Di Raffaele Varvara per ComeDonChisciotte.org
Mi rivolgo ai miei colleghi curanti e, per esteso, a tutti i lettori di ComeDonChisciotte.org nonchè a tutti i cittadini di buon senso.
Cari colleghi,
Mai come in questo frangente della nostra vita professionale, abbiamo esperito un disagio così grande nell’esercizio della professione. Le amministrazioni da sempre ci hanno spremuti come limoni fino all’ultima goccia; da 30 anni siamo al servizio di un sistema che non ha a cuore la qualità delle cure né la sicurezza e il benessere dell’assistito ma ha come obiettivo esclusivamente la quadratura dei conti e il massimo risparmio/profitto. Anche tra mille difficoltà, tuttavia siamo sempre riusciti ad esercitare la professione avendo come guida solidi valori professionali come il rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza, delle scelte di vita e di concezione di salute e benessere, senza alcuna distinzione sociale, di genere, di orientamento della sessualità, etnica, religiosa e culturale. Oggi c’è un problema in più: siamo in molti a non riconoscerci nei valori deontologici che da sempre hanno guidato l’esercizio della nostra professione, a tal punto da pensare di abbandonare la professione.
Un disagio esistenziale a tutti gli effetti mentre nei nostri reparti e sui territori fortunatamente la situazione sta volgendo per il meglio. Possiamo dirlo, allarghiamo per un attimo la mascherina e prendiamo una boccata d’aria perché finalmente i dati sono confortanti.
Quei dati, insieme alla nostra esperienza clinica quotidiana devono rassicurarci: non corriamo più tra cpap, insufficienze respiratorie ed intubazioni; non dobbiamo più scegliere chi far vivere e chi far morire. In questo stretto senso, l’emergenza sanitaria, possiamo dirlo, è regredita rispetto a quella che di questi tempi, 1 anno fa si apprestava a spezzare le nostre vite personali e professionali.
Dobbiamo elaborare quei ricordi che so quanto ci fanno male, ma lo dobbiamo perché da noi dipende una grande responsabilità: da noi è partito l’allarme e da noi deve ri-partire la vita. Ai colleghi di buon senso rivolgo un appello per intraprendere una rivendicazione simbolica, al contempo significativa: consentiamo l’apertura delle visite dei parenti. In gran parte degli ospedali e delle RSA d’Italia, le porte delle unità operative, rimangono ancora chiuse alle visite dei parenti. L’accesso di familiari e visitatori è ancora considerato pericoloso e, quindi, rimane interdetto. Al momento del ricovero, dunque, la persona è letteralmente sottratta agli affetti dei familiari e rinchiusa nella sua camera di degenza; queste limitazioni fanno sì che il paziente sia completamente spersonalizzato, come se privarlo della sua dimensione relazionale fosse un normale prezzo da pagare in cambio di terapie volte alla guarigione, in tempo di post emergenza covid. Questa situazione è insostenibile sia per noi come operatori, sia per i nostri assistiti ed i loro parenti.
A questo proposito, ricevo e pubblico la testimonianza del sig. Francesco Cornaglia, avvocato milanese che ha scritto alla redazione di ComeDonChisciotte.org per “Denunciare il comportamento illegittimo che la Direzione Sanitaria del Pio Albergo Trivulzio di Milano ha posto in essere ai parenti dei ricoverati-lungodegenti imponendo un tampone naso-faringeo, come condizione obbligatoria per le visite agli stessi. Ho appuntamento per incontrare mia madre – che non vedo dall’8 di ottobre a causa di tre mesi di illegittimo blocco delle visite parenti – e so già che, di fronte al mio rifiuto di effettuare il tampone – che nessuna legge dello Stato nè della Regione Lombardia lo impone – mi verrà impedito di vederla. Ho già preparato un esposto-querela alla Procura della Repubblica di Milano che depositerò qualora la Direzione Sanitaria non scendesse a più miti consigli e mi impedisse appunto la visita”.
L’indignazione sta portando all’esasperazione. Se durante la fase acuta della pandemia, le limitazioni all’accesso dei familiari era una misura emergenziale e straordinaria, adesso bisogna tornare alla normalità, anche in ospedale. Il paziente ha diritto a essere accompagnato, nel tempo della malattia, dalle persone per lui più significative; la presenza dei familiari accanto all’ assistito non è una sorta di «concessione» ma rappresenta una scelta utile e motivata, una risposta efficace ai bisogni del malato e della sua famiglia. Questa scelta esprime il rispetto e l’attenzione dovuti al paziente e alla sua dignità di essere umano.
Invece ancora ci troviamo a dover fare i conti con varie restrizioni, che abbiamo tollerato quando c’era bisogno, ma che, alla lunga, si scontrano coi nostri valori deontologici; i regolamenti, per esempio, interdicono totalmente le visite dei parenti delle neo-mamme e di pazienti critici e/o terminali, mentre il codice deontologico dell’infermiere all’art. 24 – cure nel fine vita, riporta:“ L’Infermiere presta assistenza infermieristica fino al termine della vita della persona assistita. Riconosce l’importanza del gesto assistenziale, della pianificazione condivisa delle cure, della palliazione, del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale. L’Infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento della persona assistita nell’evoluzione finale della malattia, nel momento della perdita e nella fase di elaborazione del lutto”.
Oltre il danno, la beffa. C’è chi sostiene che le possibilità offerte dalla tecnologia siano un’immensa opportunità da applicare per vicariare financo il tocco di una mano al capezzale di una persona in fin di vita. Così il fine vita e l’ultimo saluto ad una persona, viene vissuto e dato “a distanza”, comodamente dal proprio divano di casa con una pratica e semplice “videocall” da uno “smartphone”.
I parenti in visita sono percepiti come un ostacolo all’assistenza o come potenziali accensori di focolai. Con un colpo di spugna si sono cancellati i progressi faticosamente raggiunti negli anni sul tema umanizzazione delle cure. Un esempio su tutti è la rivoluzione copernicana delle terapie intensive aperte, laddove numerosi dati della letteratura scientifica avevano dimostrato che la presenza di familiari e visitatori riduce in modo significativo le complicanze cardio-vascolari e gli indici ormonali di stress (1). Anche i contenziosi legali si abbassano laddove si instaura un adeguato “triangolo relazionale” tra curanti, pazienti e familiari. In molti casi, dunque, la presenza del caregiver è una valida risorsa per le cure medico-infermieristiche.
Sono tante ancora le resistenze culturali riguardo alla presenza di familiari in molti di noi sanitari, tuttavia credo che ci sia una nuova sensibilità al riguardo da quando molti di noi, soprattutto in questo anno, hanno provato l’esperienza di passare dall’altra parte; quando si diventa pazienti o si è parente di un paziente si comprendono molti più aspetti che spesso sono determinanti per svolgere in maniera più consapevole e umana la propria professione.
Chiedo a quei colleghi animati da umanità e buon senso di ascoltare questo grido d’ allarme proveniente dalla società civile e di prenderci cura, come noi sappiamo fare, di questo dramma collettivo. Rendiamoci disponibili per un patto con i cittadini: aiutiamoli a difendere un loro diritto facendo obbedienza deontologica.
Per ripartire ciascuno deve fare il massimo di quello che può. Noi sanitari al fianco dei cittadini per restituire dignità ai 2 momenti più importanti della vita: la nascita e la morte. I cittadini al fianco dei sanitari nelle nostre battaglie per la libertà di scelta di sottoporsi al vaccino.
Cittadini e colleghi di buon senso: siete l’avanguardia della rivoluzione contemporanea, FORZA!
https://www.byoblu.com/2021/02/04/e-lecito-per-un-operatore-sanitario-aver-paura-del-vaccino-anti-covid-raffaele-varvara-byoblu24/
—
NOTE
1)Fumagalli S. et al, Reduced cardiocirculatory complications with unrestrictive visiting policy in an intensive care unit: results from a pilot, randomized trial. Circulation 2006;113:946-52