Alastair Crooke
strategic-culture.org
Biden: “Putin ha già perso la guerra… Putin ha un problema reale: come si comporterà? Cosa farà?”. Il segretario Blinken ripete all’infinito lo stesso mantra: “La Russia ha perso”. Lo stesso fa il capo dell’MI6 e Bill Burns, il capo della CIA, alla conferenza sulla sicurezza di Aspen ha detto che non solo Putin ha “perso”, ma anche che Putin non riesce a mantenere la presa su uno Stato russo che si sta frammentando e che sta entrando in una probabile spirale di disintegrazione.
Cosa sta succedendo? Alcuni suggeriscono che un disordine psichico o un ‘groupthink’ [una forma razionalizzata di conformismo] si sia impadronito del team della Casa Bianca, con la conseguente formazione di una pseudo-realtà, separata dal mondo, ma modellata in modo discreto intorno a fini ideologici più ampi.
La ripetizione di una narrazione dubbia, tuttavia, si trasforma per il mondo informato in quella che sembra un’ illusione occidentale – il mondo immaginato dal “Team” o, più precisamente, come lo vorrebbe.
Questa stretta ripetizione, tuttavia, non è chiaramente una “coincidenza”. Alti funzionari che parlano di concerto seguendo un copione non sono degli illusi. Stanno montando una nuova narrazione. Il mantra “la Russia ha perso” definisce la mega-narrazione che è stata decisa. È il preludio di un intenso “gioco delle colpe“: il Progetto Ucraina “sta fallendo perché gli ucraini non stanno applicando le dottrine ricevute dagli addestratori della NATO – eppure, nonostante questo, la guerra ha dimostrato che anche Putin ha ‘perso’: anche la Russia è indebolita”.
Questo è un altro esempio dell‘attuale fissazione occidentale sull’idea che “le narrazioni vincono le guerre” e che le battute d’arresto sul campo di battaglia sono solo casi fortuiti. Ciò che conta è avere un filo narrativo unitario articolato su tutto lo spettro, che affermi con fermezza che l'”episodio” ucraino è ormai chiuso e dovrebbe essere “chiuso” dalla richiesta di “andare avanti”.
Il succo è che “Noi” controlliamo la narrazione; noi “vinciamo” e che la Russia perda, quindi, diventa inevitabile. Il difetto di questa arroganza è, in primo luogo, che mette i “sommi sacerdoti” dell’Amministrazione in guerra con la realtà e, in secondo luogo, che il pubblico ha perso da tempo la fiducia nei media tradizionali.
Jonathan Turley, noto studioso di diritto e professore alla Georgetown, che ha scritto molto in campi che vanno dal diritto costituzionale alla teoria giuridica, richiama l’attenzione su: “l’ultimo sforzo dei membri del Congresso e dei media per far sì che l’opinione pubblica “passi oltre” lo scandalo della corruzione dei Biden”. Il messaggio, scrive, “è chiaro… Tutti devono farsi da parte! … [Tuttavia] mentre le prove e l’interesse del pubblico aumentano, è un po’ tardi per le giravolte o gli specchietti per le allodole”.
“Questa settimana lo scandalo sarà probabilmente ancora più grave per i Biden e per il Paese. I media mainstream sembrano sempre più Leslie Nielsen nel film Una pallottola spuntata, che urla “non c’è niente da vedere qui” davanti ad una scena apocalittica di fuoco e distruzione”.
Qual è il legame con l’Ucraina? Un anno fa, il professor Turley aveva scritto che l’establishment politico e mediatico di fronte alle accuse di corruzione avrebbe probabilmente usato l’approccio del “far implodere lo scandalo”, man mano che le prove si accumulavano. Ci sarebbe stato un tentativo di “chiudere” lo scandalo e Turley suggeriva che, nel caso di Hunter Biden, il Dipartimento di Giustizia avrebbe cercato di arrivare ad un “patteggiamento soft” su un paio di capi d’accusa di tipo fiscale, con poco o niente carcere.
Ebbene, questo è esattamente ciò che si è verificato un anno dopo. Poi è arrivata la prevista “implosione dello scandalo”: Hunter si è dichiarato colpevole di aver ritardato il pagamento delle tasse – mentre il coro dei membri della Camera e dei media lasciava cadere tutte le altre accuse di corruzione e dichiarava con fermezza che lo scandalo era “chiuso”, insieme alla richiesta di “andare avanti”. Tuttavia, osserva Turley, “il desiderio dei media di “andare avanti” con lo scandalo sta raggiungendo un livello quasi frenetico, mentre si scoprono milioni di dollari in pagamenti esteri e decine di società di comodo – e vengono rese pubbliche e-mail incriminanti”.
Non è chiaro se lo stratagemma funzionerà. È già in difficoltà.
Gli elementi chiave dello “stratagemma dell’implosione” sono la negazione assoluta e irremovibile dell’esistenza di qualsiasi “problema” e l’ostinato rifiuto di concedere anche solo una briciola all’idea che ci sia un qualsiasi tipo di fallimento. Non c’è bisogno di guardarsi allo specchio.
Questo è stato il modus operandi anche per quanto riguarda la débacle del Nordstream (la distruzione del gasdotto verso la Germania): non ammettere nulla e chiedere alla CIA di preparare uno scenario di “implosione dello scandalo”. In questo caso, un’assurda storia diversiva su uno yacht con alcuni cattivi subacquei che scendono a 80-90 metri, senza attrezzature specifiche o utilizzare gas speciali, per piazzare e far esplodere ordigni esplosivi. Nessuna indagine reale: “Non c’è niente da vedere”.
Ma, come indicano gli eventi, in Germania la storia non viene creduta; la coalizione di Berlino è in grave difficoltà.
E ora lo stratagemma viene applicato all’Ucraina: il “coro” grida: “Putin ha perso”, nonostante l’Ucraina non abbia la possibilità di indebolire la Russia in modo decisivo. La speranza è evidente: che il “Team Biden” possa uscire indenne da una sconfitta devastante, con un meccanismo di “implosione scandalistica” già innescato (per dopo la “scadenza” estiva della NATO per una “vittoria” ucraina). Abbiamo dato loro tutto – eppure gli ucraini hanno voltato le spalle ai nostri validi consigli su come ‘vincere’ – e, di conseguenza, non hanno ottenuto nulla.
“La controffensiva dell’Ucraina non riesce a progredire perché il suo esercito non sta mettendo in pratica l’addestramento ricevuto dalla NATO, secondo una valutazione dell’intelligence tedesca trapelata… I soldati ucraini addestrati dall’Occidente stanno mostrando “grandi successi di apprendimento”; ma sono guidati in modo inefficace da comandanti che non hanno frequentato i campi di addestramento [della NATO], aggiunge… l’esercito ucraino favorisce la promozione di soldati con esperienza di combattimento, rispetto a quelli che hanno ricevuto un addestramento conforme agli standard della NATO”.
Bene, bene? Come in Afghanistan?
Anche la guerra in Afghanistan era stata una sorta di crogiolo. In termini concreti, l’Afghanistan era stato trasformato in un banco di prova per ogni singola innovazione nella gestione tecnocratica dei progetti della NATO, e ogni innovazione era stata annunciata come precorritrice di un futuro rivoluzionario. I fondi erano stati stanziati, gli edifici erano stati costruiti e un esercito di tecnocrati globalizzati era arrivato per supervisionare il processo. Big data, l’intelligenza artificiale e l’utilizzo in tempo reale di una serie sempre più ampia di strumenti tecnici di sorveglianza e ricognizione avrebbero fatto crollare le vecchie dottrine militari. Doveva essere una vetrina per il managerialismo tecnico. Si presumeva che avrebbe prevalso un modo di fare la guerra propriamente tecnico e scientifico.
Ma, in Afghanistan, la tecnocrazia come unico mezzo per costruire un esercito funzionale in stile NATO aveva invece fatto nascere qualcosa di completamente marcio – una “sconfitta guidata dai dati“, come l’ha descritta un veterano statunitense, avvenuta nel giro di pochi giorni. In Ucraina, queste stesse forze si sono trovate tra Scilla e Cariddi: né la spinta del pugno corazzato teorizzata dalla NATO per rompere le difese russe, né gli attacchi alternativi della fanteria leggera hanno avuto successo. L’Ucraina, piuttosto, sta subendo una sconfitta per colpa della NATO.
Perché allora la scelta di prendere la realtà “di petto”, con la sprezzante insistenza che Putin “ha perso”? Non conosciamo, ovviamente, le motivazioni interne della “squadra”. Tuttavia, l’apertura di negoziati con Mosca nella speranza di ottenere un cessate il fuoco o un conflitto congelato (per rafforzare la “narrativa”) rivelerebbe probabilmente una “Mosca” che insiste solo sulla piena capitolazione di Kiev. E questo si scontrerebbe con la “storia della sconfitta di Putin”.
Forse il calcolo consiste nello sperare che da qui all’inverno l’interesse dell’opinione pubblica per l’Ucraina sia stato talmente deviato da altri eventi da far sì che l’interesse generale sia “passato oltre”, con la colpa chiaramente appesa al collo dei comandanti ucraini che hanno mostrato “notevoli carenze nella leadership” che, a loro volta, hanno portato a “decisioni sbagliate e pericolose” – ignorando le istruzioni standard della NATO.
Il professor Turley conclude,
“Niente di tutto questo funzionerà, ovviamente. Il pubblico ha perso la fiducia nei media. In effetti, il movimento ‘Let’s Go, Brandon‘ è una presa in giro dei media ma ha anche Biden come bersaglio. I sondaggi mostrano che l’opinione pubblica non sta ‘voltando pagina’ [nei riguardi delle accuse ad Hunter] e considera questo come un grande scandalo. La maggioranza ritiene che Hunter abbia ricevuto una protezione speciale nelle indagini. Anche se i media possono continuare a sopprimere le prove e le accuse all’interno delle loro camere d’eco, la verità, come l’acqua, trova sempre una via d’uscita”.
In effetti, gli “eventi” stanno avanzando, con o senza i media.
Ed ecco il punto cruciale: nella misura in cui Turley ritiene che l’affare Biden costituisca un “luogo apocalittico di distruzione interna degli Stati Uniti”, l’Occidente si trova di fronte ad un’ulteriore sconfitta strategica derivante dal suo progetto ucraino, perché tale sconfitta non riguarda solo il terreno di battaglia ucraino ma ha distrutto il mito dell’onnipotenza della NATO, ha messo in crisi la storia degli armamenti “magici” dell’Occidente. Ha fatto crollare l’immagine della competenza occidentale.
La posta in gioco non è mai stata così alta. Ma la classe dirigente ci aveva pensato bene quando si era imbarcata con tanta leggerezza in questo sfortunato “progetto” ucraino? La possibilità di un “fallimento” era mai entrata nella loro coscienza?
Alastair Crooke
Fonte: strategic-culture.org
Link: https://strategic-culture.org/news/2023/07/31/the-scandal-implosion-stratagem-will-it-work-for-ukraine/
31.07.2023
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.