.
5. Merkel, Hollande voice support for US strike against Assad, The Local 2017-04-08.
6. Trump just bombed Syria. What next?, The Washington Post 2017-04-07.
7. As The CIA Resumes Arming Rebels, Trump Escalates Proxy War In Syria, MintPress News 2017-05-18
8. What Would a Realist World Have Looked Like?, Foreign Policy 2016-01-08.
9. Revisiting France’s Role in Rwanda’s Genocide, Newsweek 2016-10-12.
10. Whose Lives Matter?, Foreign Policy 2015-11-02.
11. Sarkozy visit to Damascus signals thaw in relations, The Guardian 2008-09-04.
12. U.S. Sees Talks with Syria as a Priority, CBS News 2010-04-01.
13. Hollande: France will continue supporting Kurdistan Region, Kurdistan24 2017-02-21.
14. Germany says it is talking to Syrian Kurds, risking Turkey’s anger, The Arab Weekly 2016-10-09.
15. Foreign Policy Expert Cynically Refers To Refugee Crisis In Europe As ‘Gift From Uncle Sam’, The Daily Caller 2016-05-20.
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