Perché l’1% ci tiene in vita?

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DI ALCESTE

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Invecchiando non solo si diventa esperti e, perciò, restii alla logica (Russell: “L’esperienza è l’intelligenza degli stupidi”), ma si tende a divagare. Per tali motivi, non chiedetevi se tali notazioni sono tecnicamente esatte (non lo sono, anche se, forse, per pura combinazione, qualche frase può centrare il bersaglio) … e nemmeno chiedetevi, al contempo, se valga la pena di leggere gli incisi (li ho messi fra parentesi quadra così potete saltarli; nulla osta a saltare la lettura di tutto il pezzo, ovviamente).

Lo ammetto: sono ignorante in economia, sociologia e psicologia di massa. Posso affermare, con umiliante sincerità, che tali materie, ormai, mi spaventano. Per la vastità di opere e pubblicazioni; e per il labirintico viluppo delle correnti e delle diatribe in cui autori, discepoli, apologeti e apostati si scannano con sanguinosa regolarità. Ho maturato, perciò, una rassegnata ignoranza, non disgiunta, tuttavia, da un divertito distacco; tale pathos della distanza è dovuto a una ben nota dannazione (ben nota a me stesso, ovviamente).
Questa si abbatté sul sottoscritto in giovane età; si compone di due shock culturali, sorta di illuminazioni da scena primaria (e no, non riuscirò mai a liberarmene). Tali shock consistono in due brevi e apparentemente innocenti notazioni: la prima è di A. N. Whitehead (suona pressappoco: “L’intera filosofia occidentale è una serie di glosse a Platone”); la seconda è un estratto dal primo frammento di Parmenide (“Il solido cuore della ben rotonda Verità”).

In parole povere: la cornice e il quadro di cui si discorre da almeno due millenni son già stati costruiti e dipinti. Noi ci limitiamo a lumeggiare e particolareggiare minuziosamente alcuni tasselli, ma non ne abbiamo inventati altri (Whitehead). Di qui il personale amore per la classicità e per l’imperiosa irruzione della classicità nel Medioevo. E poi: non esiste un luogo eminente da cui cominciare a scavare per rinvenire il cuore della ben rotonda verità; tutto è verità sulla superficie della sfera; ogni pertugio o cunicolo che si apre sopra d’essa è una testimonianza al viaggio. Un invito al viaggio, che sarà più o meno lungo, più o meno accidentato o pericoloso o irto di secondari diverticoli: questo dipende da noi (Parmenide). Di qui il mio amore per la storia parallela, il ghiribizzo, la potenza del Caso e del simbolo.
[Questa attitudine mi accomuna, spiritualmente, a Guido Cavalcanti, il primo amico di Dante. Dante e Guido sono amici di penna e filosofia, oltre che fieri cultori dell’amore. “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo e io/fossimo presi per incantamento” è una delle favole più belle sull’amore e l’amicizia mai scritte. Fra i due, però, il rapporto si incrina; Dante prende le cose sul serio: studia Tommaso D’Aquino, forse gli Arabi, licenzia trattati pedanti e onnicomprensivi, d’una logica ferrea e implacabile; la poesia fiorisce e si acconcia a tale scheletro ideologico: il suo spazio è, infatti, l’eternità. Cavalcanti, invece, è cupo e sdegnoso. “Guido alcuna volta speculando molto abstratto dagli uomini divenia” dice di lui Boccaccio nel Decameron. Scettico e ombroso, non vanta trattati o un proprio opus magnum; i suoi sonetti son melanconici e leggeri, musicali e dolcissimi. Solo una volta deroga a tale stile: e scrive Donna me’ prega, una delle composizioni più impervie della letteratura italiana: forse una risposta a Dante. Come se Guido, con quei versi torti e densissimi, voglia dire: caro Dante, anch’io, come te, godo della sapienza, e ne conosco i meandri e le sfumature; tuttavia, la conoscenza del fondo tragico dell’esistenza, che proprio la Divina Sapienza mi ha donato, ha fatto maturare in me un irridente disincanto verso il mondo e la storia. La superficialità mi è dettata dalla disperazione, insomma. Non riesco a prender sul serio gli dei, figuriamoci i santi e le donne angelo. Sono superficiale per troppa sapienza. Una volta eravamo amici, ma ora tu vuoi la fama e la corona d’alloro. Prego, è tutta tua, ma non fare il sopracciò].
Tali limiti, provocati dagli shock anzidetti, hanno forgiato la mia mente predisponendola, col tempo e le delusioni, alla flânerie del pensiero. Non sottovaluto nulla, sto sempre in ascolto. La minutaglia mi affascina. Un assembramento al centro di Roma, una scritta, uno slogan valgono per me più d’una ponderosa monografia. Au contraire, chi si impanca a statista o profeta o licenzia pletoriche bibliografie provoca in me un bonario rigetto. Lo ripeto: sono limiti.
Da ciò il rifiuto della contemporaneità (intuita irresistibilmente come fugace momento che ripete ciò che è stato, con altri vestimenti, altri slogan, altri vincitori) e la voglia di spizzicare – solo di spizzicare – la letteratura d’oggi. E così mi sono imbattuto nel testo di Euroschiavi (La Banca d’Italia. La grande frode del debito pubblico. I segreti del signoraggio), a cura di Marco Della Luna e Antonio Miclavez.
Ecco uno dei passi che mi ha dato da pensare (è uno dei cunicoli di Parmenide):
Una differenza essenziale fra merce e moneta è che, almeno da qualche decennio, l’offerta di ogni moneta, quindi la sua disponibilità, è data da un soggetto che ha il monopolio della sua creazione, ossia dall’istituto di emissione … che ne crea quantità limitate e “vende” allo Stato e alle banche di credito … la scarsità del bene denaro è quindi prodotta dalla stessa legge che riserva in via esclusiva allo Stato o a una banca di emissione il potere di crearlo e di dosarne la disponibilità”.
E va bene. Il secondo punto appare ancor più decisivo:
L’altra differenza essenziale … è che il denaro non ha costo di produzione né limiti oggettivi di emissione … il valore di scambio proprio del denaro, detto potere d’acquisto, in realtà non è solo del denaro contante, ossia delle banconote e delle monetine. Infatti hanno potere d’acquisto anche le scritture bancarie denominate in valuta: per esempio, l’assegno circolare è generalmente accettato in pagamento come se fosse denaro contante, mentre non è denaro, ma un titolo di credito, ossia una promessa della banca di cambiarlo in denaro contante. Ciò vale anche per altre scritture bancarie, come i bonifici, gli swift, le lettere di credito, le carte di credito”.
E veniamo ai fuochi d’artificio finali:
Questo punto è importantissimo perché questi mezzi di pagamento, definibili come ‘promesse bancarie di denaro contante’, effettuano circa il 97% del volume di tutti i pagamenti e ammontano a circa 9 volte il valore di tutto il denaro contante esistente, delle banche e di soggetti diversi dalle banche. Il che implica che queste promesse bancarie di pagamento sono praticamente del tutto scoperte”.
A leggere il libro una sensazione ci assale: il mondo economico e materiale si basa, per lo più, su una recita. Si accettano gli euro (o i dollari o le sterline o i talleri) “per conformità, per gregarietà, per abitudine”. Il denaro si contrae e si espande secondo i bisogni dei dominanti, sempre più astratto e immateriale, slegato da qualsiasi produzione o bene: denaro di denaro, denaro al cubo, all’ennesima potenza, denaro che crea denaro, incessantemente.
Non sono un signoraggista. In tal senso: non riesco a padroneggiare a pieno i concetti alla base delle rivendicazioni signoraggiste. Tuttavia queste affermazioni provocano domande. Evocano sensazioni. Cos’é tale enorme massa di denaro svincolata da qualsiasi rapporto con l’economia “vera”? E tale proliferazione di denaro virtuale da quando inizia? Dal 1944? Dagli anni Settanta? O, molto lentamente, dal 1694, quando nasce la Bank of England, tanto che, a tal proposito, gli autori affermano:
L’importanza di questa trasformazione [il sovrano, complice delle banche, indebita lo Stato, ovvero il popolo, invece che sé stesso] è unica nella storia dell’umanità. Essa è la più grande e, soprattutto, la più stabile di tutte le rivoluzioni
Se fosse così … c’è una relazione diretta fra tale Rivoluzione e l’industrializzazione di massa? E fra questa e la fine dell’Ancien Régime? Con le Rivoluzioni Francese e Americana? Con la vittoria della democrazia? Con la scomparsa degli Stati-nazione?
 Con la Rivoluzione Sovietica che, comunista o meno, manteneva gli identici assetti dei paesi capitalisti?
C’è, poi, una relazione fra denaro virtuale e accrescimento demografico?
Denaro virtuale = tecnica = umanità in più … umanità però virtuale e, quindi, virtualmente sacrificabile …
Siamo alle soglie degli otto miliardi … L’Africa martoriata triplica i suoi abitanti, perché? Da dove vengono i soldi delle strade, dei ponti, dei palazzi? Della penicillina, del chinino riversato sull’Africa? Dei medici senza frontiere – maledette frontiere! – di fogne acquedotti e colture idroponiche?
Il denaro virtuale, tale gigantesco aggregato, è a doppio taglio?
È una garrota che ci strangola, ma anche la culla delle nuove masse? Nulla che genera qualcosa pronto a essere risucchiato nel nulla?
Come è stato possibile passare dal miliardo del 1850 circa ai quasi otto di oggi?
Non sarà che quella massa di denaro virtuale siamo noi?
Non vi sentite inutili?
Come ho già scritto: non sappiamo fare niente … la frenetica attività del quotidiano si basa su lavoricchi e perdite di tempo … son sempre in attesa di capire cosa faccia un broker … non facciamo nulla, vegetiamo … l’Italia si compone di una fascia improduttiva sempre più vasta … a Roma lavoreranno e produrranno beni il 10% degli esseri umani, a star larghi … in realtà trasformiamo, mediamo, trasportiamo … cose e oggetti e idee sempre più dozzinali … fatti e concepiti da minoranze … minoranze sempre meno italiane, peraltro … cosa producono Zuckerberg e Bezos lo sa il Cielo, lo sa …
Prosciugare tale bolla equivale a eliminare gran parte dell’umanità? La bolla di sapone del credito/debito é in realtà un ordigno atomico? Perché le banche – la faccio semplice – non premono il bottone fine-di-mondo? Perché non la fanno finita con noi? Perché l’un per cento si limita a farci stare progressivamente un po’ peggio (o un po’ meno bene) e basta? Sono sadici e carnefici al rallentatore? Perché non stringono i bulloni? Dov’è tale dominio, tale ansia di controllo? Perché permettono la proliferazione dell’umanità? Sono in un cul de sac? Hanno aperto i rubinetti per dominare e poi si son resi conto che chiuderli provocherebbe un’apocalisse? L’umanità é inutile per lorsignori, insomma, ma quattro miliardi di cadaveri son troppi da mettere sotto al tappeto? È un caso che la letteratura apocalittica nasca in Inghilterra nell’Ottocento? E che significa il successo planetario della figura dello zombi? Quelle masse di vivi-in-morte siamo noi? Una prefigurazione, tutt’altro che simbolica, del futuro?
Siamo divenuti ormai delle fungibili evanescenze? Metafore del denaro virtuale? Così come il denaro virtuale – il denaro-nulla – esiste, ma potrebbe non esistere, così vaghiamo noi, come vivi-in-morte, sul London Bridge de La terra desolata? Cos’è l’Apocalisse? Miliardi di esseri umani, mani e fronti marchiati a fuoco, che si incamminano verso il nulla … miliardi di uomini e donne, ormai inutili, condannati in un attimo, per colpa dei lazzi di un supercomputer (l’Easy Money 9000 oppure Burlone 666) che ha deciso di  – finalmente – dilavare l’economia dagli aggregati virtuali … immaginiamo, sorretti da Hollywood, le conseguenze: folli corse degli zombi ai bancomat riarsi, carte di credito come gusci vuoti, PC che ansimano, cellulari muti, urla per le strade alla ricerca di supermarket non ancora saccheggiati, grattacieli in fiamme, comprensori borghesi che si rabbuiano lentamente, città irreali, colonne di automobili rugginose su strade abbandonate, tempeste di neve, e piogge rovinose (la Natura si toglie di torno miliardi di parassiti, in fondo) … nascita di comunità paramilitari …
Se l’economia e otto miliardi di esseri si reggono su un debito impossibile da pagare, cosa accadrà quando il garzone verrà a riscuotere i sospesi? Soldi virtuali, umanità virtuale. L’umanità è inutile, insomma … lo scrissi tempo fa colpito da alcune riflessioni di Blondet rinvenute ne Gli Adelphi della dissoluzione.
A tal proposito, però, mi è venuto alla mente qualcosa d’altro: un passo di Pasolini.

Il 22 maggio 1975 Pasolini scrive uno dei suoi pezzi più terribili, dolosamente ignorato dai canonizzatori: si tratta di un ammonimento a Gennariello, un immaginario ragazzetto napoletano a cui il poeta impartisce socraticamente lezioni di vita.

[Non ho il feticcio di Pasolini. Nessuno dovrebbe avere feticci. Era un genio, questo sì. Un personaggio dilaniato da contraddizioni dolorose … fra la reale esistenza e il dover essere: privato e pubblico. Fra l’omaggio borghese ai suoi pari e il crescente disprezzo che provava verso di loro – poiché li conosceva a fondo, oserei dire  – tra il fascino della suburra, dove pur rinveniva infamie e piccinerie urtanti, e la doratura fasulla dell’intelligencija, di cui, invece, avvertiva la desolante mediocrità della passione, nonostante essa fosse ancora sostanziata da almeno due generazioni di grandi scrittori. Nella mia minuscola esistenza, a onta dei quarant’anni passati dalla sua morte e della personale e assoluta estraneità al mondo accademico e letterario, ho conosciuto – per l’imperio ridente del Caso – i due volti del dilemma pasoliniano: il fango e le stelle. Il Pasolini essoterico, quello delle mostre e dei convegni, dove l’ultimo dei cretini, che non l’ha mai letto, cicala di “Pier Paolo”, il Pasolini inventato, costruito, usato per la carriera o la tesi di laurea e dottorato, in fondo un santino innocuo, filtrato bonariamente quanto impeccabilmente dal cerchio magico composto da chi detiene, per legge, i diritti della sua opera; e quello sconosciuto a tutti, delle gesta da trivio, delle umiliazioni e protervie e infamie: atti che rimarranno sempre confinati nel cono d’ombra dell’irrilevanza poiché i soli che possono testimoniarli sono guitti, popolani e cantastorie senza speranza di visibilità. Non ho, quindi, il feticcio di Pasolini. Mi è caro, per la sua intelligenza e inattualità, per la vita schiantata dal Doppelgänger di una diversa sensibilità … e per le ultime parole che riuscì a mormorare … quelle sì davvero prive di ogni sottofondo … e per la testimonianza, spesso vittimista e querula, ma altre volte – quando, esasperato, viola gli argini della cautela – sincera sino alla crudeltà swiftiana]

Da tale fantastico Paedagogium leggiamo:

[Caro Gennariello] ti faccio un piccolo elenco dei tipi di tuoi coetanei che ti descriverò in questa sezione della nostra Pedagogia … mi è molto difficile descriverti i primi tipi del primo gruppo, cioè i destinati a esser morti … essi mi appaiono … come una categoria nuova, impensatamente comparsa in Italia da una dozzina d’anni … Chi sono questi destinati a essere morti? Sono coloro che fino a ppunto a una dozzina o una ventina d’anni fa (in Italia, e soprattutto nel Sud e trale classi povere) sarebbero morti nella primissima infanzia, in quel periodo che si chiama di mortalità infantile. La scienza è intervenuta … e li ha salvati dalla morte fisica. Essi sono dunque dei sopravvissuti, e nella loro vita c’è qualcosa di artificiale, di contro natura … trovare qualcosa di artificiale  o di contro natura in coloro che da bambini sono stati salvati dalla morte dalla tecnica medica, avrebbe avuto qualcosa di atroce e di reazionario in un mondo dove uno dei valori fondamentali fosse realmente la conservazione della specie … ma in un universo come il mostro, in cui tale valore si va rovesciando … sono decisamente maledetti coloro che nascono in più …  nessun figlio è ormai più accolto nel mondo con l’amore di un tempo, quando egli era appunto per definizione benedetto, Tutti sanno … che la distruzione dell’umanità dipende dal suo aumento demografico. Se tutti i figli, dunque, sento questa mancanza di benedizione dalla loro nascita – cosa che poi li rende così tristi e infelici per tutta l’infanzia e la giovinezza –  coloro che per di più sono stati strappati alla morte innocente dell’infanzia sentono con ancora maggiore violenza la loro colpevolezza di essere al mondo, di pretendere di essere sfamati e curati … la nuova generazione è infinitamente più debole, brutta, triste, pallida, malata di tutte le generazioni precedenti che si ricordino … tutti costoro o sono depressi o sono aggressivi: ma sempre in modo o penoso o sgradevole. Niente può cancellare l’ombra che una anormalità sconosciuta getta sulla loro vita”.

Certo, a proposito di denaro virtuale, avrei potuto citare un passo meno plumbeo … quello di Gargantua e Pantagruele, magari … in cui il giullaresco Panurge tesse le lodi del debito quale motore principe dell’economia … comunque non c’è da preoccuparsi, l’1% veglia su di noi.

Alceste
Fonte: http://alcesteilblog.blogspot.it
Link: http://alcesteilblog.blogspot.it/2018/01/perche-l1-ci-tiene-in-vita.html
13.01.2018
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