Lotta Di Classe In Svezia

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DI GABRIEL KUHN – MICKE NORDIN

counterpunch.org

La proposta di “Peace Obligation” [Impegno di Pace NdT]

La rinascita di – veri o auto-proclamatisi – movimenti socialisti nel Nord Globale ha portato a interpretazioni molto benevole della vita nei paesi nordici. La Svezia, in particolare, è stata spesso presa come modello per il “socialismo democratico” sposato da Bernie Sanders e altri.

È vero che il lascito del forte movimento operaio svedese e la sua amministrazione social-democratica rendono lo stato sociale in qualche modo più resistente rispetto ad altri paesi. La Svezia ancora gode di un relativamente alto livello di sindacalizzazione, fondi governativi per le pari opportunità nell’istruzione, nell’occupazione e nelle arti, sistema sanitario universale, istruzione gratuita e così via. La Svezia si classifica ai primi posti anche riguardo all’implementazione dei diritti delle donne e delle persone LGTBTQ, ha politiche sull’immigrazione relativamente liberali e dedica una percentuale sopra la media del suo PIL a progetti di sviluppo nel Sud Globale. Tutto ciò è giustamente allettante per chi abbraccia valori socialisti di uguaglianza e internazionalismo.

Ma la Svezia è stata segnata dall’era neoliberista quanto qualsiasi altro paese. Negli anni ‘90, il Partito Social Democratico – che ha governato il paese, con brevi interruzioni, sin dagli anni ‘20 – abbracciò politiche in stile New Labour, privatizzando ingenti parti del settore pubblico, incluse cliniche, scuole, servizi postali, il sistema dei trasporti e le case popolari. Il governo di centro-destra che controllò il paese dal 2006 al 2014 accelerò questo nuovo corso. A Stoccolma, la percentuale delle case popolari fra le abitazioni disponibili calò dal 75% del 1990 al 45% nel 2015. I prezzi sul mercato privato sono schizzati alle stelle, il che ha rimodellato l’intero tessuto sociale della città. In tutto il paese, l’idoneità per i sussidi di disoccupazione e invalidità è stata sostanzialmente ridotta. E i sindacati, un tempo potenti, hanno perso molta influenza, anche per il fatto che interi settori economici sono stati assorbiti dalla gig economy (dalle consegne, pulizie e ristorazione al lavoro culturale, accademico e IT).

Se fosse necessaria una qualche ulteriore prova dell’errata percezione della Svezia come un paese quasi socialista, dell’aumento degli attacchi alle conquiste del movimento dei lavoratori e del tradimento di classe della dirigenza socialdemocratica, questa è stata fornita dalla proposta del giugno 2018 di riscrivere importanti sezioni della legge sul lavoro svedese. La proposta si intitola “Impegno di Pace sui Luoghi di Lavoro con Contratti Collettivi e nel Caso di Controversia”. Fu concepito come uno sforzo congiunto della Confederazione delle Imprese Svedesi e le più grandi associazioni sindacali del paese e tradotta in una proposta di legge dal Ministero del Lavoro svedese, guidato dalla Social Democratica Ylva Johansson.

Il compendio delle 68 pagine della proposta include le seguenti frasi:

“Questo testo propone che un dipendente non debba impegnarsi in azioni sindacali contro un datore di lavoro che ha firmato un contratto collettivo con un altro sindacato, cioè, un datore di lavoro che è già legato da un contratto collettivo. Il testo propone che le azioni sindacali saranno legali solo se il loro scopo è concertare un contratto collettivo che presuppone un impegno di pace e se le rivendicazioni connesse all’azione sindacale siano state previamente negoziate con il datore di lavoro. … Il documento inoltre propone un’estensione della proibizione di azioni sindacali durante un contenzioso. La proibizione attuale si applica a datori di lavoro e dipendenti legati da contratti collettivi quando impegnati in dispute legali relative a tali contratti. Questo testo propone che l’interdizione si applichi anche a datori di lavoro e dipendenti non legati da alcun contatto collettivo.”

In parole povere, questo rende tutte le forme di azione sindacale illegali a parte i tentativi di forzare i datori di lavoro a firmare un contratto collettivo se non l’hanno ancora fatto – e anche in questo caso, i lavoratori e le loro organizzazioni devono presentarsi prima al tavolo delle trattative.

Per capire le conseguenze di vasta portata di questa proposta, dovesse diventare legge, dobbiamo guardare a cosa la Corte del Lavoro svedese nel corso degli anni ha stabilito essere “azione sindacale”. In un verdetto del 2005, la corte dichiarò che “in sostanza ogni azione – o la sua mancanza – che può avere un impatto sulla parte contro cui è diretta, può essere considerata un’azione sindacale.” Questo può praticamente comprendere qualsiasi cosa. Infatti, scopriamo che in certi casi la corte del lavoro svedese ha classificato azioni come il volantinaggio e scrivere articoli d’opinione come azioni sindacali. Se, come la proposta suggerisce, azioni come queste diverranno illegali in connessione con praticamente qualsiasi disputa sul lavoro, allora anche azioni extragiudiziali – o semplici dichiarazioni – di solidarietà con lavoratori intimiditi o discriminati diventeranno illegali.

Le conseguenze del violare il codice legale sono già divise in maniera impari tra capitale e lavoro. Secondo la legge del lavoro svedese, i datori di lavoro possono evitare procedimenti legali, per esempio nel caso di licenziamenti illegittimi, offrendo compensazioni economiche. I lavoratori non se la cavano così facilmente. I sindacati possono, per esempio, essere considerati responsabili di tutte le presunte perdite che i datori di lavoro subiscono a causa di azioni sindacali illegittime contro di loro. Una volta che quasi tutte le forme di azione sindacale verranno messe fuori legge, intere organizzazioni di lavoratori potranno essere mandate in rovina.

Deve anche essere sottolineato che, secondo la proposta, i datori di lavoro non saranno obbligati a firmare contratti collettivi con i sindacati di maggioranza. Spetta a loro decidere con quali sindacati vorranno firmare un accordo, e questo accordo sarà vincolante per tutti gli altri. Essenzialmente, questa è una licenza a istituire i cosiddetti sindacati gialli. Sindacati avviati dagli stessi datori di lavoro per assicurarsi che le leggi sul lavoro siano rispettate mantenendone il pieno controllo. In un pezzo per il sito Transnational Social Strike (TSS), gli organizzatori di una conferenza del TSS a Stoccolma nel novembre 2018 lo descrissero esplicitamente: “Ciò significa che un datore di lavoro può invitare qualsiasi numero di lavoratori a firmare un accordo e poi forzare tutti gli altri ad accettare questo trattato di pace. Il padrone potrebbe in sostanza impiegare i suoi cugini o amici, concordare il peggior accordo possibile e poi incriminare chiunque agisca contro di esso.”

La proposta del ”Peace Obligation” è anche ingannevole. Un esempio riguarda le conseguenze per la parità in materia di occupazione. Sotto l’intestazione “Conseguenze per la Parità tra Uomini e Donne”, la proposta sostiene che ne risentiranno “più uomini che donne”. La ragione che se ne dà è “la divisione di genere all’interno dell’industria dei trasporti e delle costruzioni.” Tralasciando l’inquietante suggerimento che più parità fra i generi possa essere raggiunta riducendo i diritti degli uomini piuttosto che estendendo quelli delle donne, questa affermazione è semplicemente falsa. Un rapporto dell’Ufficio Nazionale di Mediazione – che viene sistematicamente citato per l’intera proposta – chiaramente afferma l’opposto: “Durante il periodo in questione [2000-2016], la maggior parte dei casi di tali dispute [riguardanti azioni sindacali] si sono verificati fra addetti alle pulizie (circa 50), seguiti da lavoratori di hotel e ristoranti (circa 45), scaricatori di porto (circa 35), operai edili (circa 30), nella vendita al dettaglio (circa 30) e nell’industria pesante (circa 20).” In breve, le industrie più colpite, se la proposta diventerà legge, saranno quelle dominate dalle donne. Ciò è in palese contraddizione con le affermazioni della proposta.

È anche discutibile come la proposta possa essere conciliata con la Convenzione 87 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, intitolata “Libertà Sindacale e Protezione del Diritto Sindacale.” La convenzione, ratificata dalla Svezia nel 1949, richiede che tutti i paesi firmatari “adottino tutte le misure necessarie […] al fine di garantire ai lavoratori e ai datori di lavoro il libero esercizio del diritto sindacale.” Inoltre afferma che “la legislazione nazionale non dovrà ledere, né essere applicata in modo da ledere, le garanzie previste dalla presente convenzione”. Ora, in pratica, il diritto dei lavoratori svedesi ad aderire ad una particolare organizzazione sindacale sarà reso inutile se tali organizzazioni non hanno alcun diritto a fare alcunché. Il paradosso diventa particolarmente ovvio se guardiamo a come la “libertà sindacale” è definita nell’Articolo 11 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ratificata dalla Svezia nel 1953: “Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e ad aderire ad essi per la difesa dei propri interessi.” Sì, i lavoratori dovrebbero essere in grado di aderire ad un sindacato per la protezione dei loro interessi, non giusto per il gusto di farlo.

Se, come suggerito dai suoi autori, la proposta del “Peace Obligation” diventerà legge dal primo gennaio 2020, i sindacati indipendenti che non sono ancora arrivati ad accordi di partecipazione al potere con la classe dominante – o che non hanno interesse alcuno a firmare tali accordi – non potranno più agire come sindacati. Il sindacato SAC, per esempio, si oppone a firmare contratti collettivi a causa delle clausole che già contengono secondo la legge svedese, per esempio accordi anti-sciopero e altre restrizioni sulle loro attività.

Se la proposta della “Peace Obligation” diventa legge, l’azione sindacale praticamente scomparirà da un paese dove è già diventata rara data l’istituzionalizzazione socialdemocratica del movimento operaio. Sin dagli anni ‘80 il numero di giorni di sciopero è diminuito costantemente. Nel 1986, ci furono 682.652 giorni di sciopero registrati. Nel 2017 ce ne furono 329. Il SAC, con una modesta quota di 3000 membri, spesso è in cima alla lista annuale.

Background

Gli scioperi al Porto di Göteborg del 2017, guidati dal Sindacato Svedese degli Scaricatori di Porto, sono spesso considerati l’innesco che ha dato il via alla proposta del “Peace Obligation”. Il Sindacato Svedese degli Scaricatori di Porto, uno dei maggiori sindacati indipendenti di Svezia, si è visto negati i diritti di negoziazione collettiva da quando si divise dal Sindacato Svedese dei Lavoratori dei Trasporti nel 1972. Ciò portò a ripetute agitazioni al Porto di Göteborg, il piu grande della Scandinavia. Le presunte perdite per l’industria svedese causate dagli scioperi del 2017 sono state stimate in mezzo miliardo di USD.

Comunque, il conflitto al Porto di Göteborg è servito alla classe dominante soprattutto come scusa per avanzare le proprie posizioni. Già nel 2005, la Confederazione delle Imprese Svedesi ha pubblicato un rapporto dal titolo rivelatore “Il Modello Svedese si è Ribaltato”. I suoi autori lamentano il vantaggio ingiusto che i sindacati avrebbero rispetto all’industria in Svezia, o, per usare il linguaggio ufficiale del rapporto, “lo squilibrio tra le parti nel mercato del lavoro”.

In una campagna chiamata “Vantaggio Svezia”, la Confederazione delle Imprese Svedesi ha offerto una proposta per rettificare questo squilibrio percepito. Un comunicato stampa dell’aprile 2005 fu molto chiaro: “Oggi, è facile per i sindacati indire scioperi. …Ma mantenere l’ordine sul mercato del lavoro è importante per il potere competitivo delle aziende svedesi, e perché la Svezia rimanga un paese attraente per le imprese. La nostra campagna prende in esame le condizioni che consentono alle imprese di operare in Svezia e le future opportunità di lavoro. Se la Svezia non si doterà di un sistema adeguato per il suo mercato del lavoro, molte aziende si asterranno dall’aprire e sviluppare succursali qui.” Le misure ritenute necessarie per stabilire un ”sistema adeguato per il mercato del lavoro” includevano una “ regola della proporzione, cioè, la richiesta che uno sciopero e i suoi scopi debbano essere proporzionati alle conseguenze e agli effetti che hanno per le imprese e le terze parti”; una “proibizione di azioni di supporto, cioè, una misura per assicurare che i datori di lavoro di terze parti non possano essere trascinati nelle dispute di altre parti”; una “proibizione di dispute con effetti dannosi per la società”; una “proibizione per i sindacati di iniziare scioperi contro imprese in cui non hanno membri”; e – prevedibilmente – una “proibizione di scioperi per organizzazioni senza contratti collettivi su luoghi di lavoro dove contratti collettivi già esistono.”

Per capire come i Social-Democratici possano appoggiare tali proposte (o, almeno, alcune parti), dobbiamo capire quanto profondamente scorra il compromesso di classe nella società svedese. Fu per la prima volta fissato nell’accordo di Saltsjöbaden del 1938 tra l’Associazione Svedese dei Datori di Lavoro (un antesignano della Confederazione delle Imprese Svedesi) e LO, il maggiore della confederazione dei sindacati nazionali e, tuttora, fortemente legato al Partito Social Democratico. Di particolare importanza per la situazione attuale, comunque, fu il modello del dopoguerra Rehn-Meidner, che prende il nome da Gösta Rehn e Rudolf Meidner, due economisti del LO.

Il modello Rehn-Meidner era in sintonia con politiche keynesiane di stimolo alla crescita economica e di salvaguardia della stabilità politica attraverso l’intervento statale nelle politiche fiscali e sul mercato del lavoro. Aiutò a mantenere l’inflazione bassa, l’occupazione alta e i redditi divisi abbastanza equamente. Ma il suo successo dipese molto dal boom economico che si ebbe in Europa dopo la seconda guerra mondiale, e non aveva disposizioni contro le crisi economiche. Questo influenzò anche uno dei suoi aspetti fondamentali, la cosiddetta “politica dei salari di solidarietà”, che serviva a prevenire differenze significative fra i salari di differenti settori. Aziende che non potevano mantenere i livelli salariali richiesti da questa politica dovevano chiudere, il che, a sua volta, portò a una forte concentrazione del potere industriale. Alla fine degli anni ‘70, l’80% dei membri del LO lavorava per 20 aziende altamente redditizie. È un fatto spesso trascurato che la Svezia ospita alcune delle aziende più ricche e più potenti d’Europa. Oggi, il 10% della popolazione svedese possiede il 70% della ricchezza del paese, una cifra sostanzialmente più alta della maggior parte degli altri paesi europei. Insieme alle capacità diplomatiche dei politici del paese, la redditizia industria esportatrice in Svezia fu fondamentale per lo sviluppo dello stato sociale svedese.

Quando, negli anni ‘70, la crescita economica iniziò a declinare e la produzione ad alta intensità di lavoro cominciò a muoversi verso paesi a basso salario, il modello Rehn-Meidner non fu più sostenibile. L’aumento della competizione internazionale significò che i salari nelle aziende svedesi orientate all’export non potevano più crescere al ritmo precedente se si voleva evitare delocalizzazioni massicce. La politica del salario di solidarietà fu abbandonata e le aziende orientate all’export ora stabiliscono lo standard dei salari nel paese. Ciò aumentò anche il potere dei sindacati del settore orientato all’export. Il sindacato dei metalmeccanici IF Metall diventò un giocatore particolarmente potente in questo contesto. Sia l’attuale primo ministro provvisorio Stefan Löfven che il presidente del LO Karl-Petter Thorwaldsson sono emersi dai ranghi dell’IF Metall.

Resistenza

Mentre il LO e altre confederazioni sindacali mainstream si avvicinano agli interessi del mondo degli affari – IF Metall, per esempio, ha esplicitamente condannato gli scioperi al Porto di Göteborg – c’è resistenza tra i membri ordinari. Comunque, i poteri dei membri ordinari sono limitati considerato che i leader dei sindacati disapprovano ogni critica pubblica alla proposta di “Peace Obligation”, figuriamoci azioni di protesta. Ma la resistenza da parte di sindacati indipendenti e attivisti aumenta. Guidati da una coalizione chiamata “Strike Back”, diverse dimostrazioni e azioni dirette hanno avuto luogo in tutto il paese sin dall’estate. Il 25 agosto 2018, duemila persone si sono radunate a Stoccolma per un giorno di azioni che includevano marce, blocchi, e una protesta davanti al quartier generale del LO.

Ma datemi retta: la rilevanza di questo conflitto non è limitata in alcun modo alla Svezia. La ragione per cui i diritti degli scaricatori di porto svedesi, insieme a quelli dei sindacati indipendenti, siano sotto attacco ha molto a che fare con l’aumentata importanza della logistica in un sistema capitalistico in cui catene di produzione globali e manifattura just-in-time sono diventate essenziali. Gli scioperi di Göteborg hanno colpito al cuore il capitalismo neoliberale. Il capitale, in Svezia e oltre, disperatamente cerca di prevenire effetti a catena. Leggi come quelle impostate nella proposta di “Peace Obligation” potranno diventare il modello per legislazioni simili in altri paesi. Stiamo entrando in una nuova fase della lotta di classe internazionale.

Se la proposta dovesse davvero diventare legge, le organizzazioni dei lavoratori più radicali come il SAC dovranno ridefinire il loro ruolo. Possono essere rese impotenti come sindacati, ma non come organizzazioni di lavoratori militanti. Infatti, l’intensificazione della lotta di classe potrebbe aprire nuove opportunità per le mobilitazioni degli anni a venire. Ecco come un membro del SAC concluse il suo discorso ad un raduno del dicembre 2018:

“Noi lotteremo sempre per i nostri diritti. Anzi, ci può essere grande libertà nell’intraprendere scioperi al di fuori della legge. Se la legge non ci protegge, dobbiamo assicurarci che non protegga nemmeno le imprese e i padroni che fanno soldi sul nostro lavoro. Pensate quanto potrebbe essere liberatorio non dover più informare degli scioperi l’Ufficio di Mediazione Nazionale. E pensate quanto sarebbe bello evitare l’ostruzionismo senza fine nelle corti del lavoro e altri ostacoli formali che padroni e politici impiegano per tenerci a bada. … Fra un anno, il diritto allo sciopero potrebbe essere storia – ma gli scioperi sopravviveranno!”

 

Gabriel Kuhn e Micke Nordin sono membri del Comitato Centrale dell’organizzazione sindacale Sveriges Arbetares Central (SAC).

Fontehttps://www.counterpunch.org/

Linkhttps://www.counterpunch.org/2019/01/04/class-war-in-sweden/

4.01.2019

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di Amago

 

 

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