La democrazia muore nell’oscurità e non c’è peggior oscurità di quella che pretende di nascondere la storia

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DI ALESSANDRO GUARDAMAGNA

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Tra i monumenti che negli Stati Uniti sono stati recentemente abbattuti o rimossi dalle autorità in seguito alle proteste dei Black Lives Matter e dei loro sostenitori vi sono seguenti:

Statua di Robert E. Lee nella Robert E. Lee High School, Montgomery, Alabama

Monumento ai Soldati e Marinai Confederati, Indianapolis, Indiana

Monumento Confederato di Jacksonville, Florida

Monumento Confederato di Denton, Texas

Monumento Confederato di Forth Worth, Texas

Spirito della Confederazione, Houston, Texas

Monumento Commemorativo di Gasden, Quincy, Florida

Memoriale di Guerra Confederato, Dallas, Texas

Tomba al Soldato Confederato, Silver Spring, Maryland

A queste si aggiungono altre statue di generali e politici che servirono la Confederazione sudista e quella di Cristoforo Colombo. Ma anche quella dell’ex-presidente Theodore Roosevelt, additato per le sue idee discriminatorie come un razzista che riteneva gli afroamericani inferiori ai bianchi, è destinata a scomparire davanti all’ingresso del Natural History Museum di New York.

Va in primo luogo osservato che molte statue furono erette negli anni successivi alla Guerra Civile fino ai primi decenni del XX secolo come simboli di quella leadership bianca che nel sud voleva mantenere un controllo autoritario sulla società, in particolare sulla sua componente di colore che dopo la conclusione del conflitto nel 1865 non era più schiava. E’ quindi vero che una spinta di supremazia bianca di carattere politico, morale e razziale animava molte amministrazioni che hanno voluto erigere statue un po’ dovunque, dai centri di potere nelle capitali degli ex-stati sudisti, come quella del generale Gordon di fronte al Georgia State Capitol di Atlanta, ai campus universitari come quella di Lee a Charlottesville in Virginia, ai luoghi di aggregazione come Monument Avenue a Richmond.

Degli oltre 1.503 monumenti pubblici e commemorativi alla Confederazione, oltre 718 sono statue. Quasi 300 di questi si trovano in Virginia, Georgia e Nord Carolina. Ora sulla scia di giustizia e lotta al razzismo sistemico che pervaderebbe le istituzioni della società americana, ed innescatasi dopo la morte di George Floyd, tutti questi monumenti dovrebbero essere spazzati via. La loro distruzione da parte dei manifestanti e piani per la rimozione sono in corso in tutti gli USA.

La rimozione è ispirata dalla convinzione che i monumenti glorifichino perennemente la supremazia bianca e commemorino un governo traditore e schiavista il cui principio fondante era la perpetuazione e l’espansione della stessa schiavitù. Coloro che obiettano ritengono che tali monumenti ad oltre 150 anni dalla fine della Guerra Civile e della schiavitù siano parte del patrimonio culturale degli stati del Sud, e più in generale degli Stati Uniti.

Indipendentemente da come siano interpretate le statue, la storia della segregazione razziale dovuta alle leggi di Jim Crow è innegabile e quando la statua equestre di Lee fu eretta nell’Università di Charlottesville nel 1924, l’università stessa, la città e il resto dello stato erano intrise di razzismo istituzionalizzato. Parlare allora di razzismo sistemico e chiederne la rimozione, che però nessuno osò proporre, avrebbe avuto un senso. Ora ce l’ha?

Dove si trova il razzismo sistemico negli Stati Uniti, nelle leggi, nelle istituzioni americane, posto che quello umano che si fonda su scelte personali e affonda le sue radici nel pregiudizio, nell’odio o in altri sentimenti irrazionali che qualsiasi uomo può nutrire indipendentemente dal colore della pelle, non potrà certo essere cancellato dall’abbattimento di statue, mausolei, o da leggi che incriminano pensieri “razzialmente non corretti”?

Nella letteratura che ha portato alla deificazione militare di Robert E Lee e Stonewall Jackson si trovano svariati motivi oggettivi per cui a tali condottieri vada riconosciuto un posto nella storia americana, a prescindere dalle convinzioni personali che potessero avere e da quelle che gli vengono attribuite. Giunti a questo punto ad oltre 150 anni dalla fine della Guerra Civile, varrebbe la pena aspettare ancora qualche mese di introspezione e discussione prima di condannarli e bannarli dalla memoria storica collettiva come si fa con un fastidioso contatto di Facebook.

Tuttavia la lotta al razzismo globale non ha fatto altro che alimentare ulteriormente l’iconoclastia, che è rapidamente cresciuta e ha percorso a ritroso la storia per regolare i conti anche con Colombo. Rimosso dalla base della Coit Tower a San Francisco il 18 Giugno scorso, un’altra statua dell’esploratore Italiano è stata abbattuta nell’area di Little Italy di Baltimora – e non in una zona a maggioranza nera – dove sorgeva ed i pezzi sono stati lanciati in mare durante le celebrazioni della sera del 4 Luglio.

A questo punto viene da chiedersi dove ci si ferma. Dopo Colombo perché non passare in rassegna anche le statue della National Statuary Hall Collection degli Stati Uniti? George Washington e Thomas Jefferson erano proprietari di schiavi e i loro omonimi monumenti nella capitale americana dovrebbero sparire, anche se forse per far cadere un obelisco occorreranno gru e ingegneri piuttosto che semplici corde, martelli e qualche incitamento dalla folla circostante presa dal delirio mediatico di dare il proprio contributo alla lotta contro il razzismo. Chi può dire che un proprietario di uno schiavo sia diverso da un altro, dato che l’azione riprovevole non consente alcuna differenziazione morale fra Jefferson, presidente e padre della patria, e Nathan Bedford Forrest, mercante di schiavi nel sud prima della guerra e poi generale della cavalleria confederata?

E poi dove si va a parare di questo passo? Colombo era razzista? Anche Vasco de Gama che aprì nuove vie con l’oriente e favorì i commerci con l’Africa e con essi il traffico di schiavi? Magellano possedeva uno schiavo chiamato Enrique, e obbligò alla conversione al cattolicesimo molti nativi delle Filippine, quindi il suo non si direbbe proprio un fulgido esempio di politically correct ante-litteram, anzi.

A chi spetta quindi la palma della correttezza? Ai Clinton o ai politici democratici come Biden e Obama che giustificano la rabbia popolare? Con Hillary che ha studiato a Yale e Chelsea a Stanford, due delle più prestigiose università americane ed entrambe fondate da noti razzisti a cui devono il nome, e nelle quali sono passate generazioni di politici e leaders degli Stati Uniti negli ultimi 200 anni, bisognerebbe come minimo andare cauti.

La cautela però non si applica nella narrativa antirazzista globale, che in Italia ha portato alcuni ad imbrattare la statua del giornalista Indro Montanelli, noto fascista, e a chiederne la rimozione. A Montanelli si ricollega un ricordo di famiglia poiché un mio famigliare, in particolare, lo detestava. Si trattava di un mio zio, Emilio Rizzardi, che fu tra coloro che lottarono contro i nazifascisti ed in provincia di Pavia insieme ad altri quattro compagni costituì il primo nucleo delle Brigate Garibaldi nella zona. Mio zio è morto da molti anni e quanto fece durante la Resistenza è ricordato negli archivi dell’ANPI. Viene commemorato a livello locale insieme ad altri che combatterono con lui, ma non ci sono statue o targhe pubbliche che lo ricordino, come invece avviene per Montanelli. Ciononostante, per tutti i mali che il nome di Montanelli possa evocare, non chiederei mai che la sua statua fosse rimossa dal luogo dove si trova, perché toglierla vorrebbe dire cancellare anche una parte della memoria collettiva degli Italiani. Il tentare di eliminare quanto rappresentò Montanelli togliendo la sua statua come se niente fosse mai successo, sarebbe come negare i sacrifici di mio zio e di tutti coloro che si opposero al fascismo e ne determinarono la caduta.

Negli Stati Uniti assistiamo ad immagini di folle oltraggiate che rimuovono e rovesciano i monumenti visti come simboli della supremazia dei bianchi degli stati sudisti sui neri e del razzismo in generale. Ma molti non sembrano considerare che molte statue e memoriali furono eretti senza un significato politico. Il primo motivo della loro costruzione fu la volontà di commemorare coloro che combatterono e morirono per il Sud, la stragrande maggioranza dei quali erano bianchi poveri che non possedevano schiavi, e non avevano nessuna scelta tra essere arruolati o venire incarcerati e giustiziati. Tutte le statue sono davvero simboli di odio? Il monumento rimosso ad Indianapolis dove ricordava i soldati confederati morti in un campo di prigionia dell’Unione lo è?

Il monumento che indicava il luogo di sepoltura di 17 soldati confederati, molti dei quali ignoti, imbrattato ed abbattuto a Silver Spring in Maryland sprigionava davvero odio?

Membri dei Black Lives Matter posano dopo l’abbattimento del Monumento al Soldato Confederato a Durham, Nord Carolina, 14 Agosto 2017

La polemica sulla rimozione delle statue, che si ripresentava da alcuni decenni, aveva subito una brusca impennata nel 2017, in seguito alle proteste nate attorno alla statua equestre di Lee a Charlottesville. Nelle polemiche che seguirono agli scontri, la riposta equilibrata era stata data Levar Stoney, sindaco afroamericano e democratico di Richmond. Stoney disse che non voleva rimuovere nessuna delle statue confederate dalla città. Voleva invece che venissero aggiunte nuove targhe al fine di fornire ulteriori informazioni sulla storia dell’epoca, così che a fianco di quelle esistenti che parlavano di Lee come difensore della Confederazione e alla guida vittoriosa dell’Armata della Virginia del Nord contro gli Yankees, ne sarebbe comparsa un’altra che avrebbe specificato che lo stesso Lee combattè nella difesa di un regime razzista, il che è vero.

Questa sarebbe stata la cosa intelligente da fare. Recentemente Stoney ha cambiato idea e ha detto che è tempo di “finire il lavoro” e ordinare la rimozione di tutte le statue da Monument Avenue. Deve aver ricevuto una telefonata dai piani alti dove qualcuno che gli ha fatto presente che la sua idea di tre anni fa non era più all’avanguardia.

A questo punto qualcuno che ha antenati negli stati del Sud potrebbe essere offeso dalla vista delle statue dei generali Unionisti, che non solo simboleggiarono la vittoria del Nord sulla Confederazione, ma anche le depredazioni degli speculatori calati proprio dal Nord durante gli anni della Ricostruzione. E così potrebbero pensare di marciare fino a Boston e di rimuovere lo Shaw Memorial dedicato agli uomini del 54th Massachusetts. Perché non rimuovere anche la statua di W.T Sherman da Washington dove si trova proprio accanto alla Casa Bianca o dalla 5th Avenue a New York? Sherman era ben noto per le sue opinioni razziste sui neri, nonostante ne avesse liberati milioni marciando attraverso la Georgia.

Dove si finisce quindi di fare a pezzi il passato cercando di riscriverlo solo perché a una parte di noi non piace, e pensa di essere dalla parte giusta della storia nella crociata contro il razzismo? Razzismo e schiavitù che, va osservato, esistevano molto prima che i primi schiavi neri fossero portati e venduti in quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti. Molti provenivano dall’Africa orientale e venivano venduti dagli stessi mercanti Ashanti, di cultura Kente, quella stessa ricordata dalle vistose sciarpe portate al collo da Pelosi e dagli altri democratici che hanno reso omaggio alla memoria di Floyd e degli altri afroamericani che hanno perso la vita per brutalità della polizia. Elihu Yale ha fatto fortuna in India ed era un commerciante di schiavi. Stanford costruì un impero con le sue ferrovie ed era un razzista. Bruceremo i college che portano i loro nomi? Lovecraft aveva pregiudizi razziali contro italiani e afroamericani e arrivò al punto di renderli espliciti in alcune delle sue storie, come Herbert West, Rianimatore. Bruciamo i suoi libri allora? Dal momento che tracciare una linea diventa non solo difficile, ma anche altamente discutibile, come possiamo decidere dove fermarci?

Fu davvero Cristoforo Colombo il primo a portare la schiavitù nel nuovo mondo?

Molte tribù di nativi americani praticavano qualche forma di schiavitù prima che Colombo o i Vichinghi mettessero piede sul continente americano. I Vichinghi furono i primi europei ad arrivare in quello che sarà poi chiamato Nord America, e lo fecero 500 anni prima di Colombo, grazie alla spedizione di Leif Erikson, il figlio di Erik il Rosso, che fondò l’insediamento di l’Anse aux Meadows attorno all’anno 1000 D.C. E’ probabile che ad aiutarlo vi siano stati alcuni schiavi che portò con sé dalla Groenlandia. Infatti i Vichinghi, che avevano conosciuto da poco il cristianesimo, commerciavano in schiavi e lo stesso Leif sembra sia stato proprio cresciuto da uno schiavo in assenza del padre.

Il che ci lascia con i primi amerindi che circa 13mila anni fa attraversarono lo stresso di Bering. Statue ed onorificenze potrebbero essere a questo punto intitolate solo loro, ma facendo attenzione. Infatti dai costoro discenderanno le future popolazioni di Maya ed Aztechi. E qui è strano non ricordarsi dei sacrifici rituali compiuti sulle grandi Piramidi del Sole, a cui assistette lo stesso Cortez, e delle pratiche omicide del regno di Montezuma in cui migliaia di schiavi, spesso prigionieri di guerra ma anche donne e bambini, venivano sacrificati ben prima dell’arrivo degli europei. Lungi dal giustificare la pratica, a questo punto non è davvero comprensibile perché ai nostri occhi di osservatori contemporanei Colombo debba apparire più colpevole di Montezuma, e perché rimuovere statue dell’esploratore genovese dovrebbe dare un senso di sollievo ai discendenti di quelle popolazioni native, come ha commentato un’attivista locale a San Francisco dopo la rimozione della statua dalla Coit Tower, i cui avi al confine tra gli attuali Messico e Stati Uniti erano uccisi, o oppressi, schiavizzati e sacrificati dagli Aztechi ben prima dell’arrivo degli Spagnoli.

Quale sarebbe il motivo razionale dietro tutto questo? Colombo cattivo contro Montezuma il buono? Alla fine tutto si risolve in questo? Perché se è così l’intero quadro teorico di riferimento di coloro che si agitano per rimuovere in tutti i modi le statue, e il pensiero di valenza politica che si origina da esso sono totalmente sbagliati. E non potrebbe essere altrimenti poiché si fondano su presupposti errati.

Democracy dies in darkness. La democrazia muore nell’oscurità e non c’è peggior oscurità di quella che pretende di nascondere la storia.

 

Alessandro Guardamagna

13.07.2020

Alessandro Guardamagna lavora come insegnante d’inglese e auditor qualità a Parma. In precedenza ha ottenuto un PhD in Storia e un Master in American Studies presso University College Dublin, in Irlanda, dove ha lavorato e vissuto per 10 anni. Da sempre sovranista, scrive articoli di politica e storia su ComeDonChisciotte dal 2017.

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