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La Redazione

 

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Nessuno sa la verità

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A cura di Nestor Halak
Il 31 Maggio 2023
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Nestor Halak per Comedonchisciotte.org

Sembra oramai assodato che lo scopo dell’amministrazione americana nel portare la guerra in Ucraina sia quello di costringere la Russia ad una sanguinoso conflitto che dovrebbe distruggerla economicamente e politicamente fino a causare un cambio di regime interno  sostituendo l’attuale con uno più favorevole agli interessi esteri per poi arrivare alla distruzione della Russia come potenza internazionale e farne un terreno di sfruttamento per i complessi industriali, commerciali e finanziari occidentali.

Al medesimo scopo erano già state provocate le guerre in Cecenia e in Georgia e qualcosa di simile tentato in Asia Centrale. Mi pare abbastanza chiaro che dal punto di vista strettamente militare nessuna di queste guerre per procura avrebbe potuto essere davvero vinta sul campo, a meno di un vero e proprio miracolo, ma che il fine reale non fosse di vincerle militarmente, anche perché la Russia è una potenza nucleare di prima grandezza e in situazione critica potrebbe sempre decidere di usare l’arma atomica, ma appunto di servirsene come mezzo di destabilizzazione interna. Ciò, tra l’altro, conferma che le truppe usate sono sostanzialmente carne da cannone.

Beninteso, lo stesso trattamento è previsto per quanto riguarda la Cina, ma Taiwan è un’isola per cui è molto più difficile trovare dei combattenti locali abbastanza forti ai quali poter affidare la guerra suicida senza la diretta partecipazione delle forze aereonavali americane. Comunque il sogno statunitense resta quello di riuscire a far combattere russi con russi, cinesi con cinesi, onde evitare che migliaia di bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce comincino ad arrivare a Washington.

In Ucraina questa strategia ha per il momento funzionato soltanto parzialmente perché la Russia si è rivelata, soprattutto dal punto di vista economico e sociale, decisamente più resistente di quanto preventivato, tuttavia il fatto di aver messo in opera una guerra in territorio russo, dove muoiono migliaia di russi (anche i morti ucraini per quanto riguarda gli americani, sono in un certo senso morti russi o quasi russi), è di per se una vittoria strategica. Certo costa molto anche agli Stati Uniti, ma non dimentichiamo che gli Usa i soldi li stampano e finché trovano chi li accetta, il problema è superabile. E poi una parte della guerra è pagata dai sudditi coloniali, in primo luogo dagli europei. Dal punto di vista americano si tratta di insistere non tanto fino a vincere, cosa che appare improbabile, ma fino a portare la Russia al collasso per cedimento interno. Così come un tempo accadde all’Unione Sovietica.

Il rischio più immediato di questa strategia è che collassi prima il regime ucraino, il che potrebbe portare la Russia, volente o nolente, a riprendere il controllo di tutto o quasi il territorio e al rafforzamento del proprio governo col conseguente fallimento del piano. Proprio per questo il sostentamento del regime di Kiev deve essere assicurato e se possibile aumentato senza sosta e a questo fine tutte le risorse anche propagandistiche dell’impero devono essere mobilitate: è essenziale che l’Ucraina continui a resistere militarmente: non è poi così facile trovare dei gonzi disposti a morire per gli interessi altrui.  Per inciso mi pare  evidente che da parte russa non si tratta di impedire all’Ucraina di entrare nella Nato – che è solo il nome che si da all’organizzazione imperiale americana in Europa – ma di convincerla ad uscirne, in quanto l’Ucraina è già membro Nato a tutti gli effetti pratici fin dal 2014.

Resta vero che ben difficilmente i russi possono essere sconfitti sul piano strettamente militare, almeno non in Ucraina, sia perché la loro capacità di escalation in loco è certamente superiore, sia perché gli eserciti europei sono in realtà ben poca cosa e per nulla vogliosi di combattere, sia perché la costruzione di un corpo di spedizione americano richiederebbe molto tempo, centinaia di migliaia di uomini e tutto un complesso sociale,  politico, logistico, militare e industriale  che al momento l’America non pare possedere né avere la possibilità di costruire nel breve periodo. La speranza di vittoria deve dunque basarsi principalmente sulla scommessa che il potere russo sia internamente diviso e non ha abbia nel suo complesso volontà di arrivare fino in fondo alla partita. Se il cedimento ancora non viene, occorre semplicemente insistere e superare i limiti che si erano precedentemente posti: per esempio ultimamente gli americani sono giunti alla determinazione di consentire la fornitura al regime di Kiev di aerei da combattimento, cosa che  lo stesso Biden aveva sempre categoricamente escluso sia per gli evidenti problemi logistici ed operativi che comporta, sia, per dirla con parole sue, per non “rischiare la terza guerra mondiale”. La stessa cosa è già avvenuta per i missili a lungo raggio, i droni marini, i carri armati, le difese anti aeree. Se sono  giunti al punto di far saltare un gasdotto che serviva la colonia europea più importante in Europa, non si faranno certo molti scrupoli a proseguire su questa strada.

I russi da parte loro hanno cominciato ad opporsi allo strapotere americano fin dall’ascesa al potere del presidente Putin, ma in maniera  piuttosto indiretta e ondivaga cercando sempre e comunque di trovare un accordo tra “pari”, status che gli americani non gli hanno mai riconosciuto. Pare che i russi, al contrario della controparte, che già scrivevano nei trattati con gli indiani falsità come “questa terra sarà vostra finché i fiumi scorreranno e l’erba crescerà”, attribuiscano molto valore a “qualcosa di scritto”.  Il risultato, però, non pare molto brillante se si pensa che nonostante carte e trattati suggellati dall’Onu, è stata loro imposta l’ennesima una guerra in casa: certamente non un buon risultato strategico. Evidentemente il patto Molotov / Ribbentrop non gli ricordava nulla. Comunque, sia il primo tentativo di risolvere la questione con gli accordi di Minsk, sia il successivo di “caldeggiare” l’accordo con un’azione militare spettacolare, ma soprattutto dimostrativa (prima fase della operazione militare speciale), sono evidentemente falliti.

Per capire i motivi di questa politica incerta occorre probabilmente considerare che il governo capeggiato dal presidente Putin, al contrario da come viene dipinto dal main stream occidentale, è in realtà un’amministrazione moderata, assolutamente incline al negoziato, che deve tenere conto delle diverse parti in lotta nella politica interna russa, che vanno dalla cricca filo occidentale composta dagli eredi degli anni novanta quando la Russia era diventata una sorta di colonia americana (più che a un partito politico assomigliano ad una elite compradora sudamericana); ai moderati che desiderano una Russia europea, alleata dell’occidente, che abbia il prestigio e lo standard di vita di una grande nazione europea e il peso politico che la sua stazza comporta; ai nazionalisti imperiali che vogliono il ritorno ad una pura politica di potere che riporti la Russia al ruolo di superpotenza mondiale.

A seconda di quale fazione risulta nella contingenza più influente, il governo oscilla tra la ricerca quasi ossessiva di un accordo per non “alienarsi definitivamente gli occidentali” e la difesa della sicurezza e degli interessi nazionali a costo anche dello scontro militare.  Certamente l’ aggressività, l’inaffidabilità, la doppiezza e le cattive intenzioni degli americani non fanno altro che favorire la fazione più belligerante. In ogni caso non dobbiamo stupirci troppo che certi centri di potere interni siano disposti a barattare gli interessi nazionali per vantaggi corporativi: non è forse ciò che accade di continuo sia nel nostro governo che negli altri governi europei? I nostri politici eletti fanno forse i migliori interessi delle nazioni che amministrano? O si sono piuttosto venduti e sottomessi ad ordini di centri di potere esterni? Gli “imprenditori” americani non hanno forse deindustrializzato il paese per pagare un poco di meno gli operai? Come vedete, nessuno è perfetto.

La Russia è rimasta sostanzialmente inerte di fronte alle manovre americane di colonizzazione dell’Ucraina almeno fino al 2014, ma le azioni  intraprese all’indomani del colpo di stato di Maidan hanno indotto a credere che si fosse infine decisa a contrastare l’aggressività americana, almeno sulla porta di casa e hanno probabilmente indotto gli statunitensi a considerare assolutamente imprescindibile la rimozione dal potere dell’amministrazione Putin. Tuttavia, dopo l’annessione della Crimea e la sconfitta ucraina in Donbass, anziché portare a termine l’azione intrapresa riprendendo l’essenziale controllo sull’ Ucraina, i russi, quasi impauriti dalle loro stesse iniziative, hanno di nuovo fatto marcia indietro cercando per l’ennesima volta un compromesso.

Come abbiamo visto, il risultato  ottenuto è stato il riarmo Nato dell’Ucraina, decine di migliaia di morti civili (russi), per mezzo di una guerra a bassa intensità, e sanzioni economiche. Quindi, probabilmente nell’imminenza di un nuovo attacco al Donbass  nella primavera del 2022, Putin non ha avuto altra scelta che dare il via all’operazione speciale, che peraltro ha voluto moderata anche nel nome.

A partire da questo momento le provocazioni americane volte al mantenimento e se possibile all’aggravamento del conflitto sono proseguite in un continuo crescendo, dal furto dei beni russi all’estero, a sanzioni che sono veri atti di guerra, all’affondamento dell’ammiraglia della flotta del Mar Nero, agli assassini mirati di civili, all’attentato al ponte di Kerch, all’incredibile distruzione del gasdotto Nord Stream, alla fornitura di armi di tutti i tipi, persino all’uranio impoverito, al drone sul Cremlino alla persecuzione di stampo fondamentalista della cultura russa. Ogni volta i russi hanno risposto sotto tono, sempre cercando di non chiudere la via ad un accordo che mi pare più o meno inutile. Del resto il diritto internazionale non è garantito da nulla, a meno che non si disponga preventivamente di un nodoso bastone sotto il tavolo, come ammoniva il presidente Wilson. E visto che sostanzialmente ben poco è accaduto in rappresaglia alle provocazioni, gli americani, come è nel loro stile, si sentono autorizzati ad alzare sempre più il tiro.

Per fare solo un esempio, non si può non constatare che il Cremlino ha ritenuto opportuno rinnovare l’accordo che consente l’esportazione del grano ucraino via mare, permettendo il funzionamento del porto di Odessa apparentemente senza contropartita, visto che gli ostacoli di fatto all’esportazione dei fertilizzanti russi non sono mai stati  rimossi dagli europei. Perché? Per migliorare la propria immagine internazionale? Ma se davvero ci tengono all’immagine, mi pare che la sparata di Pregozhin, che ha mostrato (o finto di mostrare), le divisioni interne di un paese in guerra, oppure la massiccia ritirata dello scorso autunno abbiano un effetto sull’immagine ben peggiore della negazione al nemico dell’uso dei porti del Mar Nero.

Molti sostengono che i russi vogliono salvaguardare la popolazione ucraina che considerano sorella, perciò agiscono con grande circospezione. Sarà sicuramente così, solo che in certi casi si finisce per fare più morti col presunto umanitarismo che con la fermezza. La guerra non è mai umanitaria e ha ragione solo chi vince.  Si dice che gli ucraini hanno già perso più di 300.000 uomini e non sono certo tutti convinti nazisti, anzi, per la maggior parte è gente presa per strada e mandata al fronte a viva forza. Si dice che 14.000 civili erano già stati uccisi negli otto anni di attesa russa del rispetto degli accordi di Minsk,  certamente ci sono già migliaia di morti tra i soldati russi e ancora non siamo certo all’epilogo. Comunque lo valutiate, questo non mi pare un risultato umanitario.

Al momento attuale, dopo la caduta di Bakhmut\Artiomosk, siamo tutti in attesa della annunciatissima controffensiva ucraina resa possibile dagli sforzi congiunti di tutto l’occidente. Un’offensiva che non lascia presagire nulla di buono e che potrebbe cambiare poco, ma anche essere risolutiva del conflitto.

Tenuto conto della situazione generale, non pare probabile che l’Ucraina/Nato possa conseguire risultati militari decisivi a meno che non intervengano direttamente altre armate (ma non si vede quali), oppure fattori interni alla politica russa che rovescino la situazione. E’ possibile che sia proprio in questi ultimi gli americani sperano.

Sembra tuttavia più probabile che la “grande controffensiva” con le nuove wunderwaffen occidentali, se davvero verrà lanciata, porti ad una nuova carneficina ed a perdite tali da avviare al collasso proprio l’ Ucraina, che oramai , si dice, conta la metà della popolazione presente prima della guerra. Pare che qualcosa come venti milioni di ucraini siano scappati all’estero: eppure c’è chi trova ancora vantaggioso mettersi con gli Stati Uniti, nonostante tutto ciò che toccano vada in pezzi. Se il crollo si dovesse effettivamente verificare, l’opzione migliore degli americani diventerebbe quella di negoziare una tregua: a quel punto dipenderebbe tutto dalla buona volontà di Mosca, cioè dall’orientamento politico prevalente al Cremlino che non si sa bene quale potrà essere. Di sicuro l’accettazione di una tregua sulle posizioni raggiunte con un nemico in difficoltà, non avrebbe l’aspetto di una vittoria russa, ma piuttosto un modo di evitare l’umiliazione americana. E i “nuovi accordi di Minsk” non potrebbero che avere lo stesso esito dei precedenti.

C’è da dire che, date le qualità già abbondantemente dimostrate dai membri del governo americano, palese e sotterraneo, non si può escludere la possibilità che invece della tregua (o nel caso che la tregua venisse giustamente respinta dalla controparte),quei gentiluomini optassero per una nuova scommessa, un nuovo raddoppio, una di quelle iniziative che per decine di volte dichiarano assolutamente impossibili, ma che poi tranquillamente intraprendono. A quel punto quale altra wunderwaffe potrebbe mai essere proponibile se non una bomba nucleare? Magari tattica, una roba piccola, intendiamoci, poco più di un petardo.

Credo infatti che, da fanatici guerrafondai quali sono,  potrebbero anche arrivare a ritenere accettabile una guerra atomica in Europa purché limitata. Forse un’esplosione atomica su Sevastopoli potrebbe essere tollerata anche se magari seguita dall’uso di qualche bomba russa in Ucraina. Magari, col tempo, anche l’accidentale perdita di Varsavia o Berlino potrebbe essere messa in conto: dopo tutto l’America è dall’altra parte dell’oceano e i russi, a quanto possono dedurre dai precedenti, non oserebbero colpirli. O no? Dopo tutto la bomba la userebbero gli Ucraini, mica gli americani, così come sono stati gli ucraini a far saltare il Nord Stream con l’incredibile acquiescenza degli un tempo bellicosi germani.

Per evitare di incoraggiare questo modo di pensare e per superare quel senso di impunità e intoccabilità che gli americani ancora conservano, mi pare necessario che la risposta russa alle provocazioni diventi più dolorosa e puntuale di quanto non sia stata fino ad oggi. Dalla seconda guerra mondiale in poi le amministrazioni Usa hanno fatto letteralmente milioni di morti senza mai pagarne il prezzo, il che potrebbe portarle ad osare l’impensabile. Dopo tutto l’atomica loro l’hanno già usata (solo loro e per di più su obbiettivi civili), e se possono far saltare un gasdotto russo che rifornisce l’Europa senza conseguenze nascondendosi dietro un dito, perché non dovrebbero pensare di poterla fare franca anche stavolta?

E’ forse un’ipotesi remota, ma credo che i russi farebbero bene a rendere ben chiaro e pubblicamente che se un ordigno atomico dovesse mai esplodere in Ucraina, quello successivo non sarebbe destinato ad una qualche concentrazione di truppe di Kiev, ma ad un obbiettivo americano, un luogo dove a loro fa male davvero. Dopo tutto la pace mondiale fino ad oggi si è basata sull’equilibrio del terrore, non sulle buone intenzioni.

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