Draghi, nani e fate: compromessi per l’Italia

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Di Ilaria Muccetti, CSEPI – Centro Studi per il Pieno Impiego per CDC

Nulla di nuovo nel Bel Paese. Vince la logica del mancato voto di fiducia: nessun stupore se tornano vecchi nomi, anche se ministri senza portafogli. Ancora una volta si assiste al “circo di nani e ballerine” al quale si è dovuto abbassare il neo Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi.

Strategia o semplice volontà di far nascere immediatamente un governo che possa rimettere ordine i conti dello Stato? Ancora meglio, un governo che elimini, se non tutto almeno in gran parte, il debito pubblico “cattivo”?

Il nome di Draghi all’esecutivo, che da gennaio nelle tv e radio mainstream iniziava a circolare nell’ipotesi di una crisi di governo, sembrava essere un film di fantascienza, invece diventa realtà. E’ il 3 febbraio quando la borsa di Milano schizza ai massimi da un anno e lo spread (il differenziale tra titoli di Stato BTP e Bund) chiude a 99 punti. Lui, l’uomo del “whatever it takes” dice sì a Sergio Mattarella, per la formazione di un governo tecnico ma anche politico. Iniziano le consultazioni: Draghi solo, in silenzio che ascolta giorno dopo giorno le “richieste” dei partiti e delle parti sociali. E alla fine sembra che tutto finisca a tarallucci e vino: il potere di Mr. Draghi mette tutti i partiti, da destra a sinistra, d’accordo. Per l’ex presidente della Bce è fatta: nuovo incarico avviato. E tutti al cospetto di un uomo che ha fatto dei suoi studi keynesiani – con il prof. Federico Caffè – ricordi di una giovane mente fine, prestata nel tempo al potere finanziario.

Unica esclusa, dal circo, la Meloni che non ci sta e tra uno sciorinamento di frasi contro il Recovery Plan e le richieste di “abolizione del cashback e della lotteria degli scontrini, crediamo che quello che viene speso possa andare alle imprese in difficoltà”, Fratelli d’Italia è l’unico partito fuori dall’esecutivo Draghi.

“Esecutivo di compromesso. C’è mezzo governo Conte” dichiara la vecchia volpe della Meloni che, in effetti, non dice il falso, e poco ci vuole a fare simili affermazioni. Quel che, infatti, sfugge ai più è che senza fiducia il nostro caro Mario non avrebbe potuto costituire quel governo che, in piena crisi sanitaria e di conseguenza economica, non potrebbe apportare determinate e specifiche riforme in un Italia al collasso, indebitata a quasi il 160% del Pil nel gennaio 2021. Un dato che non va proprio giù ai liberali: “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” e “politiche di austerity, lo dobbiamo alle nuove generazioni”, da anni questo mantra perseguita gli italiani.

Siamo davanti ad un cambiamento storico della politica italiana, sempre però secondo una visione liberale.

I giocolieri della politica restano sulle poltrone di Montecitorio (e di Palazzo Madama), i 5 stelle al loro terzo giro di governo, i leghisti “sovranisti” di nuovo europeisti, mentre tutto, in fin dei conti, resta uguale per Pd e Leu. Renzi, di Italia Viva, si dice entusiasta del nuovo governo, d’altronde lui ha dato inizio alla crisi del governo Conte bis dopo aver fiutato, mesi fa, che qualcosa stava già bollendo in pentola e quel qualcosa aveva il nome di Mario Draghi. E allora, “Venghino signori, venghino. La carovana sta per partire.” Questa è politica, scordiamoci il voto e le elezioni nonostante “siamo in democrazia”, ma soprattutto prepariamoci allo sblocca licenziamenti per quei settori che non hanno visto la peggio, prepariamoci ad una riforma del titolo V della Costituzione, prepariamoci ad un anno nel quale intere famiglie rimpiangeranno i vecchi governi, perché in nome del benessere delle nuove generazioni non avremo un Monti 2.0, ma un curatore fallimentare dell’Italia. Saranno mesi di sacrifici per tutti i cittadini: la “gestione delle risorse”, perché è per questo che è stato chiamato Draghi, consisterà in politiche di austerity ben peggiori di quelle affrontate nel 2012 dal governo tecnico Monti.

L’intero paese è in difficoltà, nel 2020 a causa delle restrizioni sanitarie, il settore manufatturiero ha avuto un calo in media dell’11% nella produzione industriale, tantissimo ma è quasi la metà del dato registrato nel 2008 e poi è ancora molto meno rispetto al calo ottenuto dai servizi del turismo, del commercio, della ristorazione ecc… dove si assiste ad una media del -44/-48%. Così anche nell’ambito industriale soffre il settore tessile, meno invece quello della meccanica. L’unica riflessione plausibile, per gli esperti economisti draghiani, sarebbe quello di blocchi di licenziamenti selettivi: mantenerli per i settori che a causa della pandemia non riescono ancora a ripartire mentre al contrario, per settori come il farmaceutico, alimentari, meccanica che hanno dimostrato un calo non grave la soluzione sarebbe lo sblocco. Al riguardo, gli stessi sindacati Cigl, Cisl e Uil, alle consultazioni avevano chiesto la proroga del blocco ma non “sine die” e la messa in atto di una riforma degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive che “ad oggi non esistono” afferma Landini (Cgil).

Insomma, una politica che non è più quella dell’interesse del paese, seppur Salvini ne parla sotto quest’ottica nazionalista, ma una politica che mira a promuovere un sistema redistributivo delle risorse e del potere, una nuova era politica per “salvare l’Italia” come emerge dai rappresentanti in Parlamento. Il tutto riducendo il conflitto sociale, attraverso probabilmente il mantenimento del reddito di cittadinanza in veste di ammortizzatore sociale affiancando la cassa integrazione Covid-19 che è costata, nel 2020, allo Stato 5 miliardi al mese.

Analisi che potrebbero essere smentite o confermate, al momento però sembra di assistere alla fine di quella politica ormai distruttiva e non più costruttiva dell’interesse nazionale, e che solo per un secondo ha fatto tirare un sospiro di sollievo sperando in un nuovo esecutivo, con nuovi nomi, con dei tecnici di alto profilo, ma che subito dopo ha portato alla luce il vero intento politico di cui Renzi molto probabilmente era a conoscenza già prima di Natale 2020: politiche ordoliberiste con la trasformazione dell’azione pubblica governata da rigide regole di concorrenza, seguendo il principio di efficienza proprio delle imprese private. Ma questa è una storia che va affrontata in un altro capitolo. Lasciamo per ora che Draghi ottenga la fiducia del Parlamento; tra un anno, se si metterà mano alla Costituzione, potremmo parlare di una Repubblica Presidenziale alla francese? Magari con Mario Draghi quale Presidente della Repubblica Italiana? Sono aperte le scommesse… .

Di Ilaria Muccetti, CSEPI – Centro Studi per il Pieno Impiego per CDC

CSEPI – Centro Studi per il Pieno Impiegosito web

Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

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