La filosofia post-moderna come base ideologica dell’attuale sinistra

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DI FRANCESCO CORRADO

lantidiplomatico.it

A quasi 20 anni dai fatti di Genova si impone una riflessione su ciò che è successo alla sinistra italiana e mondiale. L’interesse è passato dall’antagonismo verso la globalizzazione della finanza speculativa alla teorie identitarie neo tribali. Perché la sinistra ha smesso di parlare ai lavoratori (tradendoli in tutti i modi possibili) per rivolgere la propria attenzione (oramai unicamente) verso certe astratte “battaglie di civiltà” (come le leggi contro l’odio), che sembrano più strumentali che altro?

In cosa consiste oggi la sinistra fucsia o arcobaleno che dir si voglia? E’ successo che la sinistra istituzionale è passata dal marxismo al postmoderno politico. In Italia il PD, LeU, Rifondazione hanno oramai interiorizzato l’ideologia sposata dal PD americano, la quale, col nuovo millennio, è diventata dominante a livello globale, facendo danni soprattutto nel terzo mondo.

Il passaggio dal marxismo al postmoderno ha comportato l’accettazione incondizionata delle regole del capitalismo finanziario globalizzato, considerato realtà data ed immutabile, con relativo spostamento del focus politico dalla dialettica tra capitale e lavoro al tema dei diritti individuali, visti in chiave tribale (identity politics), alla luce dei principi del politically correct. Sperando di gettare un po’ di luce sull’argomento cerchiamo di spiegare come l’ideologia politica fucsia-arcobaleno, che della filosofia postmoderna è figliastra (in quanto addirittura in parte disconosciuta), stia distruggendo la sinistra mondiale. Il tutto senza pretese di completezza filosofica, sarebbe impossibile.

Anche se le basi e le tematiche filosofiche erano ben chiare già da decenni, come data di nascita della filosofia postmoderna possiamo convenzionalmente assumere il 1979, anno in cui Jean-Francois Lyotard pubblica “La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere”.

Da allora questa corrente filosofica crescerà diventando mainstream negli anni ’80, poi, con la seconda metà degli anni ’90, inizia il suo declino nelle facoltà di filosofia. Proprio nello stesso periodo, invece, entra nella letteratura popolare, nell’insegnamento scolastico secondario e pervade le facoltà di studi umanistici, letterari e sociologici in modo quasi totalizzante e militante, occupando lo spazio ideologico della sinistra, causando grande sconforto nei marxisti. Col nuovo millennio entrerà massicciamente nella politica, dando nuovi contenuti a movimenti di pensiero e di lotta preesistenti come il socialismo (USA, Spagna, parte dell’America del sud), il femminismo, il movimento per i diritti civili.

In cosa consiste il postmoderno? Lyotard lo spiega così: “il postmoderno è la fine della credenza nelle grandi narrazioni”. Le grandi narrazioni per Lyotard sono quelle ideologie filosofico politiche che sono state la base della civiltà occidentale come la conosciamo oggi: il cristianesimo (la religione in generale), l’illuminismo, il marxismo, l’idealismo hegeliano. Tony Cliff, leader del Partito Socialista dei Lavoratori britannico (SWK), ironizzando, definì questa corrente filosofica come “la teoria del rifiuto delle teorie”.

Il modernismo si identifica soprattutto con l’illuminismo, cioè con la pretesa dell’uomo di poter conoscere il mondo che lo circonda ed i fenomeni sociali tramite il metodo scientifico e con l’uso della logica; il postmodernismo nega radicalmente questa possibilità. Per i filosofi postmoderni il sapere non può essere oggettivo quindi non esistono verità assolute.

I filosofi che partecipano alla costruzione di questa corrente sono, inizialmente, per lo più francesi e di “provata fede” socialista. Tutti professori universitari di grande spessore, avviano un processo critico, non solo dell’esperienza sovietica, ma anche del marxismo (definito da Foucault come “razzismo di classe”). Lyotard, Foucault, Derrida e soci, nel superare il loro socialismo mettono insieme, sistematizzandole, tutta una serie di tematiche sviluppate nella filosofia novecentesca.

I pilastri del postmoderno infatti vanno ricercati in Nietzsche, Wittgenstein, Heidegger, Levi-Strauss (che si definiva anarchico di destra). Insomma, non proprio il genere di persone che fanno parte dell’album di famiglia del comunista italiano, anzi.

I postmoderni riprendono Wittgenstein (ma anche Levi-Strauss) relativamente al problema centrale della conoscenza: il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda non è diretto, ma mediato dai suoi schemi mentali. Questi sono il frutto della logica e quindi della lingua che la veicola. La lingua che si apprende è quella del proprio gruppo di appartenenza: quindi determinata dalla società in cui si vive. La conoscenza quindi è un fatto più derivante dalle concezioni sociali che un fatto oggettivo: il discorso scientifico perde la sua  centralità.

Heidegger, dal canto suo, sosteneva che la ragione non è in grado di comprendere la realtà. Anzi è un ostacolo alla sua vera comprensione in quanto essa è soggettiva, cioè dipende dalla propria esperienza esistenziale. Per cui il mondo è visto in modo diverso, per esempio, in base al popolo di appartenenza. Per il filosofo tedesco l’autentico vivere richiede che l’individuo interiorizzi nel proprio intimo le tradizioni culturali del proprio popolo in modo da poter vedere se stesso come parte integrante del divenire storico del popolo stesso (una visione collettivista, diversa da quella tipicamente comunista, e che puzza di nazismo da molto lontano).

Questa visione viene ripresa dai postmoderni nella loro visione tribale della società come divisa in gruppi (bianchi, neri, donne, uomini, etero, gay, trans). Ogni individuo percepisce il mondo in base al sentire comune del proprio gruppo di appartenenza.

I postmoderni riprendono poi Nietzsche e vedono nel potere l’unico motore dell’agire umano e sociale. Per questi filosofi l’agire umano non può mai avere un fondamento morale, tutto si riduce al potere: alla sua conquista o al suo esercizio e mantenimento.

Messi insieme questi concetti… Il mix è esplosivo. Quindi la società diventa un’insieme di gruppi ognuno con la propria visione del mondo e tutti in lotta per il potere: bianchi contro neri, uomini contro donne ecc. questa è la base dell’ideologia espressa dalla sinistra italiana attuale. La lotta è tra bianchi e neri, tra uomini e donne, tra gay ed etero: il grande capitale sempre più grande, sempre meno sotto controllo è indiscutibile. Notare come in questa concezione a scomparire del tutto dal radar è il capitalismo.

Per i filosofi postmoderni quindi le verità, anche quelle scientifiche, non sono altro che costrutti sociali che dipendono dalla razza, classe sociale o il sesso di appartenenza e in generale dalla propria posizione di potere nella società.

La razionalità stessa, in quanto relativa, è vista come uno degli strumenti delle classi dominanti per conservare la propria egemonia, opprimendo altri gruppi. La scienza, ma anche la semplice argomentazione logica, diventano strumenti di oppressione.

Quindi le emozioni e le esperienze dei gruppi subalterni hanno la stessa dignità epistemologica delle leggi scientifiche. La conseguenza di questa impostazione è il relativismo: quello che tanto faceva incavolare Papa Ratzinger. Per chiarire: questo relativismo non va solo contro la teologia cristiana (di cui poco ci interessa), ma anche contro i principi della scienza, dato che, come detto, esistono solo verità relative alla propria esperienza personale, per cui è del tutto inutile parlare di verità oggettive.

Questa concezione porta al nichilismo in quanto se non esiste nessuna verità non c’è la possibilità per l’uomo di fare scelte consapevoli e razionali. Tutto è relativo alla propria appartenenza ad un gruppo e ciò che sarà, cioè il futuro, è niente altro che il risultato della lotta per il potere dei vari gruppi, senza poter effettivamente dominare gli eventi con scelte logiche e ponderate.

Così la società nel suo complesso e nella sua complessità viene vista come una serie di strutture gerarchiche che servono come sistema di dominio. Per cui non solo la politica, la religione, la polizia, la giustizia, la burocrazia, ma anche il sistema sanitario, il sistema scolastico, il matrimonio, la scienza, vengono tutti visti solo attraverso questa unica lente: solo come un sistema di dominio, come un sistema di potere. La qual cosa è ovviamente vera (soprattutto nell’uso distorto di queste strutture gerarchiche), ma solo in parte.

Negli anni ’90 del secolo scorso questo pensiero si è radicalizzato in chiave politica (di solito indicato come politically correct) negli Stati Uniti, per poi essere sponsorizzato in tutto il mondo a partire dall’apparato propagandistico mainstream, fino all’impegno degli organismi sovranazionali come l’ONU: il postmodernismo politico è perfetto per le esigenze del capitale transnazionale, delle grandi corporation e delle organizzazioni internazionali che si confrontano con lo stato, nella cui azione trovano un potere concorrente ed un freno.

Il nemico non è, come invece dovrebbe essere, il capitale che si nutre di speculazione e di distruzione delle economie reali, ma lo stato e quelle strutture sociali che di fatto, storicamente, hanno contribuito a difendere proprio i più deboli.

Non è un caso se a introdurre questi concetti politici nel Belpaese sia stata la Boldrini, che proprio da ambienti ONU proviene; catapultata in Italia come se fosse l’umanesimo politico fatto persona, l’unico titolo che si guadagnata è quello di peggior presidentessa della Camera dei Deputati dell’intera storia repubblicana (ricordate la ghigliottina?).

Per la vestale dei diritti individuali (dimentica sempre i diritti sociali) il problema è la lingua italiana, notoriamente misogina e frutto dell’eteropatriarcato (ci mancherebbe), mentre dare alle banche denari pubblici, eliminare l’art 18 dello statuto dei lavoratori, accettare le politiche deflazionistiche dell’Europa che stanno maccacrando i lavoratori italiani, mbè questo fa parte del gioco. Come abbiamo detto sopra: l’unica cosa che non si deve discutere è il capitalismo.

 

Francesco Corrado

25.07.2020

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