DI TONGUESSY
comedonchisciotte.org
I dati dicono che siamo passati dal 6-7% di astensionismo alle primissime elezioni per salire al 24.8% nel 2013 e arrivare all’attuale 27.1%. Dati facilmente reperibili, ma metodicamente ignorati. [1]
Tutto parte dal 1983 quando succede il raddoppio (12%) e la data non è casuale: era appena stata introdotta la questione morale da Berlinguer. Lo scrive anche Wiki: “Le analisi statistiche dimostrano che il fenomeno dell’astensionismo è andato crescendo in Italia.. quando con la “questione morale” messa in luce nel 1981 da Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, si cominciò a denunciare la corruzione dei partiti politici”.
Il potere ormai aveva dimostrato di non essere più al servizio dei cittadini, ma di sé stesso. Poi il crollo del muro ed il presunto crollo delle ideologie, fatte convertire sull’unica ideologia dopante restata sull’asfalto della strada politica: il neoliberismo.
Oggi assistiamo a ciò che ho chiamato “democrazia dei rimasugli” (postdemocrazia secondo Colin Crouch) e su tali rimasugli si accaniscono i commentatori, dimenticando il contesto più ampio da cui si possono rilevare importanti fenomeni attivi.
Se è vera la tesi esposta nell’ultimo mio articolo sull’astensionismo [2] allora siamo di fronte ad una ennesima sconfitta della democrazia: il numero di astensionisti è aumentato e contemporaneamente il potere dà spettacolo di ciò che non dovrebbe fare, concentrandosi su aspetti che sono di altra pertinenza, quale la filosofia o l’epistemologia. A tale proposito giova ricordare il Circolo di Vienna che, nella sua enfasi neopositivista, affermava che “l’etica e la religione non forniscono conoscenze, in quanto configurano soltanto, come scrive Carnap, il bisogno dell’uomo di esprimere il proprio sentimento della vita, il proprio atteggiamento emotivo e volitivo verso l’ambiente, verso la società, verso i compiti cui egli è dedito e verso le traversie che deve sopportare. E poiché la metafisica (come l’etica e la religione) è la semplice manifestazione di un atteggiamento emotivo verso l’esistenza, essa mette capo ad una costitutiva incapacità di comunicazione fra i suoi cultori, ognuno dei quali risulta “murato” nel proprio soggettivo castello di idee.”[3]
La politica è la difficile arte di coniugare Nomos e Physis (termini inconciliabili secondo i sofisti) ovvero la normativa e la realtà sociale, la morale ed i rapporti tra umani ed ambiente. Quando ci si concentra solo su un termine si sta automaticamente viaggiando fuori dalla zona di equilibrio. Da qualche decennio abbiamo assistito alla predominio di Physis attraverso le sue implicazioni economiche, mentre oggi la legge del contrappasso sta riportando in luce Nomos, la morale. Doppio errore: nessuna delle due forze deve prevalere. Come Yin e Yang devono lavorare assieme, nessuna deve dominare nel Tao.
Con l’etica o la morale stiamo cioè abbandonando la Physis per addentrarci nella metafisica, ontologia dell’imponderabile. Questo è stato sicuramente uno dei fattori che hanno portato il PCI di Berlinguer sul il versante che poi lo farà scivolare nel PD. La politica è altra cosa. Comprende certamente questioni morali ma non ne fa l’elemento centrale della propria azione. La Storia ci insegna che, esempio estremo del contrasto tra fisica e metafisica, Moritz Schlick fosse freddato da uno studente nazista sui gradini dell’università di Vienna proprio perchè contrario all’etica, di cui non capiva il valore. La “filosofia viziosa” di cui era accusato il Circolo meritava adeguata punizione. Il nazismo non aveva mezze misure, né amava il dialogo. L’assassino, Johann Nelböck contestò le tesi di Schlick con un’arma molto convincente: una pistola. Processato fu subito rilasciato come eroe nazista. L’idea che la morale nelle sue forme più estreme fosse esiziale per l’uomo trovò nel nazismo un muro invalicabile, e troverà sempre nuove difficoltà nell’affermarsi anche dopo la definitiva sconfitta di Hitler.
Non deve meravigliare più di tanto che l’attuale punta di diamante della politica italiana in pieno clima postmoderno, il M5S, sia portavoce contemporaneamente del né-né (né destra né sinistra) e dell’indifferenziato metafisico, ovvero la morale. In realtà è tutto un deja vu. Ma troppo spesso ci si dimentica di come andò a finire. Ho chiaramente indicato come l’astensionismo possa rilevare gli umori elettorali: aumenti percentuali indicano disaffezione verso il corso politico indipendentemente dalla presunta aria di novità che circonda le elezioni mentre aumenti segnalano dei cambiamenti in atto. Tali cambiamenti non sono attualmente presenti, questo ci dicono le statistiche. Il M5S non è riuscito a catalizzare i delusi, ha solo convogliato parte dell’elettorato (di destra, centro e sinistra) verso un crogiolo tutto postmoderno dove la società deve incontrare la metafisica. I numeri dicono che non c’è stata alcuna alchimia, solo spostamenti tra vasi comunicanti mentre il livello generale diminuiva.
La farsa postmoderna, alla fine, sta proseguendo: a fronte di una mortalità di votanti in costante aumento si celebrano i circenses negli anfiteatri mezzi vuoti e con gladiatori sempre più raffazzonati e confusi. Le tribune si domandano se ci sarà l’asse Salvini-Di Maio oppure se il PD si dimostrerà flessibile a possibili alleanze. Intanto lo stadio si svuota per noia e delusione mentre nell’arena sono fatti roteare inutili scudi e improbabili gladi. Dato che nessuno vince, lo spettacolo va avanti all’infinito nell’insistenza dei media che tengono in considerazione solo ciò che il potere dà il permesso di vedere. Tutto il resto è ignorato.
La tragedia della postmodernità trova nella politica italiana un proscenio d’eccellenza. Santificata la presunta necessità del né-né, consolidata l’affermazione della trasversalità tutto si muove sui binari scassati dell’indifferenziato. A poco è servita la lezione delle antiche convergenze parallele, curiosa antinomia finita con la sepoltura del compromesso storico e del suo leader a tutto beneficio dell’atlantismo. La politica, incapace di comprendere appieno il proprio ruolo, oscilla così tra economismi anticostituzionali (pareggio di bilancio, azzeramento del welfare) e ricerca affannosa delle proprie radici attraverso un’opera di moralizzazione che, al contrario, chiarisce definitivamente il fallimento della missione assegnata. Non fa differenza se Berlinguer o Di Maio: la politica non ha lo scopo di osservarsi e decidere se il vestito che indossa è adeguato. La divisione dei poteri ha proprio quello scopo: serve un ente terzo che decida autonomamente se la politica ha aspetti così critici da dovere essere sottoposta a trattamenti obbligatori. L’autoreferenzialità, l’onnicomprensività che rasenta l’onnipotenza non sono indicatori di benessere democratico, ma di allontanamento dai valori che la nostra Costituzione aveva posto come capisaldi per una partecipazione agli avvenimenti della Res Publica da parte dei cittadini.
Si tratta quindi di rovesciare la logica: non è che la questione morale in presenza di alto astensionismo possa ridare speranza alla partecipazione popolare (anche se auspicabile), ma certifica l’assenza di quei valori essenziali che dovrebbero animare il dibattito politico e che oggi invece latitano.
Passare dalla subordinazione della realtà sociale vista secondo diktat economici alle vane ricerche sulla morale (un’affermazione è sensata solo se è verificabile, diceva Schlick, e Wittgenstein non lo smentiva) non testimonia a favore della “nuova” politica, ma delle nuove frontiere così care a Soros e soci: diritti umani in primis. Sparita la tensione tra progetti e necessità tipica della prima repubblica (con tutti i contrasti che i processi decisionali democratici comportavano), siamo passati attraverso l’era dei parvenu (gente senza arte né parte che hanno posto una certa estetica all’ordine del giorno della discussione politica) per approdare infine alla centralità della morale nella politica. La terza repubblica, senza più afflati che possano evocare sentimenti diffusi, sta morendo sul nascere soffocata com’è da una tara (l’estetica) trasformata per l’occorrenza in una ricerca metafisica sul senso morale della Res Publica e di chi la governa.
E’ morale nutrirsi di verdure ed immorale cibarsi del maiale, a tanto siamo arrivati dimenticando le lezioni di Marvin Harris sui motivi per cui ci si alimenta in un modo piuttosto che in un altro.
L’analisi materialista non è più accettata in questo mondo perché rievoca antichi (e mai morti) spauracchi. Va forte l’introspezione metafisica, invece.
In questo scenario deprimente non posso non citare Baudrillard che parla del Male che “nasce dall’eccesso di bene, da una proliferazione senza freni dello sviluppo tecnologico, di un progresso infinito, di una morale totalitaria e di una buona volontà universale…..siamo in un mondo virtualmente banalizzato dove per una sorta di terrore preventivo niente può aver luogo…ormai in questo impero virtuale del Bene, in questa positività totale, in questa realtà integrale non è più possibile per un pensiero critico sovvertire il sistema dall’interno. Sono finite le contraddizioni, i rapporti di forza, finita la violenza rivoluzionaria. Bisognerebbe piuttosto parlare di collusione, di consenso, di circuito integrato della globalità..la nuova strategia è quella dell’autodafé dei valori, di tutto il sistema di valori…non si può più dare scacco al sistema in nome dei propri principi perché il sistema li ha aboliti”. (grassetto mio)[4]
E adesso ritorniamo ai nostri circenses per discutere di questioni morali. Adda passà a nuttata…..
Tonguessy
Fonte: www.comedonchisciotte.org
19.03.2018
NOTE
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Astensionismo
[2] https://comedonchisciotte.org/sullastensionismo/
[3] http://www.paolomalerba.it/epistemologia/Testi/Circolo.htm
[4] J. Baudrillard “L’agonia del potere” pgg 18-22