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La Redazione

 

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La riforma del MES: il metodo è più importante del merito

La ratifica della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità slitta di quattro mesi: analisi e prospettive.
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A cura di Redazione CDC
Il 3 Luglio 2023
8828 Views

Di Luca Lanzalaco per ComeDonChisciotte.org

Per ora il pericolo è scampato. La ratifica della riforma del MES slitta di quattro mesi. Poca cosa se si tiene conto che nel mezzo si colloca la lunga pausa estiva dei lavori parlamentari. Comunque, un tempo sufficiente per ragionare su un tema del quale si è già discusso molto, ma in modo sbagliato. Infatti, il dibattito che si è svolto fino ad oggi in sedi sia istituzionali che extraistituzionali si è focalizzato sul merito, cioè sui contenuti della riforma. Giusto affermare che la riforma è sbagliata e, soprattutto, estremamente pericolosa per l’Italia.

Ma non è sufficiente, in quanto la questione centrale è di metodo, ed è bene che si utilizzino i pochi mesi che si hanno di fronte per discutere di questo. Gli aspetti di metodo da prendere in considerazione sono quattro, sono collegati tra loro ma, per chiarezza, conviene trattarli separatamente.

Il MES è politica, non economia.

Il primo errore di metodo che molti, per fortuna non tutti, hanno commesso e stanno commettendo è di presentare la “questione MES” come se si trattasse di una mera questione economica.
Quanto ha già versato l’Italia al fondo comune? Quanto dovrà versare ancora? Quale sarà l’andamento dei tassi di interesse? Quanto ci conviene questa sorta di “assicurazione” contro il rischio di crisi finanziarie e bancarie future?

Questo è il modo in cui viene normalmente – lo ripeto, non sempre – affrontato il problema, ed è un modo sbagliato in quanto la posta in gioco non è costituita dall’assistenza finanziaria che potrebbe essere fornita dal MES, ma dalla condizionalità politica che sarebbe sicuramente associata all’erogazione di aiuti finanziari.

Non solo i fondi erogati andrebbero poi restituiti con gli interessi ma, come sta dimostrando la vicenda parallela del PNRR, l’erogazione di fondi UE è sistematicamente vincolata alla realizzazione di precise politiche pubbliche che spaziano dalla ben nota austerità all’ onerosa svolta climatica ed energetica (adeguamento della classe energetica delle abitazioni, cambiamento caldaie, ecc.), dalla digitalizzazione alle politiche di genere, dalle concessioni balneari alla pubblica amministrazione.
Cambiare metodo significa, anzitutto, parlare meno di soldi e più di sovranità e di democrazia. Il Mes non è una benevola “assicurazione”, è parte di una precisa politica istituzionale. Ed è di questa che occorre parlare.
E passiamo al secondo punto.

Il Mes è parte di un progetto istituzionale, non è un provvedimento isolato. 

Il secondo errore di metodo, commesso intenzionalmente da chi vuole la ratifica della riforma (primo fra tutti il PD) sta nel presentare la “questione MES” come se fosse una decisione a sé stante, isolata, quasi una sorta di atto amministrativo dovuto e di scarsa rilevanza. È falso. Il Mes fa parte di un ampio progetto di riforma della governance delle politiche economiche, sociali ed istituzionali che è stato avviato con il pretesto di arginare la crisi greca, di evitare nuove crisi dei debiti sovrani e di salvare l’euro.
Come ho dimostrato dettagliatamente nel mio libro “L’Euro e la Democrazia – dalla Crisi Greca al nuovo Mes”, di cui qui allego il testo scaricabile in pdf (1), queste soluzioni emergenziali si sono istituzionalizzate e consolidate dando luogo ad una complessa ed invasiva rete di procedure ed istituzioni (dal Fiscal Compact al Semestre europeo) di cui il Mes è solo una componente. Non si tratta di una ricostruzione “complottista” ma di un programma dettagliatamente illustrato nella cosiddetta “Relazione dei cinque Presidenti” (cioè Jean-Claude Juncker, Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi e Martin Schulz) presentata nel 2015 che qui alleghiamo (2). Il disegno complessivo alla base di questo insieme organico di interventi è chiaro e consiste nel realizzare in tempi relativamente rapidi una forma di federalismo coercitivo. Il federalismo coercitivo consiste nella centralizzazione dei processi decisionali di pertinenza degli stati presso il governo federale che così facendo riesce a determinare le politiche pubbliche in aree che formalmente sarebbero invece di competenza degli stati nazionali, i quali diventano così delle semplici agenzie amministrative del governo federale. Che è quello che in parte sta già accadendo. La dimensione coercitiva di questo processo di invasione della sovranità nazionale, che nulla ha a che vedere con la cessione prevista dalla Carta costituzionale, è costituita ovviamente dalla condizionalità politica, ovvero dal ricatto a cui sono sottoposti i governi se vogliono ottenere i fondi in €uro erogati dalle istituzioni europee.
Tutto ciò ha due implicazioni. In primo luogo, affrontare il problema del MES singolarmente, come vogliono fare il PD, Italia Viva e l’ala filoeuropeista della Lega è sbagliato. In secondo luogo, ratificare significa implicitamente aderire all’intero progetto di nuova governance europea. E qui passiamo al terzo punto.

Discutere il MES insieme alle altre proposte è la scelta giusta. 

La richiesta di Giorgia Meloni di discutere nel suo complesso l’intero “pacchetto” delle proposte UE – dal Mes al fondo di risoluzione per le crisi bancarie, dal PNRR alla riforma del Patto di Stabilità – è valida non solo in quanto politicamente legittima, ma anche perché avallata da ricostruzioni imparziali, oggettive e scientifiche di quanto sta accadendo in Europa dal 2010 in poi. Si noti che quella della discussione dell’intero “pacchetto” è una scelta di metodo e non di merito, non concerne cosa decidere, ma come decidere. Ed affrontare in modo frammentario, piecemeal dicono gli inglesi, provvedimenti che, invece, sono parte di un unico disegno complessivo è chiaramente sbagliato. Si affronti e si discuta l’intero “pacchetto” di proposte e, nel caso, se ne approvi o se ne contrasti la logica. E giungiamo così al quarto ed ultimo punto.

Il tempo è poco, l’opportunità è grande.

Lo abbiamo già detto: quattro mesi, inclusa la pausa estiva sono pochi, pochissimi. Ma ora, con una maggioranza di governo in cui è presente una significativa componente politica molto critica nei confronti dell’ingombrante presenza e delle sistematiche incursioni delle istituzioni europee nelle questioni nazionali, si offre una opportunità. E torniamo al metodo: il temporeggiare, il dire e non dire, il gioco di rimessa stando a vedere cosa fa l’avversario, lo sperare di portarsi a casa uno 0.5% in più al prossimo sondaggio è improduttivo e, soprattutto, rischia di avvantaggiare chi nei confronti dell’Europa ha posizioni più passive, acritiche ed acquiescenti.
Occorre quindi aprire una seria, chiara ed approfondita discussione a livello nazionale su quale politica europea intendano tenete le singole forze politiche. La prospettiva a dir poco inquietante, se non sconfortante, che si staglia all’orizzonte è quella che nei prossimi mesi (per non dire   anni) si prosegua in una lunga guerra di logoramento sia tra maggioranza e opposizione, che all’interno di entrambe.
Le elezioni europee del 2024 sono vicine. Se si vuole evitare che vinca di nuovo il partito dell’astensione, forse è meglio cambiare metodo.

 

Di Luca Lanzalaco per ComeDonChisciotte.org
03.07.2023

 

PER APPROFONDIRE

(1) Leggi – Scarica liberamente il libro:

Luca Lanzalaco – L’Euro e la Democrazia – dalla Crisi Greca al nuovo Mes

 

Luca Lanzalaco è professore ordinario di Scienza politica presso l’Università di Macerata. Ha recentemente pubblicato, con Giampiero Cama e Sara Rocchi, Le banche centrali prima e dopo la crisi. Politica e politiche monetarie non convenzionali (ATì editore, 2019) e Fragile Boundaries. The Power of Global Finance and the Weakness of Political Institutions (Rivista Italiana di Politiche pubbliche, 2/2015, il Mulino). E’ autore del libro  L’Euro e la Democrazia – dalla Crisi Greca al nuovo Mes (Youcanprint, Bari, 2022).

NOTE

(2)

Leggi – Scarica la Relazione dei cinque Presidenti” (Jean-Claude Juncker, Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi e Martin Schulz, 2015):

Completare L’Unione

 

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